la storia è semplice, forse troppo.
uno scienziato, Godwin (interpretato da Willem Dafoe), crea la donna nuova, Bella (interpretata da Emma Stone), corpo da adulta, cervello di bambino, come Candido (di Voltaire) scopre il mondo con la sua ingenuità, decisa a ottenere tanto piacere (perché farsi del male?)
e la donna nuova parte con lo spasimante Duncan (interpretato da Mark Ruffalo) alla conquista del mondo, o almeno alla conquista di una vita degna di essere vissuta.
lei è una macchina da sesso per gli uomini, lavora anche in un bordello, quasi tutti gli uomini sono dei deficienti e delle merde, quasi tutte le donne sono persone in gamba, in una storia semplice semplice.
la magia di Lanthimos è quella di fare un film che sembra un manifesto del positivismo, una storia di non amore, con sfondi e scene che sembrano uscire da un cartone animato, o qualcosa di simile, ne esce un film lungo e denso di avvenimenti, con Emma Stone (bravissima) sempre al centro della scena, ingenua, compassionevole, e poi vendicativa, diventa una persona normale.
in fondo abbiamo visto una storia che è fiaba, ma di quelle con molti fuochi d'artificio, Bella vince sempre, tutti si arrendono a lei.
se non fosse per le scene di sesso, sarebbe un film per bambini, senza troppe complicazioni.
buona (e Bella) visione - Ismaele
...Torniamo così a Poor Things. Che è l’adattamento – o meglio la semplificazione – sul grande schermo dell’omonimo romanzo dello scozzese Alasdair Gray del 1992. L’originale è costruito sull’espediente canonico del manuscrit trouvé, alimentato e ulteriormente complicato, con gusto postmoderno, da un palinsesto di punti di vista intrecciati che si contraddicono l’un l’altro in una sorta di elevazione a potenza del meccanismo del narratore inaffidabile.
Così, il resoconto di Wedderburn viene corretto dal
diario di Bella Baxter, riportato però all’interno del racconto di McCandless,
che è infine smentito dalla lettera di sua moglie Bella/Victoria. E tutto
questo si regge sulla mise en abyme della ricostruzione
storica da parte dell’autore Alasdair Gray (o meglio il suo alter ego), il
quale, nella cornice metanarrativa, ritiene veritiera la versione fantastica di
McCandless a scapito di quella realistica di Bella/Victoria, pur specificando,
in apertura, che un suo amico, il “vero” artefice del ritrovamento dei
“documenti” trascritti, nega la sua veridicità. L’architettura a scatole cinesi
del palinsesto è l’unico vero pregio di un romanzo che troppo spesso si
arrabatta per dimostrare le sue tesi politiche.
Ma di quest’architettura nel film non c’è traccia. La
sceneggiatura estrapola solo la storia di McCandless – quella secondo cui una
donna riportata in vita con un altro cervello ha trovato se stessa e sposato il
narratore –, facendone però la versione della stessa Bella. Nel romanzo,
invece, Bella (ossia Victoria) risponde polemicamente agli uomini che hanno preteso
di raccontare la sua storia al posto suo, denunciando le fantasticherie
romanzesche proiettate su di lei secondo il trito schema per cui la donna è
l’immagine e l’uomo il depositario dell’immaginario. La sua vicenda, nelle sue
parole, non avrebbe nulla di sovrannaturale, ma sarebbe “solo” la storia di una
suffragetta fuggita dalle costrizioni vittoriane e divenuta una delle prime
laureate in medicina in Gran Bretagna – cosa che per gli uomini è già
“fantastica” abbastanza, commenta risentita. Ma non è tutto qui, perché Gray,
riprendendo la parola nel finale, lascia al lettore il dubbio se Victoria
(ovvero Bella) non abbia in realtà un motivo per voler nascondere le proprie
origini miracolose, a meno che lo stesso scetticismo di Gray non confermi ciò che
Victoria ha detto sugli uomini, e così ad infinitum.
L’eroina del romanzo diventa un’attivista politica
che, tramite le sue idee di sanità pubblica, per quanto estreme, tenta di
realizzare un’utopia emancipatrice; nel film, invece, perde ingenuamente tutti
i soldi dell’amante pensando di destinarli agli indigenti. Il punto sta che nel
romanzo, a differenza del film, Bella non si fa soltanto consapevole di
sofferenze e povertà, ma risale alle loro cause economiche e politiche. Anche
la rimozione di Glasgow come ambientazione, così importante nel libro per
stabilire il discorso su un tono estremamente caustico verso l’imperialismo
inglese, è funzionale all’appiattimento delle rivendicazioni politiche del
romanzo sulla fiaba sessuale tutto sommato rassicurante che è il film, senza
accenno alle denunce anticoloniali e anticapitaliste che costituiscono le pur
didascaliche tesi del romanzo.
Oltretutto, per dipingere Bella come una Candide,
vengono semplificati non solo l’intreccio e il suo personaggio, ma – ovviamente
– tutti gli uomini che le stanno intorno. Nel suo creatore non c’è più l’ombra
del Pigmalione satiresco immaginato da Gray e, allo stesso modo, il suo
promesso sposo è solo un “alleato della causa” mansueto e comprensivo, non il
fosco lettore dei romanzi che si perde in fantasie e neppure il plebeo di belle
speranze, che anche una volta ottenuto il prestigio non riesce a celare il
risentimento antiborghese. Nel film, l’amante libertino rapisce Bella per
gelosia, portandola sulla nave da crociera per allontanarla da altri uomini,
mentre nel romanzo è lei a trascinare lui in crociera per salvarlo dal tavolo
da gioco, come sarà lei, più tardi, a donargli generosamente i suoi soldi
perché ritorni a casa (nel film lui glieli strappa dalle mani). Per non parlare
di Blessington (Christopher Abbott), scialba caricatura del nobile malvagio
degna di un deteriore romanzetto d’appendice che ha poco a che vedere con il
personaggio corrispondente nel romanzo. Si dirà: legittime libertà creative per
il libero adattamento di una storia, e questo è indubbio. Ma sono operazioni
che tradiscono una volontà precisa di eliminare clamorosamente complicazioni e
ambiguità per fare una favola banale e manichea.
In molti, sia anche per la vicinanza temporale, hanno
evocato Barbie parlando di Poor Things: ebbene,
in Barbie, per quanto scriverlo sia paradossale, c’è molta più
complessità. Se in quest’ultimo molto si fonda sulla dialettica tra il
mondo reale e un mondo di finzione e le loro compenetrazioni, in Poor
Things (film) il world-building massimalista è tale
da farne un universo a sé, orgogliosamente altro dal nostro. Scegliendo il
registro del meraviglioso a scapito di quello del fantastico (inteso come
rottura del paradigma di realtà che provoca dubbio e inquietudine, come nel
romanzo) e riempiendo il mondo di Bella di animali chimerici, macchine
mirabolanti e un cielo dai colori iridescenti e ultraterreni, Lanthimos apre
allo stupore, non al mistero, che è ben altro.
La metafora presa alla lettera in Poor Things è
quella – piuttosto problematica di per sé, sia detto per inciso – del change
of mind, il cambio di mente ossia di mentalità compiuto da Bella per
emanciparsi, cosa che avviene tramite lo scambio di cervelli e che, nel
romanzo, la donna che si firma Victoria mette in ridicolo nella sua lettera.
Anche l’idea che basti fare tabula rasa della cultura e della
società per poter godere il sesso – come se esistesse un sesso assoluto al di
fuori della comprensione culturale – sembra ingenua, o quantomeno in
contraddizione con ciò che il regista aveva esplorato nei film precedenti.
Bella, che ignora la vergogna e il senso di colpa, vive una sessualità
infantile, libera e immediata, quasi l’infanzia fosse immacolata, priva di
complicazioni o mŷthos.
Certamente non lo era in Kynodontas, dove
la sessualità rientrava nell’orizzonte extramorale dei giochi dei fratelli,
adulti-bambini “idioti” a loro volta, al punto da non percepire
l’inammissibilità dell’incesto: mancandogli, nel sesso, le nozioni di norma e
tabù, sembravano però ignorare anche il desiderio. In Alps, il
sesso faceva parte della recita, una scena tra le tante da ripetere,
un’immagine mentale in cerca di simulacri sempre inadeguati. In Kinetta,
il regista dava ordini meticolosi persino alle sue amanti, nel quadro di una
squallida vita sessuale, come se cercasse di continuo di avvicinarsi,
simulandola, a una scena madre di cui conosciamo solo imitazioni. E Steven
Murphy si eccitava se sua moglie si fingeva una paziente in anestesia generale.
In Poor Things è lampante la semplificazione estrema, anche su
questo fronte, rispetto al percorso precedente.
Si badi bene: non è un brutto film.
La recitazione di Emma Stone, per esempio, è notevole. È però un film banale,
riduzionistico, ipercinematografico in tutti i sensi, frutto di un’operazione
industriale che, nella più ampia filmografia di Lanthimos, lascia
perplessi. Si potrebbe essere tentati di ipotizzare un filone
“essoterico”, adatto al grande pubblico, a cui fa da controcanto la linea
“esoterica”: quella, per restare in tempi recenti, di Bleat (2022),
cortometraggio, sempre con Emma Stone, ambientato sull’isola di Tino, nelle
Cicladi, che riporta l’enfasi sul senso originario greco (e dionisiaco) della
tragedia nel luttuoso “canto dei capri”. Per volontà del regista, è da vedersi
solo con musica orchestrale di accompagnamento dal vivo: è quindi
irriproducibile, non inquadrabile all’interno di logiche commerciali,
decisamente per pochi.
Due tendenze che si devono leggere anche chiamando in
causa gli sceneggiatori. I lavori esoterici (eccetto Kinetta) sono
quelli scritti a quattro mani col connazionale Efthymis Filippou. Basta
prendere un film da lui sceneggiato come Miserere (2018,
diretto da Babis Makridis) per accorgersi di quanto fondamentale sia stato il
suo apporto. Dall’altro lato, La favorita e Poor
Things sono stati scritti non da Lanthimos ma da Tony McNamara (con
Deborah Davis, nel primo). La favorita, dramma in costume su un
triangolo di intrighi e gelosie alla corte della regina Anna di Gran Bretagna,
segna l’ingresso nel mainstream e il passaggio dal perturbante
al bizzarro, dal mito greco all’eccentricità britannica, dal metacinema alla
cinematograficità estrema, dalla critica alla società dello spettacolo allo
spettacolo visionario. Di nuovo, niente affatto un brutto film, ma un film
irrimediabilmente altro rispetto alla linea qui descritta. Un
prodotto industriale.
Di Lanthimos è già stato annunciato il prossimo
film, Kinds of Kindness, sempre con Stone e Dafoe come interpreti
principali, ma con il ritorno alla sceneggiatura del sodale Filippou. Se la
recente consacrazione e l’acquisito successo internazionale vanificheranno la
tendenza esoterica, o se invece Lanthimos saprà intrecciare e magari confondere
e congiungere alchemicamente le due linee in un contrappunto degno del Bach che
tanto ama e utilizza, come ci sarebbe da aspettarsi da un auteur che
della trasgressione dei confini ha fatto il proprio tratto distintivo, è
questione per ora rimandata al futuro.
...Povere creature! ne aggiunge o consacra un'altra: la libertà. Una
dimensione rischiosa, sempre sfuggente, perché, nella scienza come
nell'esistenza, "è così finché non si trova un altro modo" e ancora e
ancora. Una trasformazione antropologica e sociale è dunque possibile? Una
reale libertà del femminile? O è solo una favola di fanta-scienza? Per
rispondere, il regista greco lancia la sua Eva in un viaggio senza tempo (non è
cambiato molto, nei secoli, in materia di relazioni uomo-donna), liberando contemporaneamente
un'energia visiva esplosiva, che frulla suggestioni pittoriche e organiche,
impressionismo ed espressionismo, esalta il racconto vittoriano dello scozzese
Alisdair Grey alla base del film, la fantasia interpretativa della Stone e il
lavoro immaginifico di scenografi e costumisti.
Più simile al Candido voltairiano che
al mostro di Frankenstein, la creatura di Yorgos Lanthimos fa esperienza
dell'abbondanza cromatica del mondo e della scarsità di empatia dei suoi
abitanti, passando in rassegna un campionario maschile tragicomico (il buono,
il geloso, il padre, il cinico, il crudele) che ha in comune la tendenza a
volerla rinchiudere nel proprio universo, con la scusa di offrirle protezione.
E si ride, con Povere creature!, della comicità più acuta: quella
che non nasconde il suo lato oscuro.
…Dunque niente di nuovo sul fronte occidentale, e ora, con Povere creature, siamo a Sofocle passando
per il teatro dell’assurdo e Mary Shelley ma finendo a piè pari nel Grand Guignol.
Dispiace dirlo, ma il confronto a ritroso con La favorita, Il sacrificio del cervo sacro Alps e Kynodontas è perdente, povere creature siamo noi
spettatori che, per due ore e venti, ce lo sorbiamo in silenzio, non essendo
possibile sfondare la tela del cinema e dire basta.
Con tutto il rispetto per chi lo ha apprezzato diciamo no.
Abbiamo fatto emergere questioni radicate nella cultura
occidentale fin dalle sue origini.
Infatti, con la differenza che gli scienziati pazzi sono
arrivati dopo, almeno dagli alchimisti, Cagliostro e compagnia, e di
esperimenti chirurgici nei teatri anatomici ne abbiamo visti che basta e
applicarci un tema come quello della liberazione della donna suona falso come
una moneta falsa…
…Che barba. Che noia!
Libera dai pregiudizi del suo tempo, ma prigioniera di altri
stereotipi, Bella tenta goffamente di difendere un'inesistente emancipazione.
O millantata uguaglianza/ parità di genere.
Purtroppo
l'emancipazione non passa attraverso un bordello parigino, dove una donna può
scopare dalla mattina alla sera.
Forse la protagonista
si sarebbe evoluta meglio alla Sorbonne, imparando le lingue o con un corso di fisica
quantistica.
Ma questo se mi trapianti il cervello di un feto,
presumibilmente maschio, cioè grande 5 cm, forse non è contemplato dall'uomo
che che lo fa! O forse lei impara le prerogative primarie di un uomo medio:
calcio, calcio, calcio; al mattino sesso, sesso, sesso al pomeriggio.
Il
film seppur visionario, spiazzante come è sempre Lanthimos, ricco di fotografia
iridescente e luoghi iconici, in questo caso delude.
Purtroppo
per noi e lui, l'emancipazione di una donna non coincide con lo sfruttamento
del suo corpo!!!
E
ormai siamo anche stanchi di ribadirlo.
L'energia
femminile, potente, creativa che dona la vita, ridotta al solo corpo, un mezzo,
la priva degli intenti fenomenali per cui è progettata e concepita.
Ed
è cosa, nel 2024, fuori moda, obsoleta e anti evoluzionista…
Mi avvicino
sempre con circospezione e anche con un po' di timore ai film
di Yorgos Lanthimos, al quale ho sempre riconosciuto la capacità di
"osare" ma non sempre quella di fermarsi al momento giusto, ovvero un
attimo prima di oltrepassare i limiti del buon gusto (cosa che in verità,
almeno per il sottoscritto, è accaduta solo una volta con Il sacrificio
del cervo sacro). Questa volta però c'è solo da applaudire, commuoversi e
emozionarsi, specie se si ha avuto la fortuna di vedere Povere
Creature! nel contesto della Mostra di Venezia, dove ha vinto il Leone
d'oro a furor di popolo: presentato appena il terzo giorno del festival, quindi
con ancora quasi tutta la rassegna davanti, è entrato fin da subito nel cuore
di pubblico e critica tanto da pronosticarlo sicuro vincitore quasi "al
buio".
Questo perchè Povere Creature! è una bellissima, rutilante,
liberatoria favola dark per adulti, che attraverso la storia
di Bella Baxter, giovane donna e novella Frankenstein,
passata dalla morte alla rinascita grazie alla lucida follia di uno scienziato
ripudiato dalla società (e che si fa chiamare "God", cioè
Creatore), ci regala una pellicola sorprendentemente vitale, femminista e
progressista. Sorprendente perchè, a dirla tutta,
finora Lanthimos nel corso della sua carriera non ci era mai sembrato
granchè disposto nei riguardi dell'altro sesso: nei suoi film la donna assumeva
sempre (finora) le sembianze di puro oggetto carnale (come in Dogtooth, ma
anche in The Lobster) oppure di spietata opportunista (come
ne La Favorita). Invece in Povere Creature! il ruolo
di Bella assurge a simbolo di emancipazione e liberazione (non
solo sessuale ma anche patriarcale), quasi un'icona di autodeterminazione e
risolutezza. E certo fa specie che nell'anno di Barbie e C'è
ancora domani il film più femminista e inclusivo dell'anno lo abbia
diretto un uomo, per giunta "insospettabile"...
…Se in “Barbie” la
regista ha reso esplicito il tema del patriarcato e della condizione della
donna, nel film di Lanthimos si giunge a trattare gli stessi
argomenti senza mai nominare la parola “patriarcato” avendone comunque la
presenza, in varie forme, in diverse scene. Si tratta di uomini che Bella
incontra e che, in qualche modo, cercano di ingabbiarla in convenzioni, tradizioni,
persino come oggetto da custodire sotto chiave.
Bella si
ribella a tutto ciò scoprendo e riscoprendo i veri affetti, le relazioni che
aggiungono valore e utilità alla sua vita. Vita che, da povera di cose, diventa
ricca di esperienze senza alcun limite come dovrebbe essere per ogni persona.
La regia di Lanthimos è ottima e fa uso
di inquadrature particolari, grandangolari, stroboscopiche e distorte proprio
come il regista ha abituato i suoi numerosi estimatori. La sceneggiatura è
solida, con battute e dialoghi frizzanti. L’interpretazione di Emma
Stone è sensazionale e offre tutti i livelli di crescita del
personaggio. Anche il cast si comporta molto bene soprattutto
l’ìstrionico Willem Dafoe.
Pobres Criaturas es un derroche de fantasía y
provocación. Su director, Yorgos Lanthimos, deja patente su enorme talento y su
genialidad, desmontando los estereotipos de la mujer. Brillante el trabajo de
Emma Stone, quien interpreta un complejo personaje, Bella Baxter, resultando
totalmente magistral. Las escenas de sexo son tan naturales, e incluso
ingenuas, que para nada escandalizan, más bien al contrario, divierten y
enternecen.
“Decepción”
es la palabra que mejor define a una película correcta y no mucho más
como Pobres Criaturas (Poor Things, 2023), la
flamante propuesta del cineasta griego Yorgos Lanthimos, uno de los pocos
directores originales, inconformistas y/ o con algo para decir del
insistentemente mediocre Siglo XXI. El film, el cuarto en inglés del señor
luego del drama de horror El Sacrificio del Ciervo Sagrado (The
Killing of a Sacred Deer, 2017) y aquellas comedias Langosta (The
Lobster, 2015) y La Favorita (The Favourite,
2018), la primera de impronta absurda y la segunda palaciega/ de época, un trío
en verdad magistral, se ubica en una hipotética zona cualitativa intermedia
entre por un lado las dos películas minimalistas con las que se hizo famoso en
el ámbito cinematográfico internacional de los festivales, Canino (Kynodontas,
2009) y Alpes (Alpeis, 2011), díptico interesante
que por cierto inauguró la mejor versión de su fetiche temático para con mundos
claustrofóbicos ficticios en función de los cuales los protagonistas de turno
pretenden salir o entrar, y por el otro lado las faenas iniciáticas también correspondientes
a su período profesional griego, Mi Mejor Amigo (O
Kalyteros mou Filos, 2001) y Kinetta (2005), obras
fallidas y muy poco vistas -la primera de ellas codirigida por el también
protagonista Lakis Lazopoulos- que asimismo plantaron las semillas de las otras
obsesiones de siempre del cineasta, sobre todo el surrealismo, la
experimentación formal, el sexo delirante, la traición, los problemas
identitarios, el mimetismo, el enclave hogareño como sede de batallas y ese
gustito por lo macabro o lúgubre retratado desde una perspectiva arty que jamás
se decide del todo entre la frialdad quirúrgica y la calidez del sarcasmo o la
sátira. Pobres Criaturas retoma todas estas premisas y
recursos pero sin lograr articularlas como en el pasado en un relato en verdad
glorioso y dejándolas flotar en un vacío que se vuelve bastante mecánico y que
sólo llamará la atención del espectador conservador y muy poco formado del
nuevo milenio, ese que se sorprende con cualquier mínima anomalía y cae en un
éxtasis digno de un mocoso…
Noto che quasi tutti scrivendo di Lanthimos abbiamo citato Barbie: di sicuro questo è stato l'anno della svolta per un certo tipo di produzione (e anche di un certo tipo di pubblico, che da tanto aspettava questo tipo di film :) )
RispondiEliminaa volte fare confronti con altri film è una forma di pigrizia intellettuale
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