da non perdere - Ismaele
QUI il film completo (con sottotitoli
in inglese)
Nel cinema di Koji Wakamatsu, il ritratto del
male è sempre ridotto all'osso, alla sua scarna essenza di squallore e
sofferenza. La sua arte è una poesia sbiadita e rassegnata, diluita
nell'inchiostro annacquato del dolore; ma la reticenza e l’apparente distacco
sono solo l’effetto della lontananza, del dislivello che separa la superficie
della realtà dal fondo dell’anima, in cui si trovano le ferite più gravi ed
insanabili. Il nichilismo dei personaggi di questa storia deriva
dall'impossibilità di arrivare con la mente e con il cuore fino a toccare
quell'abisso, per comprendere l’origine della loro mortale disperazione.
La loro ricerca di un perché si esaurisce nel loro inutile vagabondare su e giù
per le scale di un palazzo, dalla terrazza fino alla cantina: un viaggio astratto
e inconcludente tra i gironi di un inferno interiore, in cui l’unica
certezza raccolta a metà strada è la banale logica della vendetta. Ad avere
senso è solamente un freddo meccanismo assassino, come risposta naturale ed
automatica al cinismo dell’offesa subita, o come radicale rimedio ad un
madornale errore commesso…
da qui
…Ha il difetto di essere parecchio intellettualistico e francamente non sempre comprensibile, ma è riscattato da un talento visivo innegabile e da un sapiente utilizzo dell'unità di luogo (la terrazza). Certamente si tratta di un film intenso, le cui immagini restano negli occhi degli spettatori: possono respingere, ma non certo lasciare indifferenti…
…Ha il difetto di essere parecchio intellettualistico e francamente non sempre comprensibile, ma è riscattato da un talento visivo innegabile e da un sapiente utilizzo dell'unità di luogo (la terrazza). Certamente si tratta di un film intenso, le cui immagini restano negli occhi degli spettatori: possono respingere, ma non certo lasciare indifferenti…
… Pochi
giorni di lavorazione e un budget all’osso raramente hanno prodotto qualcosa di
memorabile al livello di Su su,
per la seconda volta vergine, il film-manifesto del primo Wakamatsu, in cui il
regista condensa, in un'ora abbondante di disagio palpabile, il sottile mix di
esistenzialismo avant e fascinazione per le tematiche di sesso brutale e
violenza efferata. L'amore è lontano mille miglia, un miraggio che per un
attimo sembra concretizzarsi negli sguardi dei due protagonisti, martiri e
carnefici, emblema dell'impossibilità di un rapporto tra i sessi che sia
paritario e basato sulla reciproca soddisfazione. Rabbia e nichilismo che
esplodono in sete di vendetta di fronte alla bestialità del (resto
del)l'umanità, preda di un istinto sessuale insaziabile e perverso tanto nelle
giovani generazioni (i teppisti tossici che si aggirano per il condominio in
cui il film è ambientato) che nelle precedenti (gli scambisti bestiali che
abusano di Tsukio). Violenza chiama violenza in un anno zero post-apocalittico
che in fondo poco ha a che fare con la sua epoca di speranze (il '68 appena
trascorso), mentre molto strettamente si lega al dna post-atomico giapponese o
al declino amaro dell’utopia hippie: tutt'altro che casuale, in questo senso,
il legame con il lato più oscuro evidenziato dall'apparizione sulfurea di Roman
Polanski e Sharon Tate tra le pagine di un manga.
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