lunedì 24 ottobre 2016

Io, Daniel Blake - Ken Loach

la Gran Bretagna ha anticipato il Welfare (qui lo racconta Ken Loach), e anche la fine del Welfare
il Welfare inizia come una grande primavera politica, lotte, unione, speranze, sol dell'avvenire, e termina per via burocratica, senza più lotte, in triste solitudine.
nel film due solitudini s'incontrano e nasce una solidarietà.
sono passati i tempi dei diritti, è arrivata l'epoca della carità, mala tempora currunt (si soffre per le pene dei ricchi, come cantano qui Enzo Jannacci e Dario Fo), 
Ken Loach racconta storie di gente in carne e ossa, non teoremi, poi ciascuno decide se fermarsi al caso e commuoversi o pensare anche che quello è un caso fra molti, e che quello è cinema politico (come i film degli altri, d'altronde, solo che non lo dicono), si scelga a piacere.
non perdetevelo - Ismaele







La regia di Ken Loach è eccezionale, perché lo spettatore non la percepisce. Si è dentro alle vite dei protagonisti di Io, Daniel Blake in punta di piedi; si ha l’impressione di essere con loro in ogni momento, in bilico fra il volerne prendere la mano e la paura di disturbare Katie nel lettone che rassicura la figlia Daisy o Daniel, che in silenzio guarda che cosa poter mai vendere dei suoi ricordi di una vita, in attesa che il sussidio arrivi. La delicatezza della macchina da presa del regista britannico si fa spazio nelle anime di questi ultimi d’Occidente senza morbosità, senza rumore. Nessun piagnisteo, nessuna lagna, solo la forza e la dignità di gente perbene che continua a lottare a viso alto per un posto nel mondo, per i propri sacrosanti diritti. Loach non cerca mai lo squallore, non c’è traccia dell’usuale compiacimento nel contemplare “i poveri” che hanno alcuni registi. L’immersione rarefatta e costante che lo spettatore vive grazie a questo film non è mai un pugno nello stomaco, piuttosto è un attivatore di coscienza…

Quando però il messaggio e l’ideologia li nasconde molto bene, come sa fare lui, in microstorie di gente qualunque e ne fa narrazione pura, allora giù il cappello, e massimo rispetto. Io, Daniel Blake è uno dei suoi esemplari racconti di gente sconfitta che però mai deflette, mai si piega, mai rinuncia alla dignità e a quello in cui crede. Sì, i famosi e oggi innominabili valori. Commovente, anche. E ricordo a Cannes i molti kleenex usati, ed erano lacrime di destra e di sinistra perché il vecchio Ken sa come arrivare dritto a cuore e alle viscere di tutti. Vero Io, Daniel Blake è esemplarissimo, troppo esemplare, un film che ci vuole istruire e coinvolgere nella triste sorte di un signore ultracinquantenne che con fatica dopo un infarto cerca di risalire…
Due sconfitti, che tutto subiscono senza però mai perdere la dignità. Perché questo è il miracolo del cinema di Ken Loach. Sarà veteroideologico, sarà un vecchio socialista fuori tempo massimo, ma ha il dono di saper raccontare la gente con rispetto, e di farcela amare. Un tocco che aveva Vittorio De Sica, che hanno Ermanno Olmi e i Dardenne, e pochi, pochissimi altri. Cascan le braccia in certi momenti di Io, Daniel Blake, sbuffi nel vedere come il poveretto sia bersaglio di troppe sfighe, una via l’altra, in una via crucis che sta lì didascalicamente a denunciare la malvagità del capitale. Ma, come di fronte al pensionato Umberto D. che per vergogna manda il cane a chieder l’elemosina con il cappello in bocca, poi ci si commuove e si piange anche per Daniel Blake.
da qui

Ken Loach e Daniel Blake, con cui, se non tutto il suo corpus cinematografico possiamo identificare l’idea di un cinema Ideologico , romantico e fuori dal tempo ( “Datemi un pezzo di terra e vi costruirò una casa, ma non sono nemmeno com’è fatto un computer”  dice Daniel con spirito naif alle insensibili impiegate con la faccia da arpie che gli intimano di seguire procedure on-line) rimangono imperturbabili, rocciosi baluardi di una visione che denuncia come dovrebbero andare le cose invece di provare a comprendere come stanno andando e magari suggerire, anche per contrasto o sottrazione, un ‘alternativa o una scelta differente:  rimaniamo nella dicotomia tra burocrati dotati in gran misura di anonima e indifferente crudeltà e martiri del proletariato con cui simpatizzare, visto che qui c’è pure una madre sola con due figli piccoli che vive in una catapecchia, ruba gli assorbenti al supermarket e si prostituisce per comprare cibo e vestiario alla sua prole, e nell’immancabile picco melo’ si prende il monito, pur compassionevole, di Daniel che si finge un cliente per dissuaderla e restituirle la dignità perduta di donna e di genitore.
Detto questo, non si riesce a provare un reale fastidio davanti a Daniel/Ken , sarà pure per la scelta molto azzeccata della faccia sbarazzina e furbetta di Dave Johns, non a caso un  comico inglese, che, a parte forse nel crescendo finale, evita il rischio del patetico o del ruffiano, puntando maggiormente su un’umanissima e calda empatia.
E si esce dal cinema colmi di tenerezza  e anche gratitudine , di uno sguardo e di un sorriso per tanta nobiltà d’animo, prima di immergersi nuovamente in una realtà frammentata e disgregante, dove si fa molta più fatica a pronunciare quella parola: IO.

Ma I, Daniel Blake riesce pure a farci ridere, le battute sono pungenti, sarcastiche, perfette e ci fanno riprendere fiato dopo scene in cui anche solo uno sguardo, o un gesto, è in grado di metterci a disagio. Perché la nuova fatica del cineasta britannico è un meraviglioso calcio nello stomaco che manda in lacrime tutti, indistintamente dalla nazionalità e dalle storie alle spalle. Impossibile rimanere insensibili difronte a una persona (un magnifico Dave Johns) che fotogramma dopo fotogramma è destinata all’elisione; impossibile non rendersi conto che la società in cui viviamo sta subendo una involuzione e accetta con disinvoltura la propria disumanizzazione in nome di un fantomatico “progresso”; impossibile non notare che sullo schermo ci sono persone non troppo diverse dai nostri vicini di casa, ci sono i figli della crisi economica degli ultimi anni, c’è il nostro scricchiolante e sempre più imperfetto mondo che va a rotoli.

Loach acentúa la gravedad de la ausencia de respuestas colectivas y organizadas de los trabajadores frente a la avalancha de injusticias lacerantes de la que somos testigos a diario por un régimen despótico. El director no busca que empaticemos con sus personajes, sino que nos apiademos de ellos, que simpaticemos con su causa y volvamos a unirnos, como hemos demostrado que podemos hacerlo, para vencer a las grandes adversidades de nuestros tiempos. Se trata de recuperar los derechos sociales y laborales básicos, conseguidos a lo largo de décadas de lucha y decenas de víctimas, mártires como los de Chicago a los que hoy sólo recordamos por tener un día festivo más en el calendario. Es imprescindible que se elimine el estigma del profeta solitario, del personaje aislado en busca de un fin perdido; debemos evitar reír las gracias a quienes llaman a este tipo de historias batallitas de viejo senil, o a quienes disfrazan de caricaturesco Don Quijote a personas que se dejan la piel por una buena causa general, porque haciendo esto, Ken Loach nos dice que estamos dando la razón al que sólo busca el beneficio individualizado, la privatización y la supresión de la clase media. Este filme está destinado al público desligado del problema, aquél que tiene la última palabra y puede poner voz a los verdaderos héroes. Héroes que ni tan siquiera se han enterado de que aparecen en una película, porque ellos no van al cine. Así que volvamos al término inicial, el de resistencia, para mantenernos unidos en una oposición ética y política que nos lleve a una colectividad capaz de construir una defensa eficaz frente al avance neoliberal. La perseverancia y la tenacidad de este director por encontrar justicia para el pueblo sólo podía quedar recompensada con tres palabras: Palma de Oro.

…anche con Io, Daniel Blake il cinema di Loach fa meno danni di altri autori. Ma non significa che non ne faccia. La colpa maggiore è avere privato Daniel Blake di quello spirito autenticamente ribelle di Il mio amico Eric e soprattutto La parte degli angeli. Che si vede solo in uno slancio, la scritta sul muro con lo spray. L’unico sussulto di una disperazione che diventa visione-spettacolo. Quello di un cinema politico che cerca il suo pubblico per essere applaudito. Il cineasta mostra la rivolta solo come un teorema (come spesso ha fatto nei suoi film). Le pietre hanno al momento smesso di piovere e gli angeli non volano più.

Ken Loach et son scénariste, Paul Laverty, ont déjà été plus (et mieux) inspirés. Plus fins aussi. Au film de son développement, le film perd inexorabement sa propre énergie. Pourtant le cinéaste nous fond d’emblée au désarroi de son protagoniste avec une note d’humour délectable. D’abord au centre de son attention, le combat de Daniel Blake est ensuite parasité par celui de Rachel nous donnant l’impression que le réalisateur mélange sans y parvenir deux lignes narratives et autant de points de vue. Les réalités de Daniel et de Rachel se répondent-elles en miroir que leur rencontre, aussi humaine soit-elle, semble réécrite au fil d’un montage dont la temporalité est trouble. La démonstration pêche par son caractère didatique et épuise autant qu’elle s’épuise, malgré l’interprétation vérisimilaire d’un casting séduisant.



in inglese:


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