sabato 10 marzo 2012

Cesare deve morire - Paolo e Vittorio Taviani

un grande film, semplice e profondo insieme.
Shakespeare è vivo e parlo a noi e di noi, a ognuno e di ognuno.
grande cinema, non sarà perfetto (dice qualcuno), ma è vivo.
non perdetelo - Ismaele

PS: un indegno ministro della repubblica. qualche anno fa, ha detto che "con la cultura non si mangia", povero ignorante, non sa che di cultura e arte si vive.



i gloriosi fratelli Taviani – Palme d’oro e altri premi alle spalle – sono tornati, e sono tornati con un gran film, bello e semplice, di quelli che filano via dritti senza un inciampo e che con la stessa sicurezza vanno dritti a cuore e viscere di chi guarda. Non ce l’aspettavamo, non se l’aspettava nessuno, diciamolo, la diffidenza era alta, tutti al cinema alle 9 di mattina un po’ sbuffanti e scocciati. Figuriamoci, si diceva, i Taviani, nomi-simbolo di un cinema italiano piuttosto vetusto che oggi si fa fatica ad amare, così smaccatamente e anche sfacciatamente autoriale, con tanto di etichetta d’arte incorporata. Invece no, questo Cesare deve morire, che pure è un film loro, incofondiblmente loro per la sicurezza, l’eleganza, il rigore geometrico della messinscena e della regia, non distanzia come spesso è capitato al Taviani-cinema ma incredibilmente avvicina…
si può parlare di neorealismo all’ennesima potenza, un neorealismo in 3D dal momento che questa emozione risulta così vera e palpabile da potersi quasi toccare. Le scene più toccanti sono quelle in cui, soprattutto durante le prove, riaffiorano i ricordi delle vite passate degli attori e si fondono con le vicende del dramma. Mentre  provano nelle loro celle con i compagni di pena, ritrovano analogie tra la finzione e la realtà, “traducono” ognuno nel loro dialetto le battute del copione unendosi sempre più ai loro personaggi. A poco a poco la preparazione dello spettacolo assorbe  ogni aspetto della loro quotidianità nel carcere e gli altri pensieri e preoccupazioni divengono marginali. In questo modo i detenuti ritrovano la libertà tra le sbarre, riescono ad evadere con la mente e la fantasia guidati dalla forza dell’arte…
E' innegabile che praticamente tutti gli uomini di Rebibbia rendano giustizia ai loro ruoli, ma la reale sorpresa è il Cesare impersonato da Giovanni Arcuri. Il suo fisico possente, il contegno espressivo che ben padroneggia, la palpabile presenza e la facilità con cui declama le sue battute, dovrebbero far valutare ai Fratelli Taviani quanto egli abbia fatto guadagnare all'intero film, e come esso sarebbe stato senza la sua partecipazione, oltre a pensare di poterlo lanciare ancora in ruoli futuri
Le riprese di Simone Zampagni, l'assistente dell'operatore dei Taviani nei loro lavori più recenti, impagina il tutto crudamente e in bel bianco e nero, semplice e memorabile, anche se alcuni potrebbero trovare che le immagini portino in sè un loro contenuto "arty", il quale mostri le sue credenziali di un po' troppo consapevolmente. Mentre la musica è generalmente ridotta al minimo, c'è una ripetizione di un triste tema in alto sassofono che ben trasmette la sfortuna dei protagonisti, e la canzone "Roma, città senza vergogna" fa guadagnare ancora qualcosa al film.
…Nel film anche l’elemento linguistico è fondamentale, si tratta di un crogiolo di dialetti, quelli del Nord, insieme a quelli del Sud, scanditi in un luogo-non luogo, in cui anche il colore quasi sbiadisce, vi é solo un iniziale accenno nel film, in realtà, tutto il racconto, poi, in flashback è in bianco e nero.

Il film dei fratelli Taviani è bello, densissimo di emozioni. E’ un film in cui più che la ricerca della storia, vi è la descrizione di come può nascere ed essere messa in scena una storia. Il livello interpretativo dei diversi detenuti è altissimo, fatto di mimiche e sguardi, che neanche nei migliori studi o accademie è possibile imparare: son cose che o possiedi e vivi, altrimenti risultano pura finzione (come in molto cinema, italiano soprattutto).

Paolo e Vittorio Taviani sono l’eredità di quel che resta di un cinema antico ma anche nuovo, in cui il sociale fa coppia con la poesia, il teatro, il dramma e il documentario si fondono. La gioia dell’arte si fa dolore, come afferma Cassio/Cosimo Rega: “Da quando ho conosciuto l’arte ‘sta cella è diventata una prigione”. Questa volta con lo sguardo in camera. E non c’è nulla che trattenga l’emozione…

L’inizio è ipnotico: i detenuti alle prese con i provini per ottenere i ruoli nell’adattamento. D’un tratto le mura delle celle, i lunghi corridoi e le zone d’aria del carcere diventano un tutt’uno con le sale del potere dell’Antica Roma. La forza visiva trasuda dallo schermo per settantasei minuti di grande cinema.

I veri colpi di genio di «Cesare deve morire» sono rappresentati dalle sequenze in cui i detenuti si lasciano prendere dai pentametri giambici per scatenarli improvvisamente in forti emozioni fuori dal dramma. Momenti in cui la transizione da recitazione a realismo viene eseguita con la massima naturalezza. Il testo shakespeariano prende vita anche lontano dai riflettori e, a quel punto, le emozioni vengono duplicate. Non manca comunque qualche scivolata: si poteva forse tagliare il finale ridondante e la battuta «da quanto conosco l’arte, questa cella è diventata una prigione», pronunciata da uno dei protagonisti…
Si entra e si esce dal palcoscenico virtuale del carcere, la recita si mescola con la vita, così scopriamo che Bruto (bravissimo Salvatore Striano) è fuori da Rebibbia e si è dato alla recitazione.
Per molti di loro non c’è il lieto fine, Cassio (
Cosimo Rega) confessa davanti alla camera da presa: "Da quando ho scoperto l'arte questa cella mi sembra una prigione". Sono facce che rimangono impresse, ritratti di uomini fuori dal comune. Magari averne di più di fratelli Taviani.
Ciò che purtroppo diventa dissonante (anche se non inficia alle radici il valore dell'operazione) è la pretesa di far ‘dire di sé' ai detenuti. Nei momenti in cui dovrebbero uscire dalla parte per rientrare in se stessi si avverte che è proprio allora che stanno recitando un copione che parla delle loro tensioni o delle loro attese. La ricerca della verità nella finzione si trasforma in finzione che pretende di palesare delle verità. Non era necessario. Shakespeare aveva già splendidamente ottenuto il risultato.

8 commenti:

  1. gli spezzoni che ho visto in tv sono emozionanti. Non mi aspettavo più una cosa così bella dai Taviani, finalmente una bella sorpresa
    :-)
    en passant, la grande moda italiana e il made in Italy in generale hanno avuto un grande lancio mondiale grazie a Fellini e Antonioni. Erano gli anni '50 e inizio '60, Antonioni faceva vestire Lucia Bosè e Monica Vitti con abiti bellissimi, e se ci si fa caso nei titoli di testa o di coda c'è sempre il nome della sartoria, con tanto di indirizzo. In USA, o in Giappone, c'era sempre chi prendeva nota: ah, davvero in Italia fanno cose così belle? magari il film poi lo vedevano in pochi, ma erano le persone giuste a vederlo.
    (queste cose alla Bocconi mica le spiegano...)

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  2. davvero bellissimo, certo qui la moda soffre:)

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  3. mi riferivo, ovviamente, alla terribile frase di Tremonti: terribile per ignoranza e inadeguatezza - ma qui è passata quasi inosservata, anzi molti hanno scosso il testone, in segno affermativo... pensare che dopo più di sessant'anni anche in Iran e in Corea c'è chi si ricorda di Vittorio De Sica e di Rossellini, alla faccia dell'Andreotti di turno.
    Questo film dei Taviani diventerà probabilmente un punto di riferimento, è molto meglio di tanti Shakespeare inglesi recenti.

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    1. scherzavo,
      aggiungerei anche la frase del politico di turno, "i panni sporchi si lavano in casa", allora il giovane Andreotti, a proposito di "Umberto D"

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  4. Avevo visto il film dei Taviani a Berlino, sono tedesca.
    Dal prima momento c'era un fascino, una grande tensione.
    Che attori!
    Mi rende conto come il teatro di oggi (almeno in Germania) e povero quando si vede come si recita in un carcere italiano...

    Voi, che siete a Roma, bisogna andarci!

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    1. anche nelle altre città italiane, se lo fanno vedere:)
      vero, una tensione che non molla.
      e grazie al commento tedesco:)

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  5. Un film che mi attrae molto. Spero di poterlo vedere, anche perché secondo me i Taviani sono stati un po' dimenticati.

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    1. ho visto su Imdb, hanno fatto 17 film per il cinema in 40 anni, e 5, soltanto, negli ultimi 20 anni.
      la maggior parte non li ho visti, proverò a fare un po' di recupero.

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