tre donne sono in viaggio per risolvere il problema, se mai ci riusciranno, saliranno una scala, trovando dei morti, e parlandosi spesso una contro l'altra, ma l'ascensione tocca a loro.
non sanno cosa troveranno, se arriveranno vive, hanno una missione, per conto di loro stesse, forse.
film coinvolgente o del tutto folle, a me è piaciuto molto.
provateci, non fidatevi di quello che si dice in giro - Ismaele
…Siamo in un futuro imprecisato. Il Creatore (Dio) è morto, ucciso da un’entità sconosciuta che col suo atto ha reso l’umanità intera immortale e dotata di poteri sovrannaturali: in seguito a ciò il mondo si è lentamente distrutto, andando completamente in rovina. Tre donne iniziano la scalata verso quest’entità rea in un palazzo altissimo dove regnano la morte, la pestilenza e strani fenomeni paranormali, decise a mettere fine una volta per tutte ad un mondo in disfatta, colpevole di non aver saputo gestire tanto potere. Dopo svariato tempo una delle tre riesce ad arrivare in cima alla costruzione, scoprendo l’identità del famigerato essere e…
Una dimostrazione davvero potente quella del
talentuoso autore in questione. Un dramma che va oltre la semplice prova di
forza visiva o filosofica, proiettando un’immagine di umanità davvero
imbarazzante. Hussain qui trova il coraggio di guardarsi allo specchio per
derivarne tutti i caratteri umani necessari, comprendendo non solo la necessità
di una pellicola che davvero mostri il volto masochista dell’uomo, ma anche la
natura di fatto stolta e pessimistica che viene rivelata dallo stesso vivente e
che codifica l’esistenza stessa. Il mondo che viene mostrato è appositamente
ridotto al nulla totale, gli unici esterni mostrati riprendono le primissime
vicinanze del palazzo, ovvero strade deserte, con rovine dappertutto, e
l’interno dell’edificio non è diverso. Le tre donne sono diversissime tra loro
e le loro storie, le loro convinzioni personali saranno il pretesto per mettere
a fuoco la vera essenza dell’uomo, che riesce ad autodistruggersi pur partendo
da basi perfettamente stimabili. Il viaggio che loro compiono è difficile, con
l’avanzare e l’avvicinarsi della cima aumenteranno i dolori e le sofferenze. La
strada è disseminata di morti con gli occhi cavati per la paura di scoprire
cosa li attende in cima, metafora dell’ottusa paura dell’essere di fronte alla
morte. Il palazzo, nonostante da fuori appaia modestamente alto, all'interno
sembra non finire mai, le rampe sono immense, e la loro infinitesimalità
permette di focalizzarsi meglio sul senso intrinseco alla storia. Un film
quindi ricco di richiami allegorici e filosofici, un’opera che punta molto su
ciò che si cela dietro alle apparenze, e che costringe chi osserva a farsi una
propria opinione, ad addentrarsi più profondamente nella lettura di ciò che
contempla, perchè in definitiva di contemplazione si parla qui…
… Un film enorme, una vera e propria lezione di
cinema per come dovrebbe essere. Un grandissimo, massimizzante quadro umano che
denuncia, riflette, condanna e infine distrugge ogni possibile arbitrarietà,
delineando una visione d’insieme realisticamente pessimistica e conscia
dell’ineluttabilità di un mondo dove il libero arbitrio e la potenza portano
alla morte.
''Ascension'' è un film profondamente conturbante. Un' opera
inclassificabile, unica.
Un lento ed estenuante cammino ascensionale. Un Tarkovskij orrorifico.
''Ascension'' è pura anarchia spirituale, mero nichilismo trascendentale. Dio è morto.
Il lavoro del canadese Karim Hussain è un atipico horror filosofico. 'Ascension' è una terrificante benedizione per il Cinema. Una visione assolutamente straniante.
Capolavoro
Un lento ed estenuante cammino ascensionale. Un Tarkovskij orrorifico.
''Ascension'' è pura anarchia spirituale, mero nichilismo trascendentale. Dio è morto.
Il lavoro del canadese Karim Hussain è un atipico horror filosofico. 'Ascension' è una terrificante benedizione per il Cinema. Una visione assolutamente straniante.
Capolavoro
…gli omaggi a Stalker di Tarkovskij sono tanti e balzano
subito all’occhio, dalla scelta del numero delle protagoniste, passando per gli
innumerevoli dialoghi, fino al finale.Ambientato interamente in un edificio
(che le tre donne dovranno scalare in tutta la sua lunghezza, poiché all’ultimo
piano si trova l’entità da uccidere, in una semplice ma riuscita metafora del
percorso difficile e irto di difficoltà che è l’auto-miglioramento e la
scoperta di sé), la pellicola di Hussain si snoda attraverso le asfissianti
inquadrature metalliche di macchinari giganteschi, scale arrugginite,
serpentine infinite di tubi. L’opprimente sensazione di chiuso e di distacco
del nostro mondo moderno, si percepisce in ogni singola inquadratura (molto
bella la sequenza dove la macchina da presa si deve divincolare in un groviglio
senza fine di travi, per arrivare ad inquadrare le protagoniste).Gli uomini
hanno avuto il potere, quel potere che sembravano bramare più di ogni altra
cosa e al quale aspiravano da sempre e, ora che l’hanno ottenuto, ora che sono
padroni assoluti di se stessi, ora che hanno nelle loro mani le redini delle
proprio vite, insomma ora che sono Dio, il mondo è diventato un inferno senza
scampo. Nella sua sete mai sopita di auto-disfacimento, l’uomo ha portato morte
e distruzione in ogni luogo.In un mondo siffatto, l’unica speranza sembra
essere la fine, il nulla. L’oblio perpetuo. Ma, fondamentalmente, la pellicola
di Hussain non è così pessimistica e nel bel finale ci propone una via
alternativa…
…Le réalisateur canadien exploite
ici au maximum l'architecture particulièrement intéressante d'une usine désaffectée
pour créer un univers post-apocalyptique avec finalement peu de moyens, aidé en
cela par une photographie très froide, utilisant le plus souvent une
colorimétrie tendant vers les gris et les bleus. Le film est une interminable
ascension d'un bâtiment pour trois femmes à la recherche de l'assassin de Dieu.
Cette montée ne se fera pas sans difficulté, entre fatigue et vieillissement
des protagonistes. L'histoire tourne essentiellement autour de ces trois
femmes, interprétées par Marie-Josée Croze ("Ne le dis à personne",
"Je l'aimais", "Un balcon sur la mer"), Ilona Elkin
("End of the Line", "Confessions d'un homme dangereux") et
Barbara Ulrich ("Danny in the Sky"), qui au cours de leur ascension
discuteront sur divers sujets existentiels (genre : As-tu déjà eu un orgasme?)…
…A l'instar de ses précédents travaux, ce
«Ascension » ferait passer Tarkovki pour un actioner. Il faut dire qu'avec
son néant à la « Stalker » (1979), ce lieu désertique n'a rien de
bien vivifiant. Cette absence de mouvements risque à elle seule de faire fuir
celui qui ne savait pas où il mettait les pieds.
La première variation d'Hussain est le rôle du langage. Amoureux des performances techniques, il va pendant les 2/3 du métrage modifier son approche du langage verbal. Alors qu'il était habituellement un argument venant soutenir l'image et le son, il vient ici supplanter l'apparence. A ce petit jeu la qualité s'en ressent. Si les discussions philosophiques lapidaires étaient une marque de fabrique, leur utilisation répétée, toujours selon une articulation monotone, fonctionne assez mal quand il s'agit de long-cours. L'écriture se fait par instant brouillonne et on sent les creux des échanges.
Une forme d’ambiguïté vient heureusement semer le doute dans le petit groupe. Des secrets gardés et des pointes d'humour noir – discrètes – détendent un peu le nerf de son approche métaphysique.
On se rapprochera petit à petit des explorations plus graphiques du cinéaste au fur et à mesure de l'ascension, se rapprochant de la rencontre avec cette entité.
Le propos, comme il a été dit, est un peu pataud mais il n'en demeure pas moins intéressant. On retrouve l'obsession de l'humain et de ses écueils, sa distanciation avec Dieu, la composante viscérale supplantant notre magnifique logique jusqu'à épuisement de l'homo sapiens sapiens.
Une fois n'est pas coutume on a l'impression d'inégalité qui prédomine surtout que le cadre ne bouge guère donnant encore plus de poids aux dialogues…
La première variation d'Hussain est le rôle du langage. Amoureux des performances techniques, il va pendant les 2/3 du métrage modifier son approche du langage verbal. Alors qu'il était habituellement un argument venant soutenir l'image et le son, il vient ici supplanter l'apparence. A ce petit jeu la qualité s'en ressent. Si les discussions philosophiques lapidaires étaient une marque de fabrique, leur utilisation répétée, toujours selon une articulation monotone, fonctionne assez mal quand il s'agit de long-cours. L'écriture se fait par instant brouillonne et on sent les creux des échanges.
Une forme d’ambiguïté vient heureusement semer le doute dans le petit groupe. Des secrets gardés et des pointes d'humour noir – discrètes – détendent un peu le nerf de son approche métaphysique.
On se rapprochera petit à petit des explorations plus graphiques du cinéaste au fur et à mesure de l'ascension, se rapprochant de la rencontre avec cette entité.
Le propos, comme il a été dit, est un peu pataud mais il n'en demeure pas moins intéressant. On retrouve l'obsession de l'humain et de ses écueils, sa distanciation avec Dieu, la composante viscérale supplantant notre magnifique logique jusqu'à épuisement de l'homo sapiens sapiens.
Une fois n'est pas coutume on a l'impression d'inégalité qui prédomine surtout que le cadre ne bouge guère donnant encore plus de poids aux dialogues…
Nessun commento:
Posta un commento