sabato 17 ottobre 2015

The martian (Il sopravvissuto) – Ridley Scott

sceneggiatura del bravissimo Drew Goddard (già regista di un film grandissimo, qui), il film è girato in Giordania.
cose folli, come i teloni di plastica, non inficiano la bellezza del film, il botanico Mark Watney è un Robinson senza Venerdì.
poi è un'americanata, ben fatta, attori bravissimi, gli statiunitensi sono un popolo unito, multietnico, loro colonizzano, come negli western, e meno male che non c'è nessun marziano da sterminare.
e tutto è bene quel che finisce bene, solidarietà, ottimismo e forza di volontà vincono su tutto.
poi ti chiedi quanti sforzi si fanno per salvare un uomo, e come è facile dannarne milioni, e distruggere il mondo.
fatta la tara di questi aspetti ideologici, il film è pieno di trovate, momenti in cui si ride, e il potente di turno (qui la Nasa) viene ridicolizzato da qualcuno che non conta niente, ma poi fa andare avanti il mondo, la burocrazia ha rituali e tempi che non risolvono niente, ma coprono con un tappeto di parole e non verità, quindi menzogne, la realtà.
e poi appare qualcuno che usa la fantasia e risolve i problemi, come il bambino, mutatis mutandis, che scopre che l'imperatore è nudo.
il mondo cambia, i russi non vengono nominati, i cinesi sono i nemici/amici, avversari/alleati dello spazio, e Matt Demon costa sempre un sacco di soldi al contribuente statunitense (meno male per loro che se li stampano da soli, i dollari).
si perde nel deserto, si perde in guerra, si perde nello spazio, e non è la prima volta, non perdetelo di vista - Ismaele






The Martian è una figata senza sosta. Onore a Scott, al suo team di effetti speciali e al talentoso direttore della fotografia Dariusz Wolski, che hanno girato in Giordania per simulare il Pianeta Rosso. Bella anche l’idea di costringere l’annoiato Watney ad affidarsi solo a una compilation di disco music lasciata dal suo comandante. Alcune cose sono davvero indimenticabili. Dopo quasi due anni in solitudine (pensate a Castaway o al più recente Gravity) con qualche imprecazione per sfogare la propria frustrazione, Watney rischia di perdere le speranze. Fortunatamente Damon, un buon attore dal magnetismo che trovate solo nelle vere star, vi terrà incollato al film. Sarete sempre al suo fianco.

…la lunghezza (2 ore e 21 minuti) e le lungaggini, la stessa scelta - teoricamente suicida - di dar luogo a una interminabile “prova d’attore” del legnosissimo Matt Damon, sono altrettanti perfetti correlativi – stilistici e oggettivi – del tema centrale della pellicola, ovverosia la totale flessibilizzazione della forza lavoro, con particolare attenzione alla realtà del lavoro straordinario.
Non solo questo problema è espressamente sottolineato (“Ci costerà una fortuna in straordinari!” esclamano alla NASA, non appena si accorgono di aver dimenticato Matt Damon su Marte); non solo l’unico personaggio davvero “geniale” del film, il nerd interpretato da Donald Glover, è costantemente a pezzi per l’assoluta mancanza di riposo (nella prima scena in cui appare non fa altro che cascare a terra per il sonno, e più avanti lo si vede letteralmente “attaccato” al computer d’ordinanza); ma addirittura gli altri 5 astronauti – e i loro cari sulla Terra! – non battono ciglio di fronte alla prospettiva di restare nello spazio per mesi e mesi più del dovuto, pur di assecondare il piano propagandistico e rischiosissimo portato avanti da Sean Bean (che in quanto neolib “prestato” al governo alla fine non ha  problemi a dimettersi dalla NASA, di contro al direttore che è un burocrate “puro”, con il volto prudente e perdente di Jeff Daniels); e la stessa modalità con cui Bean istiga l’ammutinamento della ciurma dell’Ares 3, ovvero un messaggio segreto inviato hackerando la casella di posta elettronica della moglie di uno degli astronauti, segnala l’abbattimento del confine tra ambito e orario lavorativo e dimensione privata.
Ed è proprio in base allo slogan “Lavorare di Più/Ma Non Lavorare Tutti” (vedi le folle di sfaccendati che seguono passo passo le vicende dell’ Ares 3 dai maxischermi di New York, Londra e Pechino) che va inquadrato lo stesso tema della colonizzazione dello spazio, per come lo affronta The Martian. Non si tratta tanto di arare un suolo vergine e da fertilizzare, in cerca di un’alternativa alla Terra oramai invivibile: “Su questo pianeta non cresce un cazzo” chiarisce subito il botanico Damon a proposito di Marte. Qui si tratta piuttosto di accumulare nuovi rapporti di classe; la precondizione per ritrovare la profittabilità perduta è una rinnovata espropriazione dei lavoratori, ovvero l’azzeramento dei diritti acquisiti per rendere flessibile la prestazione d’opera: espropriazione che, con un “effetto fionda” (altro correlativo messo in bocca a Donald Glover, ma che - rispetto a quello immaginato dall’astrofisico del film - funziona in senso di marcia inverso: da Marte verso la Terra) parte dall’assoluta disponibilità lavorativa dei coloni (Matt Damon, stakanovista del capitalismo suo malgrado, all’inizio del film si trova di fronte alla prospettiva di dover prolungare di quattro anni la missione rispetto al contratto di ingaggio) e arriva fino alla NASA, mobilitandone 24x7 il personale caffeina-dipendente…

la riuscitissima esplorazione delle energie che innervano la personalità del carattere cui (è proprio il caso di dirlo) Matt Damon presta non solo il suo versatile talento, bensì la carne stessa in tutta la sua cruda fisicità. Si tratta di un uomo dalla spiccata propensione a non soggiacere ad alcuna avversità gli si presenti.
Le sue armi migliori sono i nervi saldi, la laurea in botanica, la capacità di ironizzare caparbiamente sullo sventuratissimo reale che lo circonda e lo penetra nel profondo, il desiderio irriducibile di tornare a casa a riabbracciare l’umanità.
E tutto questo emerge con tangibile consistenza grazie alla maiuscola performance dell’attore Premio Oscar, alla sceneggiatura intelligente e stimolante, senz’alcuna ricaduta in eccessivi tecnicismi o stucchevolezze, alla regia che fonde sapientemente momenti di puro terrore, divertimento, arcano spettacolo, senza mai tradire la centralità tutta umana della vicenda, senza concedere vesti pacchianamente eroiche ad alcun personaggio…

Divertente, meno pachidermico del romanzo da cui è tratto e bello dall’inizio alla fine nonostante i 140 minuti di durata, Sopravvissuto – The Martian è tra le cose migliori fatte da Ridley Scott negli ultimi 15 anni e il merito va anche allo script di Andrew Goddard, abile nel dribblare derive rischiose (patriottismo, pipponi scientifici) e nel consegnarci un nuovo Robinson Crusoe con un mix di leggerezza, avventura, dramma e thrilling impensabile dopo lo script imbarazzante di World War Z. E alla fine, anche se non ci sono i piani sequenza di Gravity e i totem filosofici e cosmici di Interstellar sono lontani anni luce, anche questa fantascienza ha una sua profonda (e godibilissima) dignità…

la tecnologia viene infatti messa da parte per un più coriaceo umanesimo, mentre a salvare la situazione, come nei classici del genere (uno su tutti: Jurassic Park), è l’outsider, giovane, apparentemente sprovveduto e intento a fare calcoli notturni con i polpastrelli ancora intrisi di cheese burger o altro junk food di ordinanza. Se però il deus ex machina appare piuttosto accessorio e tutto sommato sostituibile con qualsiasi altra figura attanziale a disposizione della fantasia dello sceneggiatore, è proprio il discorso sul corpo, sull’uomo e la sua coltura delle patate a rivelarsi qui particolarmente interessante. Non solo per risolvere la faccenda è dunque necessaria una progressiva spoliazione tecnologica della navicella, che deve perdere reattori, alettoni, strumenti di comando, fino a ridursi, di fatto, nel solo corpo umano lanciato nello spazio, ma l’individuo nel film di Scott è di fatto un superuomo armato di poteri fitologici: la nuova frontiera del pioniere del vecchio west.
Nulla di nuovo, certo. Ma dopo tutto, mettendo da parte le spiegazioni scientifiche che qui non ci competono, in fondo se diamo retta all’etimologia il film di Scott funziona proprio come un ri-generatore di isotopi (iso – topos = stesso posto) preleva elementi preesistenti, li cambia un po’ di valore e li posiziona per bene. Magari non è arte e non salva la vita a nessuno, ma con i calcoli giusti può sempre funzionare.

2 commenti:

  1. Mi hai riconciliato con questo film caro Francesco , ma in questi ultimi tempi si navigava molto nello spazio a livello cinematografico.
    Premetto che non l'ho visto e non sono una fanatica di Damon, ma dopo la tua esauriente descrizione , penso che non lo perderò..
    Un abbraccio serale piovoso!

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    1. non è il più bel film dell'anno, ma cose buone ce ne sono :)

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