e una terza persona, che non vediamo, la donna di entrambi, che sta arrivando.
lei è l'oggetto del contendere dei due, e alla fine ne farebbero a meno entrambi.
dialoghi straordinari e tante sorprese.
due ore ben spese, promesso -Ismaele
Qui il film completo, in italiano
…Perché un simile gioco di specchi, temi e allusioni “reggesse” senza
risultare prolisso era necessaria una squadra di prim’ordine. Cosa questa che
l’opera di Branagh ha decisamente avuto. Basato su una magnifica piéce di
Anthony Shaffer divenuta un film diretto da Mankiewicz nel ’72 con Laurence
Olivier e Michael Caine (nel ruolo che oggi è di Jude Law), lo script di Sleuth ha subito la
riscrittura del Premio Nobel Harold Pinter. Con uno sceneggiatore simile è
evidente che parlare di remake diventa riduttivo. Si pensi inoltre all’ottima
regia di Kenneth Branagh che ha giocato di semplicità e minimalismo, nonché
alle eccelenti interpretazioni dei due attori protagonisti. Se del talento di
Michael Caine si è ormai detto tutto ed è conclamato, non si può fare a meno di
restare colpiti invece dalla bravura di Jude Law. Con la sua interpretazione di
Milo Tindle fatta di fascino sessualmente ambiguo ibridato di fragilità e
arrogante opportunismo (del tutto diversa da quella di Caine nel film del ’72),
il giovane attore inglese è decisamente arrivato alla sua consacrazione
attoriale.
…La grossa
novità del suo "Sleuth - Gli insospettabili" sta nel testo teatrale
riadattato per l'occasione dal Premio Nobel per la Letteratura Harold Pinter.
Nell'adattamento troviamo tutto il teatro del drammaturgo inglese, visto che la
storia di partenza viene sintetizzata e asciugata in un dialogo a due tutto
giocato nell'abitazione di Wyke, un dialogo che è un baratro di parole ed un vortice
di retorica distruttiva, di frasi assassine e di intensa e cerebrale
manipolazione psicologica, un gioco a due sottile e raffinato.
Se il testo di Pinter è quanto di più teatrale ci abbia regalato il cinema degli ultimi anni, dal canto suo Kenneth Branagh regala respiro cinematografico alla storia, cercando in ogni modo di trovare una regia stimolante che sappia al contempo raccontare e stupire per le sue trovate. Non sempre il gioco di Branagh funziona, ma il suo è un lavoro fatto con grande impegno, e questo si nota: basti guardare le inquadrature dell'incipit oppure tutto il gioco metacinematografico con le telecamere di sicurezza.
Michael Caine regge con grande professionalità i ritmi forsennati della pellicola, ma Jude Law (forse penalizzato da un look decisamente ridicolo) non riesce a tenere il passo con il vecchio leone e, spesso e volentieri, pur regalandoci un'interpretazione intensa e diversa dal solito, non riesce a tenergli testa.
Se il testo di Pinter è quanto di più teatrale ci abbia regalato il cinema degli ultimi anni, dal canto suo Kenneth Branagh regala respiro cinematografico alla storia, cercando in ogni modo di trovare una regia stimolante che sappia al contempo raccontare e stupire per le sue trovate. Non sempre il gioco di Branagh funziona, ma il suo è un lavoro fatto con grande impegno, e questo si nota: basti guardare le inquadrature dell'incipit oppure tutto il gioco metacinematografico con le telecamere di sicurezza.
Michael Caine regge con grande professionalità i ritmi forsennati della pellicola, ma Jude Law (forse penalizzato da un look decisamente ridicolo) non riesce a tenere il passo con il vecchio leone e, spesso e volentieri, pur regalandoci un'interpretazione intensa e diversa dal solito, non riesce a tenergli testa.
… E' un film a due, un palcoscenico per le istrioniche prove di Caine e
Law. Sir Michael è come sempre sublime, e gareggia abilmente nel confronto a
distanza con Laurence Olivier, decretando un sostanziale pareggio, per quanto
lo stile dei due personaggi sia radicalmente cambiato: più sormione e
apparentemente divertito l'originale, più silente e macchiavellico quello di
Caine. Le smorfie di Andrew, o anche solo i penetranti sguardi nei momenti di
silenzio, sono un vero piacere per lo spettatore. La più grande scommessa di
tutto il progetto era forse la presenza di Jude Law, attore fino ad oggi
interprete di prove incostanti. Pienamente vinta, visto che, pur dimostrandosi
a tratti fin troppo eccessivo e sopra le righe, il buon Jude propone una prova
potente, donando al suo personaggio i giusti aliti di schizzata follia,
dimostrando come fino ad oggi le sue qualità d'attore non siano state
pienamente sfruttate. Il tutto si trasforma in una lotta titanica e primordiale
tra due uomini per il possesso e l'amore di una donna, ma non basata sulla mera
violenza fisica o la classica scazzottata di paese, bensì sul puro intelletto,
in un gioco perverso e matematico di cervelli che deve a tutti i costi avere un
vincitore. Come dice Milo a un certo punto "Tu hai vinto il primo set 6 a 0, ora tocca a me". Una sfida
mortale senza esclusione di colpi, corporei o emotivi. E' un film che manipola
lo spettatore, gli fa credere A, quanto la realtà poi si traduce in Z. E le
sorprese non mancheranno, poichè si susseguono incalzanti una dietro l'altra
senza nemmeno un minimo calare di tensione. Ottanta minuti (a dispetto dei 130
dell'originale, ed è un peccato molte scene cult dell'originale siano state
tagliate) da vivere mozzafiato, senza esclusione di colpi. A chi lamenta una
certa mancanza d'azione, se non in pochi disparati istanti, va fatto notare che
la vera tensione è tutta nei dialoghi e nei volti dei due protagonisti, capaci
di inquietare e spaventare più di qualsiasi violenza. Un gioco al massacro
perpetrato tutto all'interno (e per breve tempo anche all'esterno) della
tecnologica villa di Andrew, che diventa la terza protagonista del film, con i
suoi ambienti cupi tendenti al blu, e scarni nel mobilio come si fosse in un
deserto di corpi e anime. Per questo grande merito alla fotografia, capace di
incutere quel giusto senso di oppressione che una storia del genere meritava.
Lo stesso si può dire per la colonna sonora, ottenebrante e mefistofelica,
capace di donare una forte inquietudine tra gli accesi scontri verbali dei due
uomini. La regia di Branagh, e non è una novità, è sobria ed elegante, con
grande attenzione ai dettagli e alle inquadrature, che si ripetono a tratti per
far scorgere indizi sulla trama, e di grande impatto scenico, dal sapore
tipicamente teatrale ma che ben si adatta al grande schermo. Rispetto alla
pellicola di Mankiewicz vi sono molti più silenzi, a discapito di dialoghi
sparatissimi al fulmicotone, e il finale con riferimenti a una presunta
omosessualità dei due contendenti forse stona un po', ma, pur trovando svariate
differenze, il senso dell'originale è rimasto intatto. Non era facile
aggiornare e reinterpretare un classico del cinema, e pur non raggiungendone i
livelli, questo remake del nuovo millennio ne esce in maniera più che degna, e
forse permetterà a nuovi spettatore di riscoprire anche la pellicola del '72.
Perchè i remake, se fatti bene, servono anche a questo.
…non è il
finale che conta, è lo script di Pinter che importa perché è di rara bellezza,
di sofisticato acume e velenosa ironia. Il sarcasmo che i due gentiluomini si
scaricano addosso con la fredda gentilezza delle persone perbene è di
magistrale efficacia drammatica, dialoghi secchi come mazzate, umorismo di
grande raffinatezza e sottigliezza. Tenuti a distanza dall’overacting, Caine e
Law si rendono quasi consci della macchina da presa di Branagh, traslata dalla
realtà alla finzione dalle decine di telecamere che costantemente riprendono la
scena, registrandola, diventando così occhio partecipe e fredde testimoni degli
eventi che si svolgono nel teatro del massacro della lotta di classe, nel
costante vilipendio delle reciproche virilità, esondando nell’omosessualità
(ab)usata anch’essa come arma nei confronti del rivale, sfora nell’umiliazione
sado-masochistica che prende la mano e muta il tutto in una commedia nera del
grottesco, storia frammentata nei suoi stilemi e reimpastata follemente come
sono reinventate continuamente le identità dei due prim’attori.
Una sorpresa, forse il film dell’anno, tecnicamente e formalmente ineccepibile, asciutto e dotato di uno stile di grande impatto, si esce divertiti e sorpresi e di questi tempi non è affatto poco.
Una sorpresa, forse il film dell’anno, tecnicamente e formalmente ineccepibile, asciutto e dotato di uno stile di grande impatto, si esce divertiti e sorpresi e di questi tempi non è affatto poco.
… La
storia: il ricco e maturo scrittore di gialli Andrew Wyke (Michael Caine)
chiama nella sua villa settecentesca, ma con interni che sembrano uno showroom
di design e arte contemporanea, il giovane attore Milo (Jude Law), l’amante di
sua moglie, colui che gliel’ha portata via per sempre. Milo gli chiede di
divorziare, Andrew contrattacca con una proposta: ruba i gioielli di mia
moglie, io potrò intascare i soldi dell’assicurazione e tu, rivendendoli,
potrai ricavare quanto serve a te e a lei per vivere da ricchi. Non è che la
prima mossa di una complicata partita a due di inganni e controinganni, con
continui rovesciamenti e colpi di scena, con identità che si mascherano e si
rivelano a sorpresa. Chiaro che è un gioco al massacro, ma chi lo conduce? E
chi è il carnefice e chi la vittima? Il testo, già tesissimo in origine, viene
reso ancora più inquietante da Pinter. Michael Caine, che nel film di
Mankiewicz era il giovane amante, qui si cala nell’altro ruolo, in un ulteriore
ribaltamento e slittamento. Film presentato a Venezia e snobbato dai critici e
accolto malamente anche dal pubblico. Peccato. Merita di più, molto di più.
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