un film bello e terribile, la donna scimmia si innamora del suo aguzzino, e poi muore.
in mezzo succedono tante cose, la donna scimmia è una fonte di reddito per Tognazzi, e la nascita del bambino (in una versione nasce morto, in un'altra nasce vivo) e la morte della donna sono un problema.
un film che non lascia scampo, da non perdere assolutamente.
vuona (pelosa) visione - Ismaele
QUI si può vedere il film completo
anche se non amo alla follia il cinema di Ferreri non ho
potuto fare a meno di innamorarmi di questo film che ,pur essendo lontano nel
tempo,è di un'attualita'sconvolgente per i temi che tratta.Innanzittutto tratta
la spettacolarizzazione di una qualsiasi anomalia:il protagonista trova questo
singolare esemplare di donna irsutissima in un convento e per un pugno di
spicciolie se la porta via al fine di organizzare uno spettacolo dal vero e
fare quintalate di soldi,arrivando anche a sposarsela.Io ci ho visto una
gustosa anticipazione dello squallore che regna sugli schermi odierni ormai
paralizzati dall'ingolfamento di reality show.A mio parere c'è anche un attacco
alla scienza medica per cui tutto diventa oggetto di studio e di scambio a
scapito anche della vita del paziente.E infine il cinismo:una censura stupida e
troglodita fece passare un altro finale buonista.Il finale invece con Tognazzi
che reclama il corpo della moglie e il corpicino del figlio col solo fine di
esporli per fare altri soldi è un finale di cinismo e cattiveria
inarrivabili.Nell'Italietta del boom economico mentre Risi dava la sua versione
del miracolo economico italiano Ferreri armava un obice contro tutti i
benpensanti e sparava la sua personalissima visione dell'arricchimento del
popolo italiano:arricchimento fatto a scapito dei piu'deboli.Il personaggio di
Tognazzi pur derivando dalle migliori interpretazioni della commedia
all'italiana è di meschinita'unica,la Girardot invece dimostra di essere di
sensibilita'straordinaria.Un film da rivedere e rivalutare ampiamente
A mio parere il film più "cattivo" nella
storia del cinema italiano. Acuto, grottesco, cinico, il capolavoro di Marco
Ferreri, ancor più della Grand Bouffe. in altri film troppo spesso Il
regista si è "perso" nelle sciatterie "tecniche",
fotografia e montaggio al limite dell' amatoriale (invece sempre grande
attenzione per le musiche), recitazioni sciatte o fin troppo sopra le righe,
sceneggiature dove il nonsense o il gusto del grottesco e dell'assurdo
rimanevano giochi fini a sè stessi e spesso i critici li hanno
tacciati per capolavori come spesso si fa con ciò che non si
capisce,per non fare la figura del "fesso stupido". La
Donna Scimmia, non cade in questi errori, è un piccolo grande capolavoro, nella
sceneggiatura, nella recitazione, con personaggi che anticipano i caratteri
felliniani di Amarcord (il professore guardone, la vecchia governante, l'agente
teatrale, la terribile scena dell'esibizione della novia), ma senza il
buonismo del ricordo felliniano. Ferreri è lì a ricordarci della cattiveria
umana e del suo cinismo, senza scampo e senza resurrezione. Ah, quando avremo
un altro "cattivo " così nella storia del cinema?
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(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5). |
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«[...] "La donna scimmia" ha un ritmo interno asciutto e
preciso, che non sbaglia né la costruzione dell'atmosfera né la descrizione
dei caratteri: fra Tognazzi e Annie Girardot, peraltro, è quest'ultima che ci
è piaciuta di più, in una parte terribilmente ingrata [...]. Ricorda la
Giulietta Masina della Strada, con una carica di commozione ancor più
accentuata dal contrasto con la cinica incoscienza del suo compagno. Il
quale, appunto perché non ha la brutalità di Zampano né l'aspetto rozzo di
Anthony Quinn [...], assolve bene al compito di isolare artisticamente la
figura di Maria, ma tradisce un'origine macchiettistica che forse poteva
essere evitata con un maggior controllo nella recitazione: il personaggio,
che rischiava di diventare indimenticabile, si limita così a essere
semplicemente paradossale e ad effetto. [...]». |
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Angelo Somi, Oggi, Milano, 30 gennaio 1964. |
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«[...] Qui Ferreri e Azcona rovesciano implicitamente in senso laico, un
rapporto come quello tra Zampano e Gelsomina, descritto nel vecchio film di
Fellini "La strada". Tuttavia, anch'essi non hanno ottenuto questo
risultato, se non a patto d'una certa astrazione. Cosicché l'universo di
Antonio e Maria appare davvero qualcosa di assai particolare, di fine a se
stesso, di idealizzato sia nell'orrore, sia nella pietà. E Antonio,
nonostante le intense sfumature che Tognazzi, forse alla sua prova più alta
gli conferisce, non risulta sufficientemente limpido e motivato, soprattutto
nel risvolto finale, ch'era quello decisivo. [...]». |
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Ugo Casiraghi, L'Unità, Milano 7 febbraio 1964. |
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«[...] Ferreri ha tratteggiato con molta delicatezza la figura del povero
mostro, attribuendole i sentimenti d'una donna normale [...]. Anche il marito
della donna scimmia, pur con qualche ambiguità di disegno, è un personaggio
riuscito. L'interpretazione di Annie Girardot è eccezionale per efficacia e
intelligenza della parte. Ugo Tognazzi un pò generico, riesce tuttavia a
convincerci della sua complessiva umanità». |
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Alberto Moravia, L'Espresso, Roma, 9 febbraio 1964. |
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«[...] Forse la miglior prova della maturità raggiunta dall'attore
Tognazzi nel controllo delle sue risorse espressive e in "La donna
scimmia": pensiamo soprattutto agli intensi primi piani del protagonista
accanto al letto della moglie morente. Ma è comprensibile che il pubblico non
abbia acconsentito a un film che contraffaceva troppo i lineamenti del più
originale personaggio del nuovo cinema comico. [...]». |
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Vittorio Spinazzola, Ferrania, Milano, n. 2, febbraio 1967, p. 27. |
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«[...] "La donna scimmia" assomiglia a "La strada"
più che a qualsiasi film. [...] Tognazzi, che i più hanno trovato un pò
debole in questo film, ci sembra invece esemplare nella sua ambiguità di uomo
medio, né buono né cattivo, legato al carro di un sistema dal quale non può
assolutamente sciogliersi; non meno convincente di una Annie Girardot
patetica e coraggiosa [...]» |
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Tullio Kezich, La Settimana Incom Illustrata, Milano, n. 9, 1 marzo 1964,
p. 70. |