fa film così a parte che solo gli altri suoi film (di Wes Anderson) possono assomigliargli.
e tanti attori, che spesso sono protagonisti con altri registi, qui fanno la fila per una parte anche piccola (George Clooney qui appare per due o tre secondi, più che un cameo è davvero un'apparizione).
nel film tutto è perfettino e folle, con una sceneggiatura pazza, tutto è gioco, slapstick, sincronismi, inverosomiglianza.
e però alla fine è una gioia per gli occhi, meno per la memoria, la storia sembra quasi un esercizio di stile.
bravissimi gli attori, il ragazzino Zero (Tony Revolori) e Gustave (Ralph Fiennes) sono i più bravi fra i bravi - Ismaele
…Come il Chaplin de Il grande dittatore e il già citato Lubitsch di Vogliamo vivere Anderson vuole farci sorridere delle
innumerevoli avventure a cui sottopone i suoi protagonisti. Questo però non
cancella, anzi accentua, la riflessione su quelle frontiere che troppo a lungo
in Europa hanno costituito punti di non ritorno per decine di migliaia di
persone arrestate e fatte sparire e oggi si ripresentano con altre modalità
meno tragicamente evidenti ma sempre fondamentalmente ostili.
Questo film però vuole essere anche, fin dal suo tanto astratto quanto acutamente lieve inizio, una riflessione sull'arte del narrare. Un'arte che può permettersi di parlare della realtà profittando di quanto di meno realistico si possa escogitare. Le stanze del Grand Budapest Hotel sono innumerevoli quanti i personaggi che le abitano o vi entrano anche solo per un'inquadratura. L'instancabile e vivace fantasia di Anderson possiede la chiave di ognuna di esse.
Questo film però vuole essere anche, fin dal suo tanto astratto quanto acutamente lieve inizio, una riflessione sull'arte del narrare. Un'arte che può permettersi di parlare della realtà profittando di quanto di meno realistico si possa escogitare. Le stanze del Grand Budapest Hotel sono innumerevoli quanti i personaggi che le abitano o vi entrano anche solo per un'inquadratura. L'instancabile e vivace fantasia di Anderson possiede la chiave di ognuna di esse.
Calligrafico. Un film di cui non sentivo il bisogno. Molto
belle le scene, ma non mi basta. Del resto è quel che mi succede un po' con
tutti i film di Anderson e con quelli di Burton. Non penetro nel loro mondo, ma
resto freddo ed estraneo. Peccato perché alla fine mi attrae, e mi piacerebbe
che mi piacesse...
Film
incantevole, dunque. Un vero paradiso per cinefili che strizza l'occhio al
cinema europeo degli anni '30 (da Ernst
Lubitsch a Frank Capra) senza però mai
scadere nella violenza e nella volgarità. Dedicato alla memoria di Stefan Zweig (scrittore austriaco perseguitato dai
nazisti e morto suicida in Sudamerica) è una vera e propria gioia per gli
occhi, da vedere e rivedere.
…L’impatto è spettacolare, ma con il passare del tempo
il film perde consistenza accontentandosi di un accumulo visivo che stupisce ma
non scalda il cuore. Le caratterizzazioni sono strepitose ma senza respiro,
destinate a lasciare il passo all’ebbrezza del regista bambino, divertito dalle
infinite varianti di un meccanismo narrativo che torna prepotente in gioco
nell’ultima sequenza quando il dettaglio sul libro che si chiude interrompendo
la visione, ci ricorda l’importanza del lettore/spettatore, utilizzatore finale
ed anello indispensabile al senso stesso dell'opera d'arte.
…il film all'inizio prometteva altro,
prometteva di sorprendermi a ogni inquadratura, prometteva di raccontarmi una
storia incredibile, mi prometteva l'emozione, il coinvolgimento.
E invece ahimè, poi si stabilizza tutto, poi la storia altro che incredibile, diventa persino più che verosimile, e il coinvolgimento non c'è, o non quello della promessa.
E anche il finale arriva rapidissimo, due inquadrature e tirate su il sipario.
Eppure avrei voluto essere immerso nella storia di un albergo così incredibile, eppure in quella struttura rosa in cima alla montagna pensavo di trovar dentro qualcosa di indimenticabile.
E invece ahimè, poi si stabilizza tutto, poi la storia altro che incredibile, diventa persino più che verosimile, e il coinvolgimento non c'è, o non quello della promessa.
E anche il finale arriva rapidissimo, due inquadrature e tirate su il sipario.
Eppure avrei voluto essere immerso nella storia di un albergo così incredibile, eppure in quella struttura rosa in cima alla montagna pensavo di trovar dentro qualcosa di indimenticabile.
…Si
rimane sempre stupiti con un film di Anderson. Forse questo suo modo
soprannaturale di raccontare storie che non troveremmo da nessuna parte. Il suo
modo di strutturare ogni passaggio e curarlo fin nel minimo dettaglio, ottenendo
un disegno perfetto, eppure mai freddo. Ne viene fuori un affresco leggero e
surreale. Un carosello di infinite sfumature, che rende usuale ogni cosa, anche
quando non lo è.
…Quizá sea “El gran hotel Budapest” la
película en la que Anderson más deja fluir la ternura de sus personajes, todos
ellos tan imposibles como reconocibles en su humanidad. Ralph Fiennes está
simplemente colosal dibujando uno de los mayores iconos de la contención y la
elegancia del cine reciente, al frente de un reparto tremebundo en el que
podemos destacar, por la dificultad que requiere siquiera el hacerse notar ante
tanto monstruo, el trabajo del joven Revolori. Todos corren, saltan, se desean,
se persiguen y se observan en un marco excepcional, en un ambiente belicoso e
inquietante pero tan dulce en su pureza que resulta imposible no dejarse
llevar. Reservad vuestra habitación.
…"El gran hotel Budapest"
tiene unos problemas narrativos enormes, pero Anderson los compensa con una
parte visual personalísima y genial, y con toneladas y toneladas de encanto e
imaginación. Habiendo visto las últimas tres películas de Anderson, yo diría que
esas son las constantes del cine de Anderson. Si sus guiones estuvieran un poco
mejor estructurados, manteniendo la forma tan personal con que cuenta las
historias, sus películas serían obras maestras.
Lo peor de "El gran hotel Budapest" es su
comienzo, ya que tarda una barbaridad en arrancar. Por algún motivo que se me
escapa, Anderson utiliza la narración enmarcada: te mete una historia dentro de
otra historia. En esta película primero te muestra la escultura de un escritor
en la actualidad, luego ese escritor en los 80, interpretado por Tom Wilkinson,
que va a recordar un viaje en los 60 al hotel del título; entonces Jude Law
hace del autor en esa época, y después de demasiado tiempo, se pone a hablar
con el dueño del hotel, que le va a contar la historia.
…Un film trépident, dont le rythme ne
faiblit jamais, mais dont encore une fois l'émotion est la grande absente,
l'humour semblant mettre une telle distance entre spectateur et personnage, que
l'empathie ne fonctionne que moyennement. Reste un vrai spectacle, qui vous en
mettra plein les yeux... et vous donnera l'envie de revenir visiter ce lieu si
particulier. On en redemande.
da qui
io non sono riuscito a vedere clooney...qualcuno mi dice dov'è e che fa?
RispondiEliminaappare alla fine, 2-3 secondi, in canottiera, nella sparatoria
Eliminapiù o meno siamo d'accordo ma io sono stato molto più cattivo di te....
RispondiEliminaLa maschera del cattivo (Bertolt Brecht)
EliminaDalla mia parete pende un lavoro giapponese, di legno,
maschera di un cattivo demone, laccata d'oro.
Con senso partecipe vedo
le vene gonfie della fronte mostrare
quanto sia faticoso esser cattivi.
la prossima volta prendo io la maschera :)
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