martedì 12 gennaio 2016

Nobody Knows (Dare mo shiranai) - Hirokazu Koreeda

si inizia ridendo e scherzando, come in tutti i drammi che si rispettino.
una mamma con quattro figli trova loro una casa, e sparisce.
Akira, il figlio più grande, ha 12 anni e fa da padre e madre i fratelli.
sono segregati, non devono uscire mai, alla fine Akira non riesce a non fargli "assaggiare" la libertà, anche se solo per poche ore.
aspettano la madre, ma ogni giorno di meno, i soldi non ci sono più, Akira, Kyoko, Shigeru e Yuki non esistono, sono invisibili, fino a quando...
si soffre molto, a vedere il film, e non si può fare niente, si è impotenti.
il regista è bravissimo (come gli attori bambini) a raccontare la banalità del male, senza scene madri, senza pietismi, un piccolo capolavoro sull'indifferenza e sul dolore con gli occhi e i pensieri di Akira, Kyoko, Shigeru e Yuki.
bambini così li avremo incontrati di sicuro ma nobody knows.
non perdetevelo, lo sforzo della ricerca sarà compensato dalla visione, siatene certi - Ismaele





QUI il film completo con sottotitoli in inglese

…Akira is played by Yuya Yagira, who filmed the role over 18 months, during which he grew a little and his voice broke. It is not just a cute kid performance, but real acting, because Kore-eda doesn't give him dialogue and actions to make his thoughts clear, but prefers to observe him observing, coping and deciding. Yagira won the best actor award at Cannes.
What is most poignant is the sight of these kids wasting their lives. Kyoko asks her mother if she can go to school, but her mother laughs and says she will be happier at home. Akira was in school at one point, and studies his books at night, until finally his only subject is arithmetic -- figuring how much longer their money will last. There's a wistful shot of him looking at kids in a schoolyard, and one idyllic moment when he is asked to join a baseball game, and given a shirt and cap to wear…

Nobody Knows è un’opera articolata che affronta molti dei temi cari al regista: quello della morte e della perdita, in particolare in uno dei passaggi più intensi, vale a dire quello della morte della piccola Yuki; quello della natura, nel senso, come è stato efficacemente sostenuto, del “trapasso verso una logica selvatica” dei bambini, del loro riconoscersi in una sorta di identità naturale. Anche la madre (interpretata dalla star televisiva You) ha, a ben vedere, un’attitudine “selvaggia” e istintiva nei loro confronti, come un animale che sposta i propri piccoli in un nuovo nascondiglio nel momento in cui sente il pericolo.
Koreeda tratteggia – come al solito - splendidamente il mondo dei bambini, contrapposto a quello degli adulti, partendo dal loro punto di vista…

Para reflejar ese mundo infantil y cotidiano, lleno de cosas pequeñas, Kore-eda recurre a frecuentes primeros planos de rostros y objetos, buscando penetrar de esa manera en su interioridad. Lo hace con la delicadeza apuntada, con mil detalles que van calando en el especta-dor: la manera de recoger la tierra o de acariciar la maleta, de limpiar la pintura de uñas derramada o hacer la colada... Abundan tanto las escenas tiernas como las descarnadas, para concluir con un plano fi-nal congelado en el que los tres niños vuelven la cabeza mientras se van por la carretera, imagen que nos recuerda a la de Antoine Doinel en la playa de "Los cuatrocientos golpes" de Truffaut…

Il comportamento della madre, interpretata magistralmente dall’attrice You, è spiazzante, inizialmente sembra rassicurante, tratta con dolcezza i suoi figli e gioca con loro, successivamente si dimostra immatura ed egoista fino al punto di abbandonare definitivamente i suoi figli. Con l’abbandono della madre tutta la responsabilità della famiglia ricade sulle spalle di Akira costretto ad occuparsi dei fratelli più piccoli ed a provvedere alle loro necessità diventando, in tal modo, padre, madre e fratello maggiore. Disperato e straziante è il suo tentativo di mantenere unita la famiglia e di assicurare a tutti un’esistenza il più possibile vicina alla normalità. Il film descrive lucidamente l’odissea dei quattro ragazzi, un viaggio di cui nessuno sa niente, che tutti ignorano a causa dell’indifferenza del mondo e che non termina, come spesso siamo abituati, con un lieto fine…

…E' un film duro da sostenere, anche per la durata di 140', ma veramente bellissimo ed imperdibile. La caduta nell'inferno di questi bambini, che pure mantengono integra l'innocenza della fanciullezza, è lunga e ripresa con dettaglio, per gran parte solo con luci e suoni naturali, rarissime le musiche con però una canzone nel drammatico finale da pelle d'oca.
Ad un certo punto la segregazione non sarà più praticabile. Per lavare i panni od espletare i bisogni andranno in un parco vicino. Tanti quindi i momenti "pubblici" eppure proseguono nel loro isolamento sostanziale, nessuno pare accorgersi di loro tranne i pochissimi che li aiutano a procurarsi un minimo di cibo per non soccombere alla fame. Alcune inquadrature, coi bambini nello sfondo di una società affaccendata sono straordinarie e non danno spazio ad interpretazione.
Quante domande si saranno poste i giapponesi su come sia stato possibile un fatto del genere, e quante ce ne dobbiamo porre tutti, che anche in europa e molto di recente fatti di segregazione sono emersi seppure molto diversi.
Nessuno sapeva, ed in fondo nelle grandi città si ama poco chi ficca il naso nei fatti propri e quindi si crea una sorta d'indifferenza al prossimo mascherata dalla parola discrezione. Ci può stare in fondo, però quei bambini erano pur nati e nessuno ne ha mai chiesto conto. Possibile che nell'era dell'informazione e dell'analisi incrociata delle informazioni (è il mio lavoro nella vita privata, considerazione inevitabile) il fatto che una casa abitata non avesse più i collegamenti a servizi essenziali come acqua e corrente elettrica non ha destato interesse in nessuno? Chi mai poteva vivere lì?
Una storia di valore assoluto, difficile definire questo un "film asiatico".
Opera eccezionale che ha imposto Koreeda tra i registi giapponesi più amati anche in occidente. Io sono al terzo che vedo di lui e già 2 sono nell'Olimpo…

L’elemento tragico come già anticipato è fondamentale e necessario nelle tarde opere di Koreeda, in quanto è l’unico mezzo che crea l’empatia necessaria allo spettatore per comprendere appieno la storia rimanendone perciò folgorato e commosso: ma ciò deve avvenire non tanto per il film in quanto tale, in quanto intrattenimento o piacevolezza, ma bensì dall’entità stessa della storia, che ha lo scopo ben preciso di mettere in luce un aspetto della società anomalo o sottovalutato. In sintesi la pellicola del regista si traduce in un attacco spietato e incondizionato alla società e ai cardini che la regolano; nell’indifferenza generale di una mentalità diffusa troppo individualista e menefreghista, dove le madri abbandonano i figli addossando a questi tutte le responsabilità, e dove un’intera popolazione non si cura minimamente di tale situazione…



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