una storia di rimpianti e decisioni tardive, bravissimi gli attori.
un errore, verso la fine sparano alla ruota anteriore sinistra della macchina di Howard, pochi minuti dopo, distratti, la ruota bucata è quella anteriore destra, capita anche ai migliori. - Ismaele
119 minutes – that's a relatively long runtime for a movie. But that doesn't have to mean it'll be boring. The sparse dialog in this movie isn't really what it's all about anyway. It's all about the emotions and the amazing pictures.
Sam Shepard portrays his role so wonderfully that you can sense his frustration with his life and his search for some meaning and his longing to change his ways.
Eva Marie Saint is equally adept at her portrayal of the old western actor's mom.
Jessica Lange, though, is truly outstanding. She steals the movie with one scene in particular and really deserves an award for her work in this film.
At the end of the day: this is Wim Wenders as we know him and as we like him best.
Sam Shepard portrays his role so wonderfully that you can sense his frustration with his life and his search for some meaning and his longing to change his ways.
Eva Marie Saint is equally adept at her portrayal of the old western actor's mom.
Jessica Lange, though, is truly outstanding. She steals the movie with one scene in particular and really deserves an award for her work in this film.
At the end of the day: this is Wim Wenders as we know him and as we like him best.
…Storia bellissima di una generazione che è invecchiata senza figli (quella di Wenders e del suo co-sceneggiatore e protagonista Sam Shepard) e che addirittura si è scoperta vecchia all’improvviso, intrecciata con quella dei figli cresciuti senza padri, di fragilità e assenze che si rispecchiano le une nelle altre, di tempi sfalsati, egoismi, rimpianti, tenerezze impossibili, Non bussare alla mia porta è anche un film sul mito, sul cinema che amavamo e che non è più (quello dove l’eroe esce trionfante dall’inquadratura impennando il suo cavallo), sull’America che amavamo e che forse sta ancora nascosta tra le highway e i deserti, tra le stazioni di servizio e le sale d’attesa del Greyhound, sbalzata nelle figurine surreali che si incontrano sulla strada, chiusa in un bar dove un ragazzo canta rabbioso. Road movie definitivo e affettuoso, ventun’anni dopo il tormentato Paris, Texas, è un rendiconto del casino che abbiamo fatto della nostra vita e un omaggio alla bravura dei nostri “non-figli” a sopravvivere nonostante noi.
…Come in Lisbon story avevamo una vecchia macchina da presa a manovella, anche qui abbiamo una vecchia automobile, degli anni ’50. Sarebbe errato e fuorviante prenderla ad ennesimo simbolo del vecchio ed abusato “sogno americano”. È piuttosto un riferimento alla tecnologia, una tenerezza per le cose del passato, fabbricate da persone che hanno messo impegno ed amore nel loro lavoro, che ritrovo spesso in Wenders, e che è uno dei tratti culturali della sua opera che sento più vicini e suggestivi. Ancora più preziose, queste pennellate, perché non si accompagnano mai al disprezzo del presente né alla paura del futuro, e quindi ispirano una maturità consapevole, capace di contemplare la storia antropologica dell’umanità con comprensione e compassione, addirittura con tenerezza, per il lavoro dei padri e dei nonni, e di fiducia possibilista nel futuro dei figli…
… Pieno di scene di notevole ariosità ed allegria sotterranea, Non bussare alla mia porta travalica dunque la suggestione del melodramma per tentare la via discreta e sussurrata della commedia; non tutto riesce, a dire la verità: nella parte centrale del film ci sono una ventina di minuti in cui il ritmo narrativo si appesantisce più del dovuto, ed in alcune scelte di regia Wenders si incaponisce in una ridondanza stilistica che a tratti richiama i suoi ultimi lavori. Per il resto però il film è decisamente suggestivo, sia in molte splendide immagini che in alcuni momenti di forte intensità emotiva (molto merito va distribuito anche agli attori).
Suadente e disteso, Non bussare alla mia porta potrebbe dunque testimoniare una nuova maturità del regista tedesco, deciso forse a “smitizzare” attraverso la leggerezza alcune figure del suo cinema: oltre che il già analizzato rimando a Paris, Texas, altre caratterizzazioni nel film si pongono come “variazioni sul tema”: lo spassoso detective interpretato da Tim Roth strizza l’occhio a quello di Mel Gibson in “Million Dollar Hotel”, ed anche la giovane Sarah Polley sotto molti punti di vista sembra una cresciuta “Alice nelle città”, ormai consapevole e matura.
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