lunedì 9 giugno 2014

Piccola patria - Alessandro Rossetto

si racconta una storia di ordinaria tristezza e squallore, in un brutto angolo italiano, come tanti purtroppo, in giorni senz’aria.
in Italia ci sono un milione di romeni e mezzo milione di albanesi, perfetti capri espiatori di tutti i problemi, per i quali mai ci si guarda dentro, troppo difficile e pericoloso.
Renata e Luisa, due piccole Thelma e Louise insoddisfatte dell’ambiente dove vivono e dove vengono sfruttate per pochi soldi, provano a procurarsi soldi per fuggire, con un ricatto.
Renata è la più lucida e desiderosa di fuggire, non importa dove, Luisa è legata a Bilal, un ragazzo albanese, che alla fine è il personaggio più “positivo” del film.
il film riesce a non avere mai cedimenti, né soluzioni facili e rassicuranti, e un po’ sarà anche merito dello sceneggiatore di “Gomorra”, che ha lavorato anche qui.
se uno va al cinema solo per ridere e per evadere, allora è meglio che stia rinchiuso nella sua prigione, questo non è un film per lui.
non è per tutti, questa piccola storia d’inferno quotidiano, ma se riesci a trovarlo in qualche sala, o magari all’aperto, d’estate, non trascurarlo - Ismaele





Piccola patria racconta un borgo di umanità riunita in famiglie della pianura veneta: protagoniste sono due ragazze Luisa (Maria Roveran, sorprendente e anche autrice della colonna sonora in dialetto veneto) e Renata (Roberta Da Soller), entrambe cameriere in un grand’Hotel, simile a una volgare cattedrale in un deserto texano da 1 km quadrato. La prima, figlia di padre-despota e tra gli animatori accaniti di un sorgente gruppo di secessionisti, s’innamora di Bilal, un immigrato clandestino albanese che vive in una roulotte abbandonata. Lo scontro padre-figlia diventa inevitabile, attorniato da altre vicende che con sapienza svelano anime e corpi di questi personaggi, in fuga dalla crisi e da se stessi…

…sembra che sia il film stesso a desiderare una secessione salutare dagli standard del cinema romano, dalla “forma commedia” ormai obbligatoria, vista la comune destinazione finale televisiva, peggiorata dal reference system (con annesso uso sempre degli stessi attori e generici e tecnici e creativi) e con “incastri narrativi” prevedibili e meccanici. Una liturgia ortodossa che qui viene messa a soqquadro. I co-sceneggiatori, intanto, eresia somma, sono i napoletani Caterina Serra e Maurizio Bracci (Gomorra). 
Il regista, padovano, è anche l’operatore alla macchina. E si muove dentro la scena a documentare i lati più oscuri delle performance. Dagli attori non vuole tanto una fedeltà al copione, quanto una sorta di sperimentale messa in scena della propria anima. Sono gli istinti, le pulsioni e i desideri inconfessabili, o marginali, o sottintesi, finalmente, a prendere il comando della macchina attoriale. Intenzionalità complesse, ambigue, oscure deformano la prevedibilità del dramma…

…Poco importa se si tratta di finzione o storia vera, quello che Rossetto racconta (le due ragazze con il vuoto pneumatico in testa, l’albanese che vive in roulotte e sembra migliore di tutti gli altri del posto, padri e madri vuoti simulacri di ruoli perduti per sempre, l’amico di famiglia porco che scopa la figlia dell’amico, il ricatto col filmino hard, e le botte, quelle sempre, basta uscire da una discoteca fumati e strafatti) è il ritratto di una piccola patria molto coerente in tutte le sue parti.
Funzione narrativa e indagine sociale sono inseparabili, il viaggio è in un universo asfittico e umiliante, dove l’ambiente plasma gli individui, e il singolo è indistinguibile dalla massa, ieri raccolta in chiesa a cantilenare devozioni, oggi festante a sventolare fazzoletti verdi sotto il palco del candidato leghista e poi via a ingozzarsi e ballare, ballare, ballare. Rossetto schiva stereotipi, si smarca da formulette e luoghi comuni, esteriorizza la realtà interiore dei suoi personaggi senza perdere di vista ambiente e fattori culturali.
da qui

7 commenti:

  1. mmmh me lo segno, mi hai incuriosita :)

    RispondiElimina
  2. Ne ho già sentito parlare benissimo e la tua critica mi conferma la positività del tutto!:::)))

    RispondiElimina
  3. Mah, l'ho trovato davvero fastidioso. Ne scrissi dopo Venezia e, be', credo che questo tipo di cinema si da debellare.

    RispondiElimina
  4. Interessante. Poor, cosa intendi?? Che tipo di cinema???

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Questo cinema dimostrativo, che di fatto non è cinema ma semplicemente l'esposizione di una tesi, di un'opinione che un individuo pensa di veicolare tramite il mezzo-cinema. Il cinema è immagine, potenza visiva, e come tale dovrebbe essere mostrativo, libero, anarchico se vuoi... Inoltre credo che con "Piccola patria" Rossetto abbia giocato davvero sporco, dipingendo un veneto razzista che non è quello che io, veneto, (ri)conosco, ma evidentemente punto al pubblico di Mazzacurati etc.

      Elimina
    2. poor, certo, la tirata dell'indipendentista razzista (a ripensarci, non so se è solo l'accento, o ricorda quasi un tormentone rap) è l'esposizione della tesi, molto, troppo didascalica, certo "immagine, potenza visiva" non abbondano, ma è solo una piccola storia sudata.
      per me il film nel complesso è positivo, tenendo anche conto che è un'opera prima e, come dice Caparezza ("il secondo album è il più difficile"), vedremo se Rossetto riuscirà a volare alto.

      Elimina