il film è incentrato su una strage che si credeva seppellita per sempre, invece a volte ai morti qualcuno dà voce.
i polacchi brava gente volevano rubare le terre degli ebrei e anziché lasciare fare il lavoro sporco ai nazisti hanno fatto da soli.
è un film sulla memoria storica, sul riconoscimento delle colpe dei padri, sullo riuscire a ridare il nome a ciascun dei morti ammazzati.
non c'è niente di allegro in questo film, e sarebbe osceno se ci fosse.
pare che non sia stato amato in patria, e già questo è un buon motivo per non perderlo.
l'incredulità e il dolore di Franek e Jósef di essere nati e cresciuti in una terra di morti, calpestando i morti, cresciuti in un villaggio di assassini, cresciuti da assassini, è indescrivibile.
cercate Pokłosie, guardatelo e soffritene tutti (per un gran film è un sacrificio più che accettabile) - Ismaele
Il ritorno è l’inizio di un storia solo se porta ad accorgersi che nulla è più come prima. Che ci sono nuovi perché, affiorati col tempo, che unicamente chi viene da fuori può cogliere, per effetto dello straniamento provocato dalle cose che, impercettibilmente, e senza un’apparente ragione, poco a poco cambiano. Un familiare è diventato un estraneo. Una vita normale si è trasformata in un incubo. Franciszek Kalina, emigrato dalla Polonia a Chicago ai tempi di Solidarnosc dopo vent’anni ritorna al villaggio d’origine, dove il fratello Józef è rimasto solo ad abitare nella vecchia cascina. La moglie ed i suoi figli lo hanno abbandonato: sono scappati di casa, ed hanno attraversato l’oceano, trovando rifugio presso il cognato negli Stati Uniti…
…Nel 2012 è uscito il film Poklosie (o Aftermath) del
regista Władysław Pasikowski, che affronta il tema dei polacchi ebrei trucidati
dai propri concittadini. La trama s’ispira al pogrom di Jedwabne (Polonia
nord-orientale, occupata durante l’operazione Barbarossa, l’invasione dell’URSS
da parte della Germania), che ebbe luogo il 10 luglio 1941: 340 ebrei polacchi
del villaggio furono rinchiusi da altri polacchi (su ordine della Ordnungspolizei) in un granaio, cui fu appiccato il
fuoco. Gli ebrei morirono tutti bruciati.
Il 4 luglio del 1946, a Kielce, città
della Polonia centro-meridionale, si consuma il peggiore massacro del
dopoguerra (con i tedeschi ormai fuggiti): 42 ebrei, dei 200 tornati dai lager
nazisti, perdono la vita (80 i feriti) nel pogrom scatenato dai loro vicini di
casa, mentre le forze dell’ordine restano a guardare. Al loro rientro i sopravvissuti
non sono, infatti, bene accolti: non amati perché ebrei, e ora considerati
anche traditori filosovietici. Complici della tragedia consumata, la miseria e
delinquenza diffuse in una popolazione abbrutita dalla guerra: gli ebrei
ritornati reclamano le loro proprietà (terreni e beni immobili) che i nazisti
non hanno depredato, ma nel frattempo sono state spartite tra i polacchi non
ebrei. Le richieste degli scampati allo sterminio suscitano odio, anziché
solidarietà. I fatti di Kielce dimostrano quanto l’antisemitismo fosse radicato
in gran parte della popolazione polacca, anche dopo e nonostante la Shoah…
Nei cinema polacchi da pochi giorni è in programmazione un film sul pogrom di Jedwabne, Poklosie (Dopo il raccolto) di Wladyslaw Pasikowski. L’orgia di polemiche sollevata dalla pellicola supera di molto, va detto, la soglia del ridicolo. Che farci, a nessun popolo piace veder svelate le proprie bassezze. D’altro canto, il successo di Poklosie sembra enorme. E io non ricordo di aver visto nella lista dei campioni d’incasso film sulle atrocità italiane in Etiopia, in Grecia, in Iugoslavia. E dalla colpa nessuno sembra essere esente. “Persino noi olandesi – mi diceva un’amica – che ci siamo sempre ritenuti i migliori, ora andiamo scoprendo i nostri peccati. Mio padre aveva 15 anni nel ‘40, quando i nazisti invasero il nostro paese e introdussero le leggi razziste. Il suo professore di letteratura olandese al Liceo venne un giorno in classe e disse: Ragazzi, io e altri professori ce ne dobbiamo andare. Addio. Raccolse le sue cose in silenzio e nessuno degli studenti disse neanche una parola. E’ questa la colpa di mio padre, e non riesce a farsene una ragione”.
…The intense chain-smoker Franek (Ireneusz
Czop) has lived in Chicago for the last 20 years, since 1980, and returns for a
summer visit to his estranged younger brother Jósef (Maciej Stuhr),
who lives alone on his family farm. His wife and kids abandoned him to move to
Chicago without saying why, which is a reason for the brother’s visit. The
tense visit is made more eerie by how the neighbors ostracize and hate Jósef,
and his life is threatened when he begins to dig up and collect Jewish
gravestones that the town wants to forever hide by covering them in asphalt for
their new roads.
The antagonistic to each other brothers
start investigating for real what happened to the 26 Jewish families in the
village of Jedwabne at the time of the Nazi occupation and are
startled to eventually learn that it was not the Nazis that killed the over 200
hundred family members but the Poles in their village, including their father,
in the pogrom in 1941. They were repelled to find out they excused the savage
killings as payback for the Jews killing Jesus and to take over their
properties. This massacre was covered-up until the brothers dug out the truth,
including how their family is also tainted by the horrific war crimes.
When these horrible facts were revealed
in the Gross book and then in the film, sponsored by the state, that the Poles
were as ruthless and bigoted as the Nazis, it stirred up a national controversy
and a return to open anti-Semitism in the press despite the country’s lack of
Jews. As an historical film, it’s a compelling watch even if it hits you over
the head with an ax and is not particularly entertaining. Such hard-hitting
expose films are rare and, in my opinion, need to be made more often.
…This is an incredibly moving film which
is on one level the bond between two very different brothers. Franck is
taciturn and confrontational but at the same time he didn’t have the decency to
return home for the funeral for his parents. Jozef is stubborn and unforgiving
but has a curious soft spot for the underdog. Both men, surprisingly, are what
I’d call environmental anti-Semites. They habitually refer to Jews as “Yids”
and often say things that convey their low opinion of Jews in general and
Polish Jews in particular. Franck even intimates that the troubles Poles have
getting decent jobs in the U.S.is due to Jewish interference.
They do make the unlikeliest of
righteous men but yet they are. It works making them so un-heroic in many ways.
These aren’t American action heroes who use their fists to get themselves out
of sticky situations; they get beat up and they often seem to go out of their
way to avoid conflict but who can blame them – at every turn they are attacked
verbally and physically by the townspeople and the new rector (Radziwilowicz)
arrived to replace the retiring priest for some odd reason is stirring the town
up to do so.
Czop and Stuhr deliver raw,
honest performances that depict the brothers as deeply divided and unsure how
to bridge the gulf between them until this common cause unites them. They are
dogged more than brilliant and stubborn more than compassionate. Perhaps the
problem that some conservative Poles have with the film is that none of the
Poles in the movie come off as good guys.
This isn’t a movie for the faint
of heart. It tackles the issues of hatred, greed and suspicion in the real
world and it does so in a real world way. While I saw this movie at the Central
Florida Jewish Film Festival, there are no living Jews in the movie until the
final scene – and yet the ghosts of the Jewish dead in the Holocaust hang heavy
over the film itself. This is the kind of movie that will leave you speechless
and is much worth seeking out if you can find it (the official website has a
list of theaters playing the movie if you want to click on the picture above
and find out if it’s playing near you). It is another contender in what is
turning out to be a very strong year for independent films as one of the best
of the year.
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