lunedì 17 dicembre 2018

In Guerra - Stéphane Brizé

ritratto del mondo come è, i movimenti di capitale e le libertà dei datori di lavoro, di chiudere o no gli stabilimenti industriali, e non solo, provocano drammi senza soluzione per milioni di lavoratori, le loro famiglie, le loro vite.
per i lavoratori cercare accordi con i proprietari delle imprese è una fatica di Sisifo, quando hai risolto un problema, se ci riesci, ne appaiono subito altri.
il lavoro e i lavoratori sono trattati come qualsiasi altra materia prima, per l'impresa cambiare il fornitore del lavoro è un giochetto senza penalità, il dumping sociale è il cancro che distrugge persone e comunità.
film non adatto per chi va al cinema per evadere, perfetto per tutti gli altri.
Vincent Lindon è da premio Oscar, come privarsene?
buona visione - Ismaele








anche nei momenti di pathos in cui la forza del meccanismo collettivo viene messa a repentaglio dalla spaccatura del fronte operaio e dalla guerra intestina tra le sigle sindacali che agitano la protesta, Brizé mantiene la camera sulla dimensione collettiva, fuggendo la tentazione di scendere nel dettaglio personale, nel tratteggio biografico di anche uno solo dei protagonisti. Una scelta urlata in maniera ancora più forte nel duro finale che il regista ha scelto per la lotta di Amédéo e dei suoi compagni, dove il gesto del singolo è parola collettiva, dove la disperazione individuale lascia spazio alla reazione di massa. Un esperimento che Brizé ha avuto il lusso di permettersi grazie ad un eccezionale interpretazione di Lindon, valore aggiunto di un film che – al netto delle produzioni che spesso infestano le nostre sale cinematografiche a 8 euro a sera – vale sicuramente la pena vedere.

En guerre è un film di impatto poderoso, dal ritmo martellante e dalla tensione inesausta, con pochissime distensioni e parentesi personali (perché anche il privato è lotta politica, in certi contesti) che non cerca appigli per piacere ma che emoziona e coinvolge con la giustezza di una posizione morale e ideologica chiara e giusta ma allo stesso tempo trattata con intelligenza anti-propagandistica.
E con un Vincent Lindon di bravura impossibile, inumana, per cui gli elogi e i premi sembrano ormai pleonastici.

In guerra non racconta una storia ma storie plurime che si intrecciano lungo un asse narrativo che ingloba e sovrasta le individualità, e lo fa con una forma cinema e uno stile assai audaci che mimano e riproducono i linguaggi visivi caotici e informi delle news tv, di youtube, dei video postati sui social e spediti via whatsapp. Qualcosa che porta In guerra molto ai di là dei tanti film sulla stessa questione…
Un film claustrofobico in cui Brizé penetra letteralmente con la macchina dalla presa nelle stanze degli scontri e dei confronti, quasi abbattendo le barriere tra realtà e rappresentazione (m’è parso di capire che molti degli attori conservino il proprio nome e portino dentro il film qualcosa di sé), con lunghe sequenze in tempo reale, restituendo tutti i passaggi di un’angosciosa partita da cui, si intuisce, usciranno tutti perdenti. E ci ipnotizza con quei proclami e slogan e mantra autorassicurativi, con quella massa di corpi che si parlano, urlano, urtano, si sbranano. A un certo punto una soluzione, attaverso la mediazione governativa, sembra profilarsi. Sembra, e non dico di più…
da qui


En guerre, au-delà des scènes anxiogènes de manifestations, amplifiées par une utilisation violente de la musique, s’avère être une formidable réflexion sur les luttes sociales antagonistes, d’un côté des multinationales sur la défensive, qui usent de la langue de bois pour ne pas répondre aux questions simples que pose le syndicaliste joué par Vincent Lindon (complètement habité par son personnage), et surtout pour ne pas répondre de leurs actes face à la vérité des faits exposés (le dividende des actionnaires face à la misère humaine)... 
Peut-on réconcilier ces intérêts contraires ? Le réalisateur semble pencher vers un point de vue qui peut aussi, paradoxalement, être interprété comme peu favorable à la lutte, tant les affrontements au sein même des grévistes sèment la violence du désespoir, au profit des intouchables, épargnés dans leur tour d’ivoire. La conclusion fait froid dans le dos et relance les négociations dans un environnement mortifère où la figure du syndicalisme s’apparente à la fois à une forme d’égoïsme nécessaire pour pouvoir survivre ou d’héroïsme.
Toutes ces contradictions rendent le film fascinant et forment un tout cohérent avec La loi du marché sans que l’on ne puisse accuser l’auteur de redite…

Con la realizzazione di questo film Brizé ha voluto evidenziare le dinamiche che si vengono a creare durante una lotta, nonché i meccanismi perversi derivanti da una legge che, se da un lato obbliga un’azienda che chiude a essere messa sul mercato, dall’altro permette al proprietario di non vendere. Privando di fatto i lavoratori della possibilità di vittoria. Allora, di fronte a ciò scatta la violenza, con conseguenze spesso tragiche. Una violenza che non giunge mai per caso, senza motivo. Ma si scatena perché prima di arrivare a essa c’è un percorso che porta, più o meno velocemente, all’esasperazione, derivante dall’impotenza dei lavoratori, i più deboli fra i contendenti. 
La forza del film di Stéphane Brizé risiede negli argomenti trattati, ma anche nella sua realizzazione e nella sceneggiatura, opera dello stesso regista e di Olivier Gorce. Ma soprattutto sta nella bravura degli attori. A cominciare da Lindon, qui al quarto film con Brizé, per proseguire con tutti gli altri, molti dei quali non professionisti che, con una capacità espressiva notevole, riescono a rendere assai realistiche tutte le scene. Alla fine si uscirà dal cinema con l'animo pesante per la vicenda degli operai della Perrin Industries ma anche felici per aver visto un gran bel film.


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