venerdì 2 ottobre 2015

Cut – Amir Naderi

premessa: penso che Amir Naderi sia uno dei più grandi registi in circolazione, e ha fatto dei film che sono nella storia del cinema (in Iran, negli Usa, e in Giappone, fra quelli che ho visto finora).
Cut è un film che è un omaggio al cinema, un film estremo e contemporaneamente didascalico, ma Amir Naderi riesce nell'impresa.
ambientato in Giappone (coincidenza: anche Kiarostami, altro regista iraniano, ha girato un film in Giappone), essenziale, senza troppi fronzoli, sotto la protezione dei tre grandi del cinema giapponese, Shuji, un giovane regista che tiene un cineforum in un una terrazza (solo passione e amore lo rendono possibile), e di trova a dover restituire un debito ai mafiosi/camorristi della yakuza, e lo restitusce in natura.
gli sguardi di Yoko, la barista, sono un film nel film.
per me è un piccolo capolavoro, provare per credere, o per non essere d'accordo - Ismaele




…Naderi riesce ancora una volta ad annullare ogni possibile retorica, ogni possibile discorso, nel desiderio e nell’incanto. Nella vita, che continua. In un altro film che il protagonista potrà realizzare. Questo è il suo miracolo, il miracolo di Cut, di un regista formidabile. Perché Naderi è Shuji che fa visita alle tombe di Kurosawa, di Ozu, di Mizoguchi; perché Shuji è il Cinema, quel volto tumefatto e sanguinante che chiede di essere colpito ancora, come un‘ossessione, come una scena, come scene che ritornano, il Cinema è un corpo-schermo disteso sul quale le immagini scorrono, vivono, è quel corpo stremato e muto negli occhi dolci di una ragazza forse innamorata che si chiama Yoko (Takako Tokiwa), nelle sue mani. Il Cinema, per Naderi, è quel segreto, quel bambino che nei 3 minuti di Super8, in quelle immagini catturate senza poterle rivedere, sta cercando il mondo.

“Il cinema sta già morendo.” Amir Naderi regista giapponese lancia un urlo apocallitico sulla situazione del cinema. Atto d’amore incredibile ed unico, il film è una metafora della sforzi dei registi per ottenere finanziamenti per la realizzazione delle idee. Shuji è un ragazzo giapponese appassionato – solo come un giapponese può esserlo di cinema. La sua è una battaglia contro il mondo intero. Armato di un megafono si getta fra le strade sovrapopolate di Tokyo cercando di ottenere un minimo di attenzione. “Non sei mica Yukio Mishima.” Gli ricorda l’amico. Con tanto coraggio gestisce a casa sua – sul terrazzo del tetto – un cinema dove un gruppo di eroici appassionati si reca a vedere vecchi film muti ed in bianco e nero. Il suo appartamento è imbottito di locandine, manifesti, pellicole. Vuole anche essere sceneggiatore e regista. I finanziamenti gli sono concessi dal fratello, uomo della Yakuza. I film non sono distribuibili ed il fratello è ucciso perché incapace di restituire i tanti soldi. E qui inizia la metafora unica sulla devozione profonda per il cinema…

Inizialmente il film sembra "ingenuo" proprio per questo motivo. Sembra un'esaltazione nostalgica di un qualche tipo di vecchio cinema che ormai non esisterebbe più.
Poi andando avanti corregge il tiro, parlando di vero cinema e di veri registi tutt'ora presenti nel mondo che andrebbero supportati a discapito dei film dal budget spropositato, dei multisala ecc.
Così già si ragiona, perché chi è appassionato di cinema (ma magari anche di altre forme d'arte inglobate dal mercato come la musica, i fumetti ecc.) sa benissimo che per trovare i veri capolavori basta cercare, basta nuotare contro la mainstream e magari immergersi nell'underground. Ed è lì che si può trovare, ad esempio, Amir Naderi…

 Nonostante non sia la nostalgia il sentimento che muove l'opera, poiché il monito ad emulare il passato è tutto proiettato sul futuro della pratica cinematografica e volto ad un suo rinnovamento, il film non si può non considerare il manifesto di una certa stagione della cinefilia, ancora condivisibile ma non più assolutizzabile. Una stagione legata alla fisicità dell'oggetto filmico di cui Naderi canta l'estrema messa alla prova ma anche l'agonia.
Cineasta sempre più di culto (o forse bisognerebbe dire sempre meno, man mano che si massifica la platea), costruttore di ossessioni mitiche e divoranti, Naderi ha fatto molto meglio, per esempio con il precedente "Vegas", ma non ha mai urlato così forte come ora, che l'ossessione di cui è arrivato a trattare è esattamente la sua.

… Amir Naderi firma un manifesto sentito, profondo, emozionante, probabilmente destinato ai soli cinefili in grado di riconoscersi nell'attivismo cinematografico di Shuji, nel suo sconfinato amore per il cinema, nel suo desiderio di vivere una vita dedita all'arte. Il cinema è l'unico mezzo che collega Shuji alla vita, il suo unico scopo per esistere (e in questo senso, sono rivelatorie le scene in cui il protagonista, nudo, si lascia proiettare addosso le pellicole che tanto ama, cure salvifiche per le ferite della sua pelle).
Un atto romantico attorniato da un'aura quasi sacrale, con un cuore enorme, eppure secco, crudo, grezzo.
Come uno schiaffo.

Cut, in un certo senso, comincia dove finisce Goodbye Dragon Inn: la pellicola di Naderi, emerge dall'abisso filmico di Tsai Ming-liang, spastandosi da uno spettrale e silenzioso fine nostalgico, verso un fisico e vociante scopo stimolante. Lo spettatore, verso la fine, viene preso a pugni affinché possa sentire sulla propria pelle il dolore e il peso di 100 film e del loro valore inestimabile, sperando che questi non vengano dimenticati e sepolti nella memoria passata, ma piuttosto riscoperti e rievocati per cercare di infondere una nuova luce a questo superficiale ed anestetizzante presente cinematografico. Queste opere sono la totale e totalizzante dimostrazione d'amore che il regista iraniano riserva e riversa verso la settima arte. 100 pugni diretti:

#100
- "Welfare" (1975), di Frederick Wiseman
- "The Burmese Harp" (1956), di Kon Ichikawa
- "Knife in the Water" (1962), di Roman Polanski
- "Raise the Red Lantern" (1991), di Zhang Yimou
- "The Wind" (1928), di Victor Sjostrom
- "Pixote" (1981), di Hector Babenco
- "Fat City" (1972), di John Huston
- "Closely Observed Trains" (1966), di Jiri Menzel
- "La Terra Trema" (1948), di Luchino Visconti
- "Hoop Dreams" (1994), di Steve James

#90
- "Peeping Tom" (1960), di Michael Powell
- "Dekalog" (1989 - 1990), di Krzysztof Kie?lowski
- "Kwaidan" (1964) , di Masaki Kobayashi
- "The Up Documentaries" (1985), di Michael Apted
- "Fireworks" (1997), di Takeshi Kitano
- "The Conversation" (1974), di Francis Ford Coppola
- "Oya" (1929), di Hiroshi Shimizu
- "The Night of the Hunter" (1955), di Charles Laughton
- "Stranger Than Paradise" (1984), di Jim Jarmusch
- "Quince Tree of the Sun" (1992), di Victor Erice

#80
- "Eraserhead" (1977), di David Lynch
- "Le Quai des Brumes" (1938), di Marcel Carné
- "Salvatore Giuliano" (1962), di Francesco Rosi
- "Time of the Gypsies" (1988), di Emir Kusturica
- "The Bohemian Life" (1992), di Aki Kaurismaki
- "The Round-Up" (1966), di Miclos Jancso
- "Der Stand der Dinge" (1982), di Wim Wenders
- "La Strada" (1954), di Federico Fellini
- "The Hole" (1998), di Tsai Ming-liang
- "Nashville" (1975), di Robert Altman

#70
- "Vivre Sa Vie" (1962), di Jean-Luc Godard
- "Manila in the Claws of Neon" (1975), di Lino Brocka
- "Fitzcarraldo" (1982), di Werner Herzog
- "Peppermint Candy" (1999), di Lee Chang-dong
- "Xala" (1975), di Ousmane Sembène
- "Blissfully Yours" (2002), di Apichatpong Weerasethakul
- "Sur" (1988), di Fernando Solanas
- "Antonio das Mortes" (1969), di Clauber Rocha
- "La Belle Noiseuse" (1991), di Jacques Rivette
- "Vertigo" (1958), di Alfred Hitchcock

#60
- "Man with a Movie Camera" (1929), di Dziga Vertov
- "Shock Corridor" (1963), di Samuel Fuller
- "One Flew Over the Cuckoo's Nest" (1975), di Milos Forman
- "Red River" (1948), di Howard Hawks
- "Van Gogh" (1991), di Maurice Pialat
- "The Travelling Players" (1975), di Theo Angelopoulos
- "The Battle of Algiers" (1966), di Gillo Pontecorvo
- "Lola Montes" (1955), di Max Ophuls
- "Throw Away Your Books, Rally in the Streets" (1971), di Shuji Terayama
- "Satantango" (1994), di Béla Tarr

#50
- "A Time to Live and a Time to Die" (1986), di Hou Hsiao-hsien
- "Boy" (1969), di Nagisa Oshima
- "Floating Clouds" (1955), di Mikio Naruse
- "Ali: Fear Eats the Soul" (1974), di Rainer Werner Fassbinder
- "Briganti" (1996), di Otar Iossellani
- "Accattone" (1961), di Pier Paolo Pasolini
- "The Ballad of Narayama" (1983), di Shohei Imamura
- "Bicycle Thieves" (1948), di Vittorio De Sica
- "Johnny Guitar" (1954), di Nicholas Ray
- "The Naked Island" (1960), di Kaneto Shindo

#40
- "The Killing of a Chinese Bookie" (1976), di John Cassavetes
- "L'eclisse" (1962), di Michelangelo Antonioni
- "Paths of Glory" (1957), di Stanley Kubrick
- "Woman in the Dunes" (1964), di Hiroshi Teshigawara
- "Close Up" (1990), di Abbas Kiarostami
- "Sunset Boulevard" (1950), di Billy Wilder
- "L'albero Degli Zoccoli" (1978), di Ermanno Olmi
- "The Catch" (1983), di Shinji Somai
- "Le Samourai" (1967), di Jean-Pierre Melville
- "Kes" (1969), di Ken Loach
- "A Simple Event" (1973), di Sohrab Shahid-Saless
- "L'enfant Sauvage" (1970), di François Truffaut
- "Raging Bull" (1980), di Martin Scorsese

#30
- "Rashomon" (1950), di Akira Kurosawa
- "M" (1931), di Fritz Lang
- "Wild Strawberries" (1957), di Ingmar Bergman
- "La Grande Illusion" (1937), di Jean Renoir
- "Virdinia" (1961), di Luis Bunuel
- "The Third Man" (1949), di Carol Reed
- "Detour" (1945), di Edgar G. Ulmer

#20
- "Play Time" (1967), di Jacques Tati
- "Intolerance" (1916), di D.W. Griffith
- "Greed" (1924), di Eric von Stroheim
- "Paisà" (1946), di Roberto Rossellini
- "Tokyo Story" (1953), di Yasujiro Ozu
- "Nanook of the North" (1922), di Robert Flaherty
- "Andrej Rublev" (1966), di Andrej Tarkovskij
- "City Lights" (1931), di Charles Chaplin
- "Mouchette" (1967), di Robert Bresson
- "The General" (1926), di Buster Keaton
- "The Passion of Joan of Arc" (1928), di Carl Dreyer

#12
- "The Apu Trilogy" (1955, 56, 58), di Satyajit Ray

#11
- "Batlleship Potemkin" (1925), di Sergei Eisenstein


Il Cinema non è una puttana. Il Cinema è arte.


#10
- "2001: A Space Odissey" (1968), di Stanley Kubrick

#9
- "Late Spring" (1949), di Yasujiro Ozu

#8
- "The Searchers" (1956), di John Ford

#7
- "Sunrise" (1927), di F.W. Murnau

#6
- "Throne of Blood" (1957), di Akira Kurosawa

#5
- "A Trip to the Moon" (1902), di George Méliès

#4
- "L'atalante" (1934), di Jean Vigo

#3
- "Ugetsu Monogatari" (1953), di Kenji Mizoguchi

#2
- "" (1963), di Federico Fellini

#1
- "CITIZEN KANE" (1941), di Orson Welles




2 commenti:

  1. di realistico ci sono le percosse che prende il protagonista: è esattamente la situazione in cui si trova il cinema in questo inizio di millennio, botte senza remissione, a opera di gangsters e con degli idioti intorno che pagano. E' il pensiero che ho fatto io mentre lo guardavo... difficile da reggere, ma anche la realtà che ci sta intorno lo è. Da quando è uscito Cut, direi che va ancora peggio (i profughi, e ieri l'ennesima strage di un fanatico in Usa...)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. si può dire che è un film sulla Resistenza, Shuji è un partigiano del Cinema.

      mala tempora currunt, è non se ne vede la fine, anzi...

      Elimina