giovedì 8 novembre 2012

De helaasheid der dingen (La merditude des choses) – Felix Van Groeningen

tratto da un romanzo di Dimitri Verhulst (ho letto un suo libro, anni fa, "Problemski Hotel", merita), è un film che acquista valore col passare dei minuti, e quando arrivi alla fine sei soddisfatto (merito di  Felix Van Groeningen, oltre che degli attori), la famiglia Strobbe ti ha conquistato.
un piccolo gioiellino, promesso - Ismaele




Van Groneningen fa un film molto "stretto" sui protagonisti, gestendo lo spazio in modo da creare nello spettatore un turbamento claustrofobico che, in sostanza, ricalca quello del giovane protagonista. L'autore propone un film molto sincero in cui, alla fine, non si riesce proprio a disprezzare quei personaggi certamente negativi ma anche così umani.

il film di Van Groenigen si esprime col registro del disgusto visivo, basato su un tripudio di liquidi organici: nella spudorata incontinenza dei corpi si manifesta la disgregazione della morale, che conosce solo il richiamo degli istinti più animaleschi, sia pur, in qualche misura, disciplinati dalle regole della convivialità paesana. Sono i riti collettivi a partorire mostri: le bevute in compagnia, le gare amatoriali di ciclismo, le carnevalate, che a Reetveerdegem sono un invito alla depravazione, individuano nella massa, soprattutto quella confinata nelle aree depresse della provincia, il fertile terreno nel quale germogliano le erbacce.  La bruttura inizia e finisce come un gioco, perverso ma ruspante, rozzo ma fantasioso: è impastato di sudiciume eppure sfoggia colori vivaci, è inesorabilmente tragico, eppure è intriso dei toni della commedia. E, allo stesso modo, riesce ad essere, nel contempo, inverosimilmente eccentrico e genuinamente popolare. Forse il suo segreto è la capacità di passare, in maniera pungente, attraverso tutti e cinque i sensi, con le speziate emanazioni della vita che, godendo, si moltiplica e si consuma.

Quel surprenant tableau de famille que voilà ! Les 4 frères Strobbe sont tous de véritables poèmes : Pieter, l’aîné, tout en muscles et en moustache ne jure que par sa batte de base ball ; Lowie ramène chaque soir une fille différente dans le lit jumeau à celui de son neveu (sa coupe mulet, à faire pâlir un joueur de la Mannschaft, les fait toutes craquer !) ; Koen, le troisième, est insignifiant tant il est déconnecté de la vie réelle. Seul Marcel, le père de Gunther, est réellement attachant. Pourtant ce n’est pas le dernier à boire et à réaliser des paris stupides. Pas facile de grandir avec de tels repères quand on est un adolescent timide et peu doué pour les études…

La vitalidad de los afectos contiene algunas escenas memorables en las cuales no se ahorra descripción alguna. El concurso de beber cerveza, la carrera de ciclistas desnudos, el polvo contra la pared del bar, la borrachera con canciones de Roy Orbison y el baño al aire libre donde cagan los Strobbe son postales de un retrato lamentable, hilarante, despreciable, querible y, sobre todo, sincero. Con el aporte de unas actuaciones soberbias, el relato de Felix Van Groeningen (quien a su vez se basó en la novela de Dimitri Verhulst) entrega toda su visceralidad sin golpe bajo alguno. Por toda la mugre que nos hace ver no hay reproche que hacerle.
Lejos de ese pasado de violencia y peinados ochentosos, el Gunther adulto consigue finalmente convertirse en escritor. De vez en cuando vuelve a Reetveerdegem a visitar a esa tribu de salvajes cuya penosa existencia le valió su obra consagratoria. Claro que con el éxito llegó la vida que tanto anhelaba, junto a una nueva mujer y a un nuevo hijo por los que, ahora sí, siente afecto. Algo así como un salto de calidad que lo alejó del infierno anterior. Van Groeningen no lo juzga, y quizá tampoco deberíamos hacerlo nosotros. Si hay algo que no se le puede señalar a su película, como dijimos, es falta de honestidad.


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