sappiamo
che la nostra vita finirà, è normale, pensiamo e lo è, ma non cambia
praticamente niente nella vita di tutti i giorni.
quando
sai che la data di scadenza, con grande precisione, è fra pochi giorni, allora
cambia tutto.
non puoi
più controllare niente, succederà quella cosa, finale.
i
personaggi del film sono tutti lì, in attesa, girando la faccia, non
ascoltando, sperando, poi non c'è niente da fare.
qualcuno
non ce la fa, ad aspettare, per qualcuno sarà una liberazione dai tristi
pensieri quotidiani, i bambini non capiscono bene, non hanno niente da perdere,
tutti aspettano.
e quando
tutto questo lo vedi in un'opera dove la profondità dei personaggi è davvero
buona, lo spessore del ragionamento fatto sopra appare con una chiarezza e
una terribile bellezza che hanno solo le grandi opere d'arte.
cercatelo
e godete e soffritene tutti, è davvero uno di quei film che resisteranno al
tempo, sicuro - Ismaele
…Rasentando le logiche dell'incubo in una stridente intensità
che accorda lo stato d'animo dello spettatore a "l'epoca dei miracoli
crudeli" di Von Trier - con l'accompagnamento di una fotografia sontuosa e
del prologo al "Tristano e Isotta" di Wagner - è un'ouverture grandiosa
e solenne che non lascia spazio a speranze alcune: piogge di uccelli morenti,
piedi che affondano in un terreno marcio, Melancholia che infine distrugge la
Terra.
Nella sua abbagliante bellezza questo prologo, composto da tableau vivant che decidono d'animarsi, offre uno dei momenti più estetizzanti del cinema degli ultimi anni. Con buona pace di trascurabili interpretazioni psicologistico-biografiche circa l'autore è importante invece restare aderenti al tessuto del filmato. Al cammino delle due sorelle, Justine (Kirsten Dunst) e Claire (Charlotte Gainsbourg), verso l'inevitabile morte….
Nella sua abbagliante bellezza questo prologo, composto da tableau vivant che decidono d'animarsi, offre uno dei momenti più estetizzanti del cinema degli ultimi anni. Con buona pace di trascurabili interpretazioni psicologistico-biografiche circa l'autore è importante invece restare aderenti al tessuto del filmato. Al cammino delle due sorelle, Justine (Kirsten Dunst) e Claire (Charlotte Gainsbourg), verso l'inevitabile morte….
… Il solco naturale della morte è l'orizzonte di
"Melancholia", o meglio: lo scarto abissale tra la certezza della
propria morte e la certezza nella data della propria morte. Nel primo caso
l'uomo conduce la propria vita come fosse immortale, nel secondo è chiamato ad
affrontare la sua più intima natura, quella dell'essere votato alla fine.
Dell'essere un destino di morte. Se perciò il sentiero è già intrapreso è il
cammino tutto ciò che conta….
…Von Trier non ci parla della Fine ma dell' Attesa della Fine. Melancholia finisce dove di solito tutti gli altri film catastrofici iniziano.
Melancholia racconta
l'apnea, non il momento in cui si affoga.
Perchè,
e Von Trier lo sa, l' Uomo non ha tanto paura della morte quanto del saper di
dover morire.
Si
parte con un prologo in cui per la seconda volta (dopo Antichrist) il
regista danese ha il coraggio di sfidare la perfezione, la
maestria di regalare poesia alla morte, bellezza al terribile.
Ma è
solo un momento, le immagini festose di un matrimonio da favola sostituiscono
quelle terribilmente evocative del prologo.
Ma è
solo un momento perchè in quel matrimonio festoso non c'è niente da
festeggiare. Perchè è la Depressione l'invitata principale. Perchè come La
Maschera Rossa di Edgar Allan Poe la Depressione alla fine entra nella festa ed
è lei l'unica a ballare. Quella Depressione ha un nome, Justine, la sposa…
… Costantemente fuori misura, disinteressato alle
strategie di immedesimazione classiche, noncurante di ipotesi realistiche,
capace di passare dal calligrafismo videoartistico all'immersività della
macchina a mano, punteggiato da un montaggio cubista che vive lo spazio prima
di inventarlo, e dunque sorretto letteralmente dal sonoro, Melancholia è puro cinema della
sublimazione, stilisticamente eclettico (l'immediatezza non conosce rigore),
gonfio di toni eccessivi e contraddittori, generoso nello sciorinare referenti
(il dialogo con Tarkovskij è incessante), nel donarsi alla semplicità
dell'interpretazione. Dramma (anti)borghese, fa tabula rasa di ogni scena
quotidiana, getta in abisso ogni rappresentazione, ma si risolve – comunque -
in un atto di creazione: e mentre Justine realizza con il nipote la capanna da
questi anelata, mentre si stringe al bimbo e a Claire intanto che Melancholia
accende di fuoco e spegne questa Terra senza dio, comprendiamo come
questo rito non passivo, non subito, non cieco, gesto ultimo di delicata e
sublime futilità confermi, a livello simbolico, l'essenza attuale del fare
cinema per LVT: il suo essere pratica serenamente inutile, il suo essere
vitale, taumaturgica necessità. Perché Melancholia, a anni luce da postmodernismi e
chincaglieria di sorta, è cinema responsabile, che non irride la materia di cui
diviene incandescente, che non prende distanze sardoniche, ma brucia. Vetta,
insieme al gemello perturbante Antichrist,
di una filmografia che lentamente rinuncia alla consapevolezza retorica esibita
(così come Justine rinnega gli stratagemmi della retorica pubblicitaria)
per farsi lampante rigurgito espressionista. Perché Melancholia è cinema privo di
filtri. Ed è un letterale atto di passione…
… Il primo capitolo di Melancholia è formidabile, niente da dire. Siamo
da qualche parte del Nord Europa, forse in Danimarca, forse in Svezia o in
quella parte di Scozia che, come in Le onde del destino,
si affaccia sul gelido Mare del Nord. O forse siamo sul Baltico, chissà. La
neosposa Justine e il marito si stanno dirigendo verso il castello dove li
attendono gli invitati per il ricevimento di nozze. Solo che la limo nuziale si
impantana, il sentiero è troppo stretto, gli sposi sono costretti a mollarla in
mezzo al bosco e farsi l’ultimo pezzo di strada a piedi. Justine arriva in
ritardo al party, e l’abito bianco è irrimediabilmente schizzato di fango. Dal
prologo del film (immagini che sono debitrici, assicura la mia amica E., alla
videoart di Bill Viola) avevamo già appreso che lassù il pianeta Melancholia è
impazzito e rischia di schiantarsi prossimamente sulla terra, ma gli invitati e
i festeggiati sembrano rimuovere la faccenda, si beve e canta e balla come sul
Titanic dimenticando volutamente la possibile tragedia che incombe…
…Justine sembra risalire lentamente dalla sua catatonia
e arrivare quasi a una stoica, serena accettazione di quello che potrebbe
succedere. La più turbata adesso è Claire, che osserva compulsivamente il cielo
e segue sul web le ultime news, non c’è più traccia in lei della razionalità di
cui aveva dato prova nella prima parte. Come se tra le due sorelle si fosse
verificato un misterioso scambio di fluidi psichici. Compaiono dei barbiturici,
e capiamo che qualcuno ne farà uso (è come con le pistole: insegnava Cecov che
quando compaiono in un racconto o in una pièce prima o poi spareranno). Ma
l’attenzione è tutta rivolta a Melancholia, che man mano si allarga
all’orizzonte fino a inghiottirlo tutto e ad incombere sul gelido castello in
Danimarca (Elsinore?) e i suoi residui ospiti. Von Trier prende molto sul serio
la cosa fino a sfiorare qualche volta il ridicolo, però quelle immagini del
gran pianeta ti si fissano dentro, e non te le scordi. Silenzio, ovviamente,
sul finale.
In questa seconda parte del film non c’è una storia forte
come nella prima, un asse narrativo vero, solo un mescolarsi di angosce o di
opposte reazioni al disastro in arrivo che però non si struttura mai in
racconto. Disturba ma anche avvince, di Melancholia, il
pensiero magico che sembra dominarlo tutto, la regressione da parte del suo
autore a una paura di fine del mondo e dell’apocalisse di stampo premoderno. Melancholia cancella ogni fiducia e ogni speranza
nei lumi della ragione, ripiomba in una dimensione arcaica e mitica, ci riporta
a un’oscurità altomedievale popolata di cosmologie e cosmogonie e corripondenze
simboliche tra gli astri e le vite umane. Lars Von Trier è un alchimista, e
firma il film più magico degli ultimi tempi. Peccato che sia molto difficile
credergli.
P.S. Non ho accennato alle dichiarazioni sciaguratamente
antisemite e filonaziste che Lars Von Trier fece a Cannes proprio durante la
conferenza stampa per Melancholia, e che
gli costarono l’ostracismo dal festival quale persona non grata. Penso che le
idee, anche le più nefaste di un autore, non c’entrino con la sua opera e non
debbano infuenzarne il giudizio.
…Il film
è di una bellezza geniale.
L'emotività
espressa, i silenzi ancora più che i dialoghi, convergono armonicamente verso
l'obiettivo che il regista si è prefissato: la creazione di
un film che è uno stato mentale.
L'uso dei
tempi e degli spazi, l'atmosfera surreale, accompagnata a una colonna sonora
vibrante, catturano lo spettatore e lo immergono all'interno del film senza
chiedere il permesso.
Il film,
a mio parere, è una delle esperienze che più si avvicina all'incarnazione della
sofferenza psichica depressiva.
…It appears that the two sisters exchange personalities,
but to no great effect. Maybe the approach of an overwhelming event has
dissolved the membranes of personalities. Notice how Jack, the ad man,
continues to place importance on his ad slogan. And how Gaby lashes out at the
very notion of a wedding or a party. There is displacement here that is
frightening.
In any film involving the destruction of
the globe, we know that, if it is not to be saved, there must be a "money
shot" depicting the actual cataclysm. I doubt any could do better than von
Trier does here. There are no tidal waves. No animals fleeing through burning
forests. No skyscrapers falling. None of that easy stuff. No, there is simply a
character standing on a hill and staring straight at the impending doom, as von
Trier shows it happening in what logically must be slow motion, with a fearsome
preliminary merging of planetary atmospheres.
Violent death is often a shabby business in
the movies. It happens in depressing bedrooms, bloody bathtubs, shattered cars,
bleak alleys. Its victims are cast down empty of life. Here is a character who
says, I see it coming, I will face it, I will not turn away, I will observe it
as long as my eyes and my mind still function. Is it fair of me to speculate
that von Trier himself regards death in that way? He tends to be grandiose, but
if one cannot be grandiose in imagining one's own death, then when is
grandiosity justified?
…el director danés juega una carta de predestinación que
recuerda lo que se ha visto muchas veces en el género fantástico, desde “The
Dead Zone” hasta “Final Destination”. Pero, en este caso, la treta le sirve
también para realizar un profundo análisis psicológico de un personaje que, a
fin de cuentas, tiene todo el derecho de sentirse como si el mundo se fuera
acabar, porque proviene de una familia altamente disfuncional que no duda en
manifestar sus conflictos internos (como se demuestra durante la escena de la
comida, en la que sus padres hablan públicamente del desprecio mutuo que
sienten, y que remite de inmediato a “The Celebration”, otra excelente obra del
movimiento Dogma en el que Von Trier se inició).
Este exhaustivo cuidado por los personajes no es lo único
que separa a “Melancholia” del típico producto hollywoodense. Lejos de
presentar los sucesos desde una perspectiva masiva y predecible -es decir, con
edificios que se derrumban y multitudes que corren en desesperación-, la cinta
se aparta completamente de las ciudades y, en su última parte, se rodea
únicamente de cuatro personajes para lograr con ello que el enfrentamiento a la
situación resulte mucho más intenso e íntimo...
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