eccezionale Smiley (Oldman).
immagini bellissime, a volte sembrano dei quadri.
la storia non è lineare, per cui ci vuole molta attenzione, che viene ripagata con gli interessi.
due ore ben spese, promesso - Ismaele
…Se Lasciami entrare (Let the Right One In) era una sinfonia di freddo, neve e
bianco abbagliante, dove il movimento era verticale, qui Tomas Alfredson
sceglie movimenti orizzontali, squadrature e colori grigio verdi, sempre un po’
polverosi, che ricreano non tanto l’atmosfera di una spy story delle più classiche, la caccia alla
talpa, ma che riconducono in un’epoca, reale e cinematografica, l’Inghilterra
degli anni 70, gli anni della Guerra Fredda. Mancano gli odori ma per ciò che
resta i nostri sensi sono tutti colpiti e affondati dalla perfetta
ricostruzione: scene, costumi, ambienti, musiche, pettinature, montature, luci,
tessuti e quella fotografia quasi seppiata che tutto rabbuia e oscura. Perché
non erano giorni di sole, quelli, erano giorni di silenzio e sospetto. Viene in
mente il compianto Ulrich Mühe guardando Oldman: c’è la stessa solitudine, la
stessa speranza soppressa, lo stesso esasperato numero di cose desiderate e mai
osate, la stessa frustrazione, seppur un diverso grado di potere, in Smiley e
nel Gerd Wiesler di Le vite degli altri…
…Il fallimento di
una missione in Ungheria obbliga Control, il capo dell’inteligence del servizio
segreto britannico (il Circus, in codice), a lasciare il suo posto, assieme al
luogotenente Smiley. Smiley viene successivamente riassunto dal governo perché
scopra se tra gli agenti del Circus, come già sospettava Control, si annidi una
talpa al servizio di Karla (nome in codice del capo del KGB). Il titolo
originale prende lo spunto da una filastrocca (tinker, tailor, soldier,
richman, poorman…) da cui Control trae gli pseudonimi da attribuire agli
uomini del Circus, pezzi di una scacchiera (non solo metaforica) di sospetti ed
ipotesi sulla quale si gioca una partita mortale. Control, da capo
intransigente che non esclude alcuna ipotesi, vi ricomprende lo stesso Smiley e
l'agente, scoprendolo durante le investigazioni (Control è oramai morto),
ammira l'inflessibilità del suo capo, di cui la propria è il riflesso
perfetto..
…Il merito più evidente di Alfredson è quello di aver
costruito un lungometraggio di genere che non cade negli stereotipi di questo
tipo di cinematografia. Il racconto è sospeso, il ritmo disteso, le pause
lunghe, i silenzi anche, le attese innumerevoli. Quasi inesistenti le scene di
azione e di violenza. Diversi i flashback che servono a immettere nel racconto
ulteriori elementi di “confusione”. Tutto è basato sulla tensione psicologica
che scaturisce dall’impossibilità di capire chi tradisce chi.
Anche dal punto di vista formale, il regista ha cercato di evitare luoghi comuni legati al versante commerciale e di azione del genere in questione. Londra appare cupa esattamente come una città sovietica degli anni settanta, i funzionari dei servizi segreti squallidi e senza alcun fascino, gli uffici spogli e senza luce. Ogni accadimento è avvolto da una cappa di squallore e di cupezza che rimanda a un’epoca nella quale questa “guerra” clandestina si era fortunatamente sostituita a una possibile terza guerra mondiale.
Anche dal punto di vista formale, il regista ha cercato di evitare luoghi comuni legati al versante commerciale e di azione del genere in questione. Londra appare cupa esattamente come una città sovietica degli anni settanta, i funzionari dei servizi segreti squallidi e senza alcun fascino, gli uffici spogli e senza luce. Ogni accadimento è avvolto da una cappa di squallore e di cupezza che rimanda a un’epoca nella quale questa “guerra” clandestina si era fortunatamente sostituita a una possibile terza guerra mondiale.
Tomas Alfredson governa questo sofisticato meccanismo
espressivo con assoluta professionalità, con l’evidente intenzione di rendere
il racconto via via sempre più misterioso ed enigmatico. Lo spettatore
spera così di rimanere fino alla fine in una condizione di indeterminatezza,
nell’abisso del dubbio e del sospetto, appunto. Ma ciò non avviene.
Un’inopportuna scena finale, decisamente banale, arriva a spiegare tutto. Si
resta così con il sapore triste e inutile della verità invece che con il
piacere sottile che può provocare in noi ciò che non riusciamo a comprendere…
… Film non solo consigliato, ma addirittura necessario
tanto per gli amanti del genere spionistico che per i cinefili tutti: Alfredson
è magistrale nel montare e dipanare il complesso viluppo della storia da un
lato, mentre dall'altro con un tono sommesso di sincero umanismo svela e
empatizza per la solitudine e le debolezze delle sue spie; una piccola perla
che illumina questo inizio d'anno cinematografico.
…Visivamente impeccabile -elegante e vivido al punto
che si sentono l'odore della polvere sui mobili, il leggero graffiare del
tessuto dei cappotti, il fumo delle sigarette, l'umido, i sospiri-, il film ha
una delicatezza che non si direbbe possibile sulla carta, parlato moltissimo
com'è, da attori dal peso specifico enorme (dei quali il recentemente
oscarizzato Colin Firth è in fondo il meno impressionante).
Lo Smiley di Gary Oldman è il più leggero ed immenso, col passo felpato e il cuore gonfio, non si sa se più fragile o più terrorizzante, impossibile cioè da "catturare" in un'impressione univoca. Qualcuno che confonde: un virtuoso del proprio mestiere di segreto ambulante.
Ma il vero valore aggiunto del film, il tocco che quasi riscrive il genere di appartenenza di questa pellicola, è il suo cuore sentimentale, addirittura romantico. Trattenuto, imploso, mostrato per piccoli indizi, quasi fossero distrazioni, il sentimento amoroso (tragico ma vitalissimo) è ciò che scalda il film di Alfredson da cima a fondo: il punto debole che fa la sua forza, il dettaglio che fa la sua grandezza.
da quiLo Smiley di Gary Oldman è il più leggero ed immenso, col passo felpato e il cuore gonfio, non si sa se più fragile o più terrorizzante, impossibile cioè da "catturare" in un'impressione univoca. Qualcuno che confonde: un virtuoso del proprio mestiere di segreto ambulante.
Ma il vero valore aggiunto del film, il tocco che quasi riscrive il genere di appartenenza di questa pellicola, è il suo cuore sentimentale, addirittura romantico. Trattenuto, imploso, mostrato per piccoli indizi, quasi fossero distrazioni, il sentimento amoroso (tragico ma vitalissimo) è ciò che scalda il film di Alfredson da cima a fondo: il punto debole che fa la sua forza, il dettaglio che fa la sua grandezza.
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