lunedì 5 dicembre 2016

Enclave - Goran Radovanovic

un piccolo film, scelto dalla Serbia come candidato all'Oscar, che racconta una storia che continua ad esistere, non solo in Kosovo, nella ex-Jugoslavia, ma anche in Palestina, per esempio.
con questo film non puoi voltare la faccia, dopo non puoi dire che non sapevi. 
i bambini, per andare a scuola, devono attraversare un territorio ostile, ti tirano le pietre, se va bene.
Nenad è un bambino solo, suo padre è solo, il nonno che non c'è più, il prete non può fare niente, il destino di Nenad un destino segnato, l'estinzione o la fuga, e poi, a scuola scrive  un tema sorprendente.
altri bambini gli tirano le pietre, hanno imparato dai grandi, ma quando sono faccia a faccia l'odio è più difficile, non è anonimo.
un film che merita molto, nel quale i militari italiani della Kfor non fanno una bella figura, ma non sarà solo per questo che il film non riesce ad arrivare nelle sale.
ricordatevi di questo film, quando in un modo o nell'altro lo incrocerete - Ismaele







Un lungometraggio emozionante, commovente, che mostra la guerra attraverso gli occhi di un bambino: gli occhi di una creatura che non riesce a percepire il male che lo circonda, che entri in contatto coi serbi, gli albanesi o i militari delle Nazioni Unite. Un racconto di formazione, di rottura dei confini e di tutti i muri sociali, che si muove dentro le vie e le case di un popolo distrutto: una storia che sta dentro ai fatti e che spinge il pubblico a deporre i pregiudizi, mostrando come, in un conflitto, la violenza colpisca sempre i più deboli e generi sempre altra violenza. Un invito ad essere tutti un po' bambini, per osservare il mondo con più leggerezza e dolcezza, per capire l'altro oltre la sua razza o la sua religione, per deporre le armi. Un film ambientato nel passato, che non smette mai di sembrare attuale.
da qui 

…E' un film che pur essendo serbo (in parte finanziato anche dai tedeschi) non parteggia solo per la parte più ovvia, ma, come nelle migliori pellicole di genere, prova a dispiegare un racconto più universale. Un lavoro lontanissimo, quindi, da una predica buonista e hollywoodiana, dove nessuno ancora è pronto davvero a volersi bene. Film che la Serbia ha deciso di candidare agli Oscar, per la categoria "miglior film straniero". Anche questo è un bel segno dei tempi che cambiano. Molto buono.

Non c’è in questo film nessuna eco dell’aggressività panserbista dell’era Milosevic. Senza lanciare proclami, senza gridare, Enclave ci ricorda come la cultura serba non meriti in aree come il Kosovo di scomparire solo per lo sciagurato espansionismo anni Novanta dell’esercito di Milosevic e delle sue fosche milizie parallele. E che se allora era giusto stare dalla parte dei kosovari minacciati da Belgrado, oggi bisogna agire perché sia la memoria serba in Kosovo a non essere spazzata via. Quando Enclave resta sul cronachismo quotidiano mostrandoci la vita di resistenza di Nemad e della sua famiglia è eccellente nella sua sobrietà quasi documentaristica. Ed è eccellente nel come, etnograficamente, ci mostra i riti religiosi, e quelli della vita e della morte in entrambe le comunità. I matrimoni, i funerali. Purtroppo perde quota nella seconda parte quando la rivalità tra il ragazzino serbo e quello albanese si trasforma incongruamente, e in nome del solito ottimismo sentimentale, in una quasi-amicizia, lasciando intendere che con un po’ di buona volontà reciproca la convivenza tra le due parti potrebbe essere possibile. Peccato che la storia abbia dimostrato ampiamente l’illusorietà di una simile visione. Nella sua parte construens, propositiva, Enclave diventa un film banale e qualsiasi, mentre è nella sua parte più freddamente reportagistica e fattuale a dare il meglio di sé. Buono, ma non all’altezza di Sole alto, film che proprio quest’anno ci ha raccontato la Jugoslavia delle guerre e della sua dissoluzione con ben altra forza e disincanto, e coscienza storica. E però, nonostante i suoi limiti, Enclave merita la visione, e il prezzo del biglietto. Andatevelo a vedere, se potete.

Radovanovic ha il merito di raccontare una storia piccola, se vogliamo insignificante, con grande lucidità, senza far cadere la mannaia del giudizio storico o politico, bensì mettendo al centro l'individuo come attore protagonista della storia di odio e di violenza che ci presenta.
Alcuni momenti del film sono carichi di una silenziosa ma agghiacciante drammaticità (il prete che riporta il ragazzino albanese ferito a casa, l'assalto al bus diretto all'enclave) che fa da contraltare ad un paesaggio stupefacente nella sua selvaggia bellezza che a stento riesce a nascondere le profonde ferite inferte dalla guerra…

Enklava è una di quelle pellicole che inizialmente ti straniscono e poi, lentamente, centellinando le parole, grazie a movimenti fluidi e suoni che non stridono mai, ti entrano dentro, ti catturano e non ti lasciano sino all’ultima inquadratura. Nonostante sia un dramma crediamo di essere difronte ad un ottimo thriller. Il regista Goran Radovanovic rappresenta la realtà per quella che è: un triste percorso di sofferenza destinato a durare per sempre, in cui aleggia il timore che il futuro non sia per nulla al sicuro. Neppure i bambini sono più innocenti.
In Enklava non si sfruttano espedienti traumatici e i dialoghi, anche se non dispensano orrori, nella loro pacatezza son taglienti. Ed è proprio quella quiete (accompagnata da una luminosità diffusa) ad essere tanto spiazzante e a rendere tutto tremendo. Ciò che stupisce è la disamante normalità e quei fanciulli, dal tratto indurito, che al posto di giocare preferiscono prendere a sassate un mezzo in transito o discriminare un coetaneo. E poi c’è il nostro giovane eroe che non piange mai, che non si lamenta, che è incrollabile e nonostante tutto lui sa perdonare.
Si arriva alle battute finali col fiato sospeso e alla fine quel lumicino di speranza è talmente agognato da sembrare un miraggio. Ora neppure noi abbiamo certezze per il domani.

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