lunedì 13 novembre 2017

The Place - Paolo Genovese

tratto da una serie tv Usa, The Booth At The End, il film di Paolo Genovese era atteso dopo l'exploit, di critica e di pubblico, del film precedente.

molti attori sono presenti in entrambi i film, qui protagonista assoluto è Valerio Mastandrea, sempre seduto (e sempre più somigliante a Francesco De Gregori), è un po' Aladino, un po' psicologo, un po' (cattiva?) coscienza delle persone che lo cercano per raggiungere i loro sogni e desideri.

le persone e le loro storie sono spesso collegate, ma solo lui lo sa, e prova a muovere i fili invisibili che li collegano, riuscendoci, faticosamente, in parte.



The Place resta sotto Perfetti sconosciuti, è meno corale, con un finale meno esplosivo, più freddo, e allo stesso tempo è un film coraggioso, non ci sono facili battute, c'è poco da ridere, di sicuro è un film diverso dai soliti, merita di sicuro il biglietto del cinema - Ismaele








…Non tutto funziona, è giusto dirlo. Gli interpreti sono credibili, ma non tutti i loro personaggi e le loro storie. Qualcuno è abbastanza pleonastico, per non dire controproducente alla statura del film (vogliamo bene a Sabrina Ferilli, ma a lei viene riservato l'ingrato compito di chiudere i giochi con un epilogo tanto posticcio quanto insulso, che stride pesantemente con quanto di buono si era visto fino allora), mentre anche la sceneggiatura spesso si incarta su se stessa rendendo il film un po' ripetitivo e prolisso (diciamo che qualche minuto in meno avrebbe giovato), dove la retorica e il pietismo, seppur tenuti sotto controllo, sono sempre in agguato.
Malgrado tutto, ritengo comunque The Place un film coraggioso e riuscito, un film dalla struttura universale e in controtendenza rispetto all'omologato panorama italiano, dove evidentemente l'ottimo cast dà una grossa mano a nascondere le pecche di cui sopra. Paolo Genovese è un cineasta intelligente, consapevole dei propri mezzi e dei propri limiti. E le sue pellicole sono validi esempi di un buon "cinema medio" di cui, opinione personale, in Italia abbiamo tanto bisogno per riportare la gente ad affollare le sale.

The Place sperimenta una scrittura filmica che conserva il teatro come spettacolo vivo, facendo respirare la finzione e la performance, lasciando conversare l'immagine teatrale, che si offre senza limiti allo sguardo, e il quadro cinematografico, che costringe il punto di vista. Convertito il salotto in ristorante, i suoi attori vivono il set come vivrebbero la scena, sono le loro performance a organizzare lo spazio, costruendo il proprio personaggio davanti alla macchina da presa.

Il successo di Perfetti Sconosciuti ha caricato di aspettative l’arrivo di The Place. La coralità del primo film è richiamata nel secondo, ma questo rappresenta l’unico punto di contatto tra le due pellicole. Se nel primo caso si trattava di una commedia brillante e divertente, nel secondo lo spettatore si trova di fronte ad un genere quasi drammatico. Ovviamente non è qui che nasce la delusione. La svolta di Perfetti Sconosciuti è rappresentata dal colpo di scena finale, tentato anche in The Place pur senza bissarne la forza e l’incisività. Insomma, manca quel quid che inevitabilmente ci si aspettava. Stesso discorso per il ritmo: serrato sì, ma a tratti forzato e poco scorrevole.

The Place non è un film eccezionale, ma proprio per questo motivo sembra che Genovese sia a proprio agio, perché anche in un adattamento abbastanza pedissequo (sono uguali alla serie tv anche le singole storie e il personaggio della cameriera), si muove benissimo ed esalta a dovere un materiale che, è facile intuirlo, in altre mani poteva rendere molto meno. Proprio il suo stile estremamente tecnico e calligrafico lo aiuta, con un necessario moltiplicarsi di inquadrature differenti per mostrare sempre la stessa situazione senza uscire mai dai binari di una messa in scena invisibile e funzionale agli attori.
Alla fine nelle sue mani quella di The Booth At The End sembra una storia italiana, anche se non lo è. Sembra una storia di personaggi teatrali pirandelliani, una in cui ognuno mette in scena se stesso davanti ad un pubblico formato da una sola persona, in un film che insiste sottilmente su quelle debolezze umane che inducono le persone a chiedere un aiuto disperato.

Mastandrea dimostra per l’ennesima volta la sua bravura nel saper tenere la scena pur non muovendosi dalla sedia, non comprendiamo chi rappresenti veramente, se una figura demoniaca o un giustiziere che conduce il richiedente nella propria zona d’ombra.
The Place risulta un film ambizioso, ricco di dialoghi, primi piani, con narrazione che si svolge in un unico ambiente che a tratti rischia di stancare lo spettatore, sopratutto a causa di alcune interpretazioni deboli che fanno decadere il magnetismo scenico. Anzi, probabilmente l’errore più grande é stato quello di mettere in scena troppe storie, troppi personaggi, e sviluppandone davvero bene pochi, rischiando così che non si crei abbastanza empatia con le storie e i suoi portatori.
Un’occasione mancata probabilmente, ma non vogliamo buttarla direttamente nella pattumiera, anzi apprezziamo lo sforzo di realizzare qualcosa di diverso dalla solita commedia – porto sicuro per molti registri nostrani – e siamo certi che Paolo Genovese vuole dimostrarci che può mostrarci la sua bravura su altri generi anche drammatici…

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