film per psichiatri e psicoanalisti, e per tutti noi.
Michael Powell ha rotto qualche tabù, con questo film, e l'ha pagata, regista troppo scandaloso (perché fa vedere gli omicidi o perché l'assassino è uno come noi, chissà).
Mark è un bravo ragazzo, e le sue pulsioni voyeuristiche/omicide sono una malattia, e l'affetto/amore di Helen, lo aiuterà, forse, a guarire.
precursore di molto grande cinema che verrà dopo, Peeping Tom colpisce ancora oggi.
un capolavoro da vedere e rivedere - Ismaele
The movies make us
into voyeurs. We sit in the dark, watching other people's lives. It is the
bargain the cinema strikes with us, although most films are too well-behaved to
mention it.
Michael Powell's "Peeping Tom," a 1960 movie about
a man who filmed his victims as they died, broke the rules and crossed the
line. It was so loathed on its first release that it was pulled from theaters,
and effectively ended the career of one of Britain's greatest directors.
Why did critics and the public hate
it so? I think because it didn't allow the audience to lurk anonymously in the
dark, but implicated us in the voyeurism of the title character.
Martin Scorsese once said that this movie, and Federico
Fellini's "8 1/2," contain all that can be said
about directing. The Fellini film is about the world of deals and scripts and
show biz, and the Powell is about the deep psychological process at work when a
filmmaker tells his actors to do as he commands, while he stands in the shadows
and watches…
…questo film gioca con il
voyeurismo (o scopofilia) dello spettatore e finisce per ribaltargli contro
questa tendenza; entrando nello specifico si potrà apprezzare la cura con cui
Powell realizza tutto ciò. In prima istanza abbiamo il protagonista Mark,
interpretato dal Carl Boehm (o Karlheinz Böhm) poi pupillo di Fassbinder, che
Powell scelse a partire dal fatto che l'attore fosse figlio di un noto
direttore d'orchestra; molto del film, infatti, ha a che fare con il rapporto
del figlio con un padre "importante". La performance di Boehm crea un
killer a doppia faccia, timido e letale, sadico ma fragile al punto che è
difficile non simpatizzare con lui. Uomo solo, Mark abita in una casa che, come
lui, è divisa in due: una parte è modesta ed essenziale, un letto, un tavolo,
... L'altra parte, dietro il pesante telo (che è quello del cinema e della
coscienza), nasconde la camera oscura, le telecamere e tanti di quei macchinari
che si potrebbe aver l'impressione di guardare il laboratorio di un mad doctor.
Ma la cine-filia di Mark non si ferma qui, è una specie di psicosi che lo porta
ad indentificarsi con la macchina da presa nel momento in cui tocca il proprio
corpo specularmente a come fa Helen mentre sceglie il posto dove appuntare la
spilla. Il feticcio di Mark è la mdp ed è per questo che bacia la lente in
risposta al bacio di Helen, ed è agitatissimo mentre un poliziotto tocca la mdp
come se fosse geloso, o ancor più, come se quella fosse estensione del suo
stesso corpo. In tutto questo gioco di specchi, di chi guarda e di chi è
osservato, la persona che per prima si accorge che qualcosa non va nella vita
di Mark è la madre di Helen, cieca e senza un nome. La donna, interpretata
dalla brava Maxine Audley, è, per il suo difetto fisico, ovviamente fuori dai
giochi e tale cosa le permette per prima di accorgersi dell'inghippo anche se
non sembra aver nessun potere sulle dinamiche dei protagonisti. A livello
tecnico il film sorprende fin dalla prima magistrale scena (qualcosa di simile
si vedrà in Marnie, film
del 1964 di Hitchcock), realizzata in una strada volutamente artificiale
immersa in un insieme innaturale di colori; la ripresa è la soggettiva di una
ripresa di Mark. Poco dopo nel film avremo la possibilità di rivedere la stessa
scena proiettata sul telo nella camera di Mark con lui girato di spalle a
guardare (con e come noi) le immagini. L'Occhio che uccide, film contemplativo e molto limitato nella ricerca
dell'effetto, è non solo un horror-thriller di grande modernità e intelligenza,
precursore di molte pellicole moderne che hanno come nucleo uno psicopatico con
il quale il pubblico "empatizza" (e altri elementi accessori: trauma
infantile, ...), ma è uno dei pochi horror che obbliga lo spettatore a pagare
un pegno psicologico per la visione. Sono tantissime le pellicole di orrore
estremamente violente ma che creano una distanza enorme fra esse e chi le
guarda, tanto che si può ridere di ciò che si vede. Con Peeping
Tom non si creano distanze e il gioco si fa serio:
quanto, dunque, c'è di Mark in ognuno di noi appassionati di cinema? Un
capolavoro, e lo si può dire senza timore di smentite.
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