La scorsa
settimana è morto Niki Lauda. Niki Lauda è una delle ragioni per
cui mi piace il cinema.
E che
c’entra un pilota di Formula 1 col cinema?
C’entra,
c’entra... Basta scrivere una sola parola: Rush.
Era l'estate
del 2013 quando mi innamorai del trailer di Rush, film di Ron
Howard incentrato sulla rivalità fra Lauda e James Hunt,
che infiammò la Formula 1 degli anni '70.
I trailer,
si sa, possono spesso risultare ingannevoli; tuttavia, mi convinsi che in
questo caso non era così, rivedendolo più e più volte, rapito dalla storia e
dall'estetica di quei due minuti e mezzo circa.
Era agosto e
bisognava attendere settembre per l'uscita del film nei nostri cinema.
Settembre
arrivò, portando con sé l'autunno e il film.
Prima di
entrare in sala, provai una sensazione mai vissuta prima: ero certo sarebbe
stato un bel film, non poteva essere altrimenti.
Su questo
tornerò a breve, perché prima vorrei spendere due parole sulla pellicola.
La tag-line
di Rush, "La loro rivalità li rese una leggenda", rivela
il cuore pulsante della narrazione: la lotta (senza esclusione di colpi) fra
Lauda e Hunt; il primo motorizzato Ferrari, il secondo a bordo della McLaren.
Un duello
continuo, non solo in pista ma anche fuori: il principale merito del film sta
nel travalicare la dimensione sportiva per arrivare a parlare di vita vissuta -
opportunamente romanzata, ma credibile nel complesso: i duellanti sono
descritti non solo come piloti ma anche come uomini.
C'è
un'evidente dicotomia fra Lauda e Hunt, dicotomia che risalta sequenza dopo
sequenza: il primo è scrupoloso e metodico, vincente e per questo inviso al
circus della F1; il secondo ha talento ma non si applica (direbbero i maestri
di scuola), preferendo al duro lavoro la dolce vita.
Tuttavia, i
due si spingeranno vicendevolmente ai propri limiti per la vittoria del titolo
mondiale.
Ottime sono le interpretazioni dei due protagonisti, Daniel Brühl e Chris Hemsworth.
Brühl era
essenzialmente conosciuto al grande pubblico per Bastardi senza Gloria di Quentin
Tarantino dove recitava nei panni dell’infallibile cecchino Frederick
Zoller; Hemsworth, piacevole sorpresa, aveva da poco indossato il costume
di Thor, nell’omonimo film e in The Avengers,
misurandosi per la prima volta in ruolo drammatico grazie a Ron Howard.
Prima
di Rush, Ron Howard aveva già trasposto sul grande schermo storie
realmente accadute: Apollo 13 e A Beautiful Mind ne
sono fulgidi esempi.
Per Rush si
avvalse di una sceneggiatura firmata da Peter Morgan, perlopiù
conosciuto come il creatore di The Crown, rinomata serie
targata Netflix.
Così, questa
storia vera - già appassionante di per sé - è diventata un film avvincente,
impreziosito da notevoli effetti visivi e sonori.
Ne è
testimonianza la scena riguardante il pauroso incidente che vede coinvolto
Lauda sul circuito tedesco del Nürburgring, il 1° agosto 1976: il rombo
dei motori, l’enfatica colonna sonora di Hans Zimmer e il
montaggio dal ritmo rapido in cui si alternano movimenti di macchina, primi
piani del pilota, soggettive e dettagli della monoposto.
Anche la
cura per le scenografie e i costumi, che ben restituiscono le atmosfere degli
scintillanti anni ‘70, epoca in cui piloti e sportivi iniziavano ad assumere le
sembianze di rockstar, contribuiscono a immergere lo spettatore nella storia
raccontata.
Torno a quel
settembre 2013: la sensazione che ebbi prima della proiezione si rivelò esatta.
Vidi un film
adrenalinico, in più di una sequenza le mie braccia restarono saldamente incollate
ai braccioli della poltrona.
Uscito dalla
sala, avevo la pelle d’oca.
A distanza di anni, posso tranquillamente affermare che Rush ha
contribuito allo sviluppo del mio amore per il cinema: perché?
Perché in
quelle due ore circa, io ho creduto d’essere un pilota di Formula 1, di
sfrecciare a 200 km/h insieme a Niki e James.
Io, che su
una strada deserta con il limite di velocità fissato a 120 km/h, a
malapena supero i 70!
E non è
questa - forse - la parte più bella del cinema?
Mi riferisco
all’immedesimazione in storie e personaggi; una celebre citazione di Umberto
Eco sulla lettura:
"Chi
non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria.
Chi legge
avrà vissuto 5000 anni [...] perché la lettura è un'immortalità all'indietro".
Può
tranquillamente essere applicata anche al cinema.
Questo è
vedere un film: vivere altre vite, con lo schermo che diventa una sorta di
portale, attraverso il quale si accede ad altri mondi e altri tempi.
Qualche
esempio?
Guardi 2001:
Odissea nello Spazio e ti ritrovi in un gruppo di ominidi intenti ad
esaminare un monolito nero, giunto da chissà dove; guardi Pulp Fiction e
sei catapultato in una bizzarra conversazione sui massaggi ai piedi, portata
avanti da due sicari che stanno per entrare in azione.
E la lista
di tali esempi potrebbe essere molto lunga.
Il cinema è
contemporaneamente finzione e realtà: sarebbe davvero un peccato non lasciarsi
coinvolgere da questa magia avvolgente.
In conclusione,
se mi chiederanno perché mi piace il cinema, io potrei rispondere: "Niki
Lauda".
Probabilmente
qualcuno mi prenderà per pazzo; qualcun altro, dopo aver letto queste parole,
capirà.
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