martedì 30 gennaio 2024

Masumiyet (Innocenza) - Zeki Demirkubuz

un film sconosciuto ai più, eppure è un grande e inquietante film.

Yusuf esce di galera, ma è come un bambino che non sa come vivere nel mondo.

tutto si svolge in qualche città turca, fra persone davvero strane, il più "normale" è il gestore di una pensione che prende in simpatia Yusuf.

succedono tante piccoli avvenimenti e Yusuf incontra tante persone, in un effetto domino avvincente.

strano, ma davvero meritevole, un gioiellino da non trascurare. .

buona (caotica) visione - Ismaele





Zeki Demirkubuz: A Visionary Filmmaker

Before delving into 'Masumiyet,' it is crucial to understand the director behind it. Zeki Demirkubuz is celebrated for his unique storytelling style and his exploration of complex themes related to human nature. His films often delve into the darker aspects of society, presenting characters who are grappling with their own morality and personal dilemmas. Demirkubuz's meticulous attention to detail and his ability to craft deeply introspective narratives have earned him critical acclaim and a dedicated following.

'Masumiyet' tells the story of Yusuf, a man who is released from prison after serving time for an honor killing. Aimless and adrift, Yusuf finds himself in a run-down boarding house, where his path intersects with Bekir and Uğur. As the narrative unfolds, the lives of these characters become intertwined, leading to events that profoundly impact each of them. 'Masumiyet' explores themes of guilt, redemption, and the search for innocence in a morally complex world.

 

One of the strengths of 'Masumiyet' lies in its richly developed characters. Yusuf, portrayed with gripping intensity, carries the weight of his past actions and struggles with a sense of purposelessness. Bekir and Uğur, played with remarkable depth, add complexity to the narrative as their lives intersect with Yusuf's. Demirkubuz masterfully portrays their inner conflicts, capturing the emotional nuances and moral dilemmas they face. The performances in 'Masumiyet' bring authenticity and depth to the exploration of the human psyche.

Demirkubuz's meticulous attention to visual aesthetics is evident in 'Masumiyet.' The film's atmospheric cinematography, characterized by its muted color palette and evocative lighting, creates a sense of melancholy and introspection. The carefully framed shots and deliberate pacing add to the film's immersive experience, enhancing the emotional impact of the story and its characters.

'Masumiyet' tackles profound themes that resonate with audiences. Demirkubuz explores the complex nature of guilt, examining the consequences of past actions and the search for redemption. The film raises questions about the meaning of innocence and the blurred lines between right and wrong in a morally ambiguous world. Demirkubuz's exploration of these themes invites viewers to reflect on their own understanding of morality and the choices they make.

Upon its release, 'Masumiyet' garnered critical acclaim and cemented Zeki Demirkubuz's status as a master filmmaker. The film's poignant storytelling, powerful performances, and exploration of existential themes resonated with audiences. 'Masumiyet' has left a lasting impact on Turkish cinema, highlighting Demirkubuz's ability to provoke thought and elicit emotional responses through his storytelling.

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lunedì 29 gennaio 2024

Poor Things (Povere creature) - Yorgos Lanthimos

la storia è semplice, forse troppo.

uno scienziato, Godwin (interpretato da Willem Dafoe), crea la donna nuova, Bella (interpretata da Emma Stone), corpo da adulta, cervello di bambino, come Candido (di Voltaire) scopre il mondo con la sua ingenuità, decisa a ottenere tanto piacere (perché farsi del male?)

e la donna nuova parte con lo spasimante Duncan (interpretato da Mark Ruffalo) alla conquista del mondo, o almeno alla conquista di una vita degna di essere vissuta.

lei è una macchina da sesso per gli uomini, lavora anche in un bordello, quasi tutti gli uomini sono dei deficienti e delle merde, quasi tutte le donne sono persone in gamba, in una storia semplice semplice.

la magia di Lanthimos è quella di fare un film che sembra un manifesto del positivismo, una storia di non amore, con sfondi e scene che sembrano uscire da un cartone animato, o qualcosa di simile, ne esce un film lungo e denso di avvenimenti, con Emma Stone (bravissima) sempre al centro della scena, ingenua,  compassionevole, e poi vendicativa, diventa una persona normale.

in fondo abbiamo visto una storia che è fiaba, ma di quelle con molti fuochi d'artificio, Bella vince sempre, tutti si arrendono a lei.

se non fosse per le scene di sesso, sarebbe un film per bambini, senza troppe complicazioni.

buona (e Bella) visione - Ismaele



...Torniamo così a Poor Things. Che è l’adattamento – o meglio la semplificazione – sul grande schermo dell’omonimo romanzo dello scozzese Alasdair Gray del 1992. L’originale è costruito sull’espediente canonico del manuscrit trouvé, alimentato e ulteriormente complicato, con gusto postmoderno, da un palinsesto di punti di vista intrecciati che si contraddicono l’un l’altro in una sorta di elevazione a potenza del meccanismo del narratore inaffidabile. 

Così, il resoconto di Wedderburn viene corretto dal diario di Bella Baxter, riportato però all’interno del racconto di McCandless, che è infine smentito dalla lettera di sua moglie Bella/Victoria. E tutto questo si regge sulla mise en abyme della ricostruzione storica da parte dell’autore Alasdair Gray (o meglio il suo alter ego), il quale, nella cornice metanarrativa, ritiene veritiera la versione fantastica di McCandless a scapito di quella realistica di Bella/Victoria, pur specificando, in apertura, che un suo amico, il “vero” artefice del ritrovamento dei “documenti” trascritti, nega la sua veridicità. L’architettura a scatole cinesi del palinsesto è l’unico vero pregio di un romanzo che troppo spesso si arrabatta per dimostrare le sue tesi politiche. 

Ma di quest’architettura nel film non c’è traccia. La sceneggiatura estrapola solo la storia di McCandless – quella secondo cui una donna riportata in vita con un altro cervello ha trovato se stessa e sposato il narratore –, facendone però la versione della stessa Bella. Nel romanzo, invece, Bella (ossia Victoria) risponde polemicamente agli uomini che hanno preteso di raccontare la sua storia al posto suo, denunciando le fantasticherie romanzesche proiettate su di lei secondo il trito schema per cui la donna è l’immagine e l’uomo il depositario dell’immaginario. La sua vicenda, nelle sue parole, non avrebbe nulla di sovrannaturale, ma sarebbe “solo” la storia di una suffragetta fuggita dalle costrizioni vittoriane e divenuta una delle prime laureate in medicina in Gran Bretagna – cosa che per gli uomini è già “fantastica” abbastanza, commenta risentita. Ma non è tutto qui, perché Gray, riprendendo la parola nel finale, lascia al lettore il dubbio se Victoria (ovvero Bella) non abbia in realtà un motivo per voler nascondere le proprie origini miracolose, a meno che lo stesso scetticismo di Gray non confermi ciò che Victoria ha detto sugli uomini, e così ad infinitum.

L’eroina del romanzo diventa un’attivista politica che, tramite le sue idee di sanità pubblica, per quanto estreme, tenta di realizzare un’utopia emancipatrice; nel film, invece, perde ingenuamente tutti i soldi dell’amante pensando di destinarli agli indigenti. Il punto sta che nel romanzo, a differenza del film, Bella non si fa soltanto consapevole di sofferenze e povertà, ma risale alle loro cause economiche e politiche. Anche la rimozione di Glasgow come ambientazione, così importante nel libro per stabilire il discorso su un tono estremamente caustico verso l’imperialismo inglese, è funzionale all’appiattimento delle rivendicazioni politiche del romanzo sulla fiaba sessuale tutto sommato rassicurante che è il film, senza accenno alle denunce anticoloniali e anticapitaliste che costituiscono le pur didascaliche tesi del romanzo. 

Oltretutto, per dipingere Bella come una Candide, vengono semplificati non solo l’intreccio e il suo personaggio, ma – ovviamente – tutti gli uomini che le stanno intorno. Nel suo creatore non c’è più l’ombra del Pigmalione satiresco immaginato da Gray e, allo stesso modo, il suo promesso sposo è solo un “alleato della causa” mansueto e comprensivo, non il fosco lettore dei romanzi che si perde in fantasie e neppure il plebeo di belle speranze, che anche una volta ottenuto il prestigio non riesce a celare il risentimento antiborghese. Nel film, l’amante libertino rapisce Bella per gelosia, portandola sulla nave da crociera per allontanarla da altri uomini, mentre nel romanzo è lei a trascinare lui in crociera per salvarlo dal tavolo da gioco, come sarà lei, più tardi, a donargli generosamente i suoi soldi perché ritorni a casa (nel film lui glieli strappa dalle mani). Per non parlare di Blessington (Christopher Abbott), scialba caricatura del nobile malvagio degna di un deteriore romanzetto d’appendice che ha poco a che vedere con il personaggio corrispondente nel romanzo. Si dirà: legittime libertà creative per il libero adattamento di una storia, e questo è indubbio. Ma sono operazioni che tradiscono una volontà precisa di eliminare clamorosamente complicazioni e ambiguità per fare una favola banale e manichea. 

In molti, sia anche per la vicinanza temporale, hanno evocato Barbie parlando di Poor Things: ebbene, in Barbie, per quanto scriverlo sia paradossale, c’è molta più complessità. Se in quest’ultimo molto si fonda sulla dialettica tra il mondo reale e un mondo di finzione e le loro compenetrazioni, in Poor Things (film) il world-building massimalista è tale da farne un universo a sé, orgogliosamente altro dal nostro. Scegliendo il registro del meraviglioso a scapito di quello del fantastico (inteso come rottura del paradigma di realtà che provoca dubbio e inquietudine, come nel romanzo) e riempiendo il mondo di Bella di animali chimerici, macchine mirabolanti e un cielo dai colori iridescenti e ultraterreni, Lanthimos apre allo stupore, non al mistero, che è ben altro.

La metafora presa alla lettera in Poor Things è quella – piuttosto problematica di per sé, sia detto per inciso – del change of mind, il cambio di mente ossia di mentalità compiuto da Bella per emanciparsi, cosa che avviene tramite lo scambio di cervelli e che, nel romanzo, la donna che si firma Victoria mette in ridicolo nella sua lettera. Anche l’idea che basti fare tabula rasa della cultura e della società per poter godere il sesso – come se esistesse un sesso assoluto al di fuori della comprensione culturale – sembra ingenua, o quantomeno in contraddizione con ciò che il regista aveva esplorato nei film precedenti. Bella, che ignora la vergogna e il senso di colpa, vive una sessualità infantile, libera e immediata, quasi l’infanzia fosse immacolata, priva di complicazioni o mŷthos

Certamente non lo era in Kynodontas, dove la sessualità rientrava nell’orizzonte extramorale dei giochi dei fratelli, adulti-bambini “idioti” a loro volta, al punto da non percepire l’inammissibilità dell’incesto: mancandogli, nel sesso, le nozioni di norma e tabù, sembravano però ignorare anche il desiderio. In Alps, il sesso faceva parte della recita, una scena tra le tante da ripetere, un’immagine mentale in cerca di simulacri sempre inadeguati. In Kinetta, il regista dava ordini meticolosi persino alle sue amanti, nel quadro di una squallida vita sessuale, come se cercasse di continuo di avvicinarsi, simulandola, a una scena madre di cui conosciamo solo imitazioni. E Steven Murphy si eccitava se sua moglie si fingeva una paziente in anestesia generale. In Poor Things è lampante la semplificazione estrema, anche su questo fronte, rispetto al percorso precedente. 

Si badi bene: non è un brutto film. La recitazione di Emma Stone, per esempio, è notevole. È però un film banale, riduzionistico, ipercinematografico in tutti i sensi, frutto di un’operazione industriale che, nella più ampia filmografia di Lanthimos, lascia perplessi. Si potrebbe essere tentati di ipotizzare un filone “essoterico”, adatto al grande pubblico, a cui fa da controcanto la linea “esoterica”: quella, per restare in tempi recenti, di Bleat (2022), cortometraggio, sempre con Emma Stone, ambientato sull’isola di Tino, nelle Cicladi, che riporta l’enfasi sul senso originario greco (e dionisiaco) della tragedia nel luttuoso “canto dei capri”. Per volontà del regista, è da vedersi solo con musica orchestrale di accompagnamento dal vivo: è quindi irriproducibile, non inquadrabile all’interno di logiche commerciali, decisamente per pochi.

Due tendenze che si devono leggere anche chiamando in causa gli sceneggiatori. I lavori esoterici (eccetto Kinetta) sono quelli scritti a quattro mani col connazionale Efthymis Filippou. Basta prendere un film da lui sceneggiato come Miserere (2018, diretto da Babis Makridis) per accorgersi di quanto fondamentale sia stato il suo apporto. Dall’altro lato, La favorita e Poor Things sono stati scritti non da Lanthimos ma da Tony McNamara (con Deborah Davis, nel primo). La favorita, dramma in costume su un triangolo di intrighi e gelosie alla corte della regina Anna di Gran Bretagna, segna l’ingresso nel mainstream e il passaggio dal perturbante al bizzarro, dal mito greco all’eccentricità britannica, dal metacinema alla cinematograficità estrema, dalla critica alla società dello spettacolo allo spettacolo visionario. Di nuovo, niente affatto un brutto film, ma un film irrimediabilmente altro rispetto alla linea qui descritta. Un prodotto industriale.

Di Lanthimos è già stato annunciato il prossimo film, Kinds of Kindness, sempre con Stone e Dafoe come interpreti principali, ma con il ritorno alla sceneggiatura del sodale Filippou. Se la recente consacrazione e l’acquisito successo internazionale vanificheranno la tendenza esoterica, o se invece Lanthimos saprà intrecciare e magari confondere e congiungere alchemicamente le due linee in un contrappunto degno del Bach che tanto ama e utilizza, come ci sarebbe da aspettarsi da un auteur che della trasgressione dei confini ha fatto il proprio tratto distintivo, è questione per ora rimandata al futuro.

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...Povere creature! ne aggiunge o consacra un'altra: la libertà. Una dimensione rischiosa, sempre sfuggente, perché, nella scienza come nell'esistenza, "è così finché non si trova un altro modo" e ancora e ancora. Una trasformazione antropologica e sociale è dunque possibile? Una reale libertà del femminile? O è solo una favola di fanta-scienza? Per rispondere, il regista greco lancia la sua Eva in un viaggio senza tempo (non è cambiato molto, nei secoli, in materia di relazioni uomo-donna), liberando contemporaneamente un'energia visiva esplosiva, che frulla suggestioni pittoriche e organiche, impressionismo ed espressionismo, esalta il racconto vittoriano dello scozzese Alisdair Grey alla base del film, la fantasia interpretativa della Stone e il lavoro immaginifico di scenografi e costumisti.

Più simile al Candido voltairiano che al mostro di Frankenstein, la creatura di Yorgos Lanthimos fa esperienza dell'abbondanza cromatica del mondo e della scarsità di empatia dei suoi abitanti, passando in rassegna un campionario maschile tragicomico (il buono, il geloso, il padre, il cinico, il crudele) che ha in comune la tendenza a volerla rinchiudere nel proprio universo, con la scusa di offrirle protezione. E si ride, con Povere creature!, della comicità più acuta: quella che non nasconde il suo lato oscuro.

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…Dunque niente di nuovo sul fronte occidentale, e ora, con Povere creature, siamo a Sofocle passando per il teatro dell’assurdo e Mary Shelley ma finendo a piè pari nel Grand Guignol.

Dispiace dirlo, ma il confronto a ritroso con La favorita, Il sacrificio del cervo sacro Alps e Kynodontas  è perdente, povere creature siamo noi spettatori che, per due ore e venti, ce lo sorbiamo in silenzio, non essendo possibile sfondare la tela del cinema e dire basta.

Con tutto il rispetto per chi lo ha apprezzato diciamo no.

Abbiamo fatto emergere questioni radicate nella cultura occidentale fin dalle sue origini.

Infatti, con la differenza che gli scienziati pazzi sono arrivati dopo, almeno dagli alchimisti, Cagliostro e compagnia, e di esperimenti chirurgici nei teatri anatomici ne abbiamo visti che basta e applicarci un tema come quello della liberazione della donna suona falso come una moneta falsa…

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…Che barba. Che noia!

Libera dai pregiudizi del suo tempo, ma prigioniera di altri stereotipi, Bella tenta goffamente di difendere un'inesistente emancipazione.

O millantata uguaglianza/ parità di genere.

Purtroppo l'emancipazione non passa attraverso un bordello parigino, dove una donna può scopare dalla mattina alla sera.

Forse la protagonista si sarebbe evoluta meglio alla Sorbonne, imparando le lingue o con un corso di fisica quantistica. 

Ma questo se mi trapianti il cervello di un feto, presumibilmente maschio, cioè grande 5 cm, forse non è contemplato dall'uomo che che lo fa! O forse lei impara le prerogative primarie di un uomo medio: calcio, calcio, calcio; al mattino sesso, sesso, sesso al pomeriggio.

Il film seppur visionario, spiazzante come è sempre Lanthimos, ricco di fotografia iridescente e luoghi iconici, in questo caso delude.

Purtroppo per noi e lui, l'emancipazione di una donna non coincide con lo sfruttamento del suo corpo!!! 

E ormai siamo anche stanchi di ribadirlo.

L'energia femminile, potente, creativa che dona la vita, ridotta al solo corpo, un mezzo, la priva degli intenti fenomenali per cui è progettata e concepita.

Ed è cosa, nel 2024, fuori moda, obsoleta e anti evoluzionista…

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Mi avvicino sempre con  circospezione e anche con un po' di timore ai film di Yorgos Lanthimos, al quale ho sempre riconosciuto la capacità di "osare" ma non sempre quella di fermarsi al momento giusto, ovvero un attimo prima di oltrepassare i limiti del buon gusto (cosa che in verità, almeno per il sottoscritto, è accaduta solo una volta con Il sacrificio del cervo sacro). Questa volta però c'è solo da applaudire, commuoversi e emozionarsi, specie se si ha avuto la fortuna di vedere Povere Creature! nel contesto della Mostra di Venezia, dove ha vinto il Leone d'oro a furor di popolo: presentato appena il terzo giorno del festival, quindi con ancora quasi tutta la rassegna davanti, è entrato fin da subito nel cuore di pubblico e critica tanto da pronosticarlo sicuro vincitore quasi "al buio".


Questo perchè Povere Creature! è una bellissima, rutilante, liberatoria favola dark per adulti, che attraverso la storia di Bella Baxter, giovane donna e novella Frankenstein, passata dalla morte alla rinascita grazie alla lucida follia di uno scienziato ripudiato dalla società (e che si fa chiamare "God", cioè Creatore), ci regala una pellicola sorprendentemente vitale, femminista e progressista. Sorprendente perchè, a dirla tutta, finora Lanthimos nel corso della sua carriera non ci era mai sembrato granchè disposto nei riguardi dell'altro sesso: nei suoi film la donna assumeva sempre (finora) le sembianze di puro oggetto carnale (come in Dogtooth, ma anche in The Lobster) oppure di spietata opportunista (come ne La Favorita). Invece in Povere Creature! il ruolo di Bella assurge a simbolo di emancipazione e liberazione (non solo sessuale ma anche patriarcale), quasi un'icona di autodeterminazione e risolutezza. E certo fa specie che nell'anno di Barbie e C'è ancora domani il film più femminista e inclusivo dell'anno lo abbia diretto un uomo, per giunta "insospettabile"...

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Se in “Barbie” la regista ha reso esplicito il tema del patriarcato e della condizione della donna, nel film di Lanthimos si giunge a trattare gli stessi argomenti senza mai nominare la parola “patriarcato” avendone comunque la presenza, in varie forme, in diverse scene. Si tratta di uomini che Bella incontra e che, in qualche modo, cercano di ingabbiarla in convenzioni, tradizioni, persino come oggetto da custodire sotto chiave.

Bella si ribella a tutto ciò scoprendo e riscoprendo i veri affetti, le relazioni che aggiungono valore e utilità alla sua vita. Vita che, da povera di cose, diventa ricca di esperienze senza alcun limite come dovrebbe essere per ogni persona.

La regia di Lanthimos è ottima e fa uso di inquadrature particolari, grandangolari, stroboscopiche e distorte proprio come il regista ha abituato i suoi numerosi estimatori. La sceneggiatura è solida, con battute e dialoghi frizzanti. L’interpretazione di Emma Stone è sensazionale e offre tutti i livelli di crescita del personaggio. Anche il cast si comporta molto bene soprattutto l’ìstrionico Willem Dafoe.

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Pobres Criaturas es un derroche de fantasía y provocación. Su director, Yorgos Lanthimos, deja patente su enorme talento y su genialidad, desmontando los estereotipos de la mujer. Brillante el trabajo de Emma Stone, quien interpreta un complejo personaje, Bella Baxter, resultando totalmente magistral. Las escenas de sexo son tan naturales, e incluso ingenuas, que para nada escandalizan, más bien al contrario, divierten y enternecen.

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“Decepción” es la palabra que mejor define a una película correcta y no mucho más como Pobres Criaturas (Poor Things, 2023), la flamante propuesta del cineasta griego Yorgos Lanthimos, uno de los pocos directores originales, inconformistas y/ o con algo para decir del insistentemente mediocre Siglo XXI. El film, el cuarto en inglés del señor luego del drama de horror El Sacrificio del Ciervo Sagrado (The Killing of a Sacred Deer, 2017) y aquellas comedias Langosta (The Lobster, 2015) y La Favorita (The Favourite, 2018), la primera de impronta absurda y la segunda palaciega/ de época, un trío en verdad magistral, se ubica en una hipotética zona cualitativa intermedia entre por un lado las dos películas minimalistas con las que se hizo famoso en el ámbito cinematográfico internacional de los festivales, Canino (Kynodontas, 2009) y Alpes (Alpeis, 2011), díptico interesante que por cierto inauguró la mejor versión de su fetiche temático para con mundos claustrofóbicos ficticios en función de los cuales los protagonistas de turno pretenden salir o entrar, y por el otro lado las faenas iniciáticas también correspondientes a su período profesional griego, Mi Mejor Amigo (O Kalyteros mou Filos, 2001) y Kinetta (2005), obras fallidas y muy poco vistas -la primera de ellas codirigida por el también protagonista Lakis Lazopoulos- que asimismo plantaron las semillas de las otras obsesiones de siempre del cineasta, sobre todo el surrealismo, la experimentación formal, el sexo delirante, la traición, los problemas identitarios, el mimetismo, el enclave hogareño como sede de batallas y ese gustito por lo macabro o lúgubre retratado desde una perspectiva arty que jamás se decide del todo entre la frialdad quirúrgica y la calidez del sarcasmo o la sátira. Pobres Criaturas retoma todas estas premisas y recursos pero sin lograr articularlas como en el pasado en un relato en verdad glorioso y dejándolas flotar en un vacío que se vuelve bastante mecánico y que sólo llamará la atención del espectador conservador y muy poco formado del nuevo milenio, ese que se sorprende con cualquier mínima anomalía y cae en un éxtasis digno de un mocoso…

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venerdì 26 gennaio 2024

Il campione - Leonardo D'Agostini

un campione di calcio coglioncello, dotato più di talento calcistico che d'intelligenza e cultura.

i dirigenti della squadra decidono, dopo alcune bravate da galera, che il giocatore (Andrea Carpenzano) debba prendere il diploma e viene contrattato un precettore privato (Stefano Accorsi) per seguirlo come fosse un bambino.

il rapporto fra i due è complicato, all'inizio pieno di incomprensioni e imbrogli, da parte del giocatore, ricco e viziato.

ma il professore è testardo, nonostante le umiliazioni subite e va avanti finché può.

come va a finire lo vedrete voi, di sicuro è un bel film, ben scritto, ben diretto e ben interpretato.

una bella sorpresa, dategli un'occasione, non ve ne pentirete.

buona (scolastica - sportiva) visione - Ismaele


 

QUI il film completo, su Raiplay

 


Matteo Rovere e Sydney Sibilia hanno un’idea di cinema che ci piace. Nuova, attenta alla produzione americana, alle serie e ai tanto sbandierati “generi”. Da loro, come registi, sono arrivati "Smetto quando voglio", "Veloce come il vento" e "Il primo Re", tra i migliori film degli ultimi anni, e ora nelle vesti di produttori arriva "Il Campione", diretto da Leonardo D’Agostini, dove la mano di Rovere/Sibilia si vede eccome.

Il film, scritto da Giulia Steigerwalt, insieme a D’Agostini e Antonella Lattanzi, racconta la storia di un giovane e famoso calciatore e del suo rapporto, dapprima forzato poi indispensabile, con un professore che dovrà prenderlo per mano e portarlo, tra mille ostacoli, fino all’esame di maturità…

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D’Agostini è anche capace di costruire ad un ritratto credibile del calcio come industria di intrattenimento, in cui i giocatori passano dalla cresta dell’onda ad essere carne da macello, fagocitati da una fama che – sopratutto se molto giovani – non sono in grado di gestire. Per la sceneggiatura ci si è basati su storie reali, come quelle di Antonio Cassano, Mario Balotelli e Zlatan Ibrahimović; le sequenze di calcio giocato (che in un film su questo sport non sono poi così tante come ci si potrebbe immaginare) sono state realizzate con la supervisione e i veri atleti dell’AS Roma e altre società sportive italiane. Un lavoro che conferisce al film anche un indubbio realismo, lasciando in chi guarda la sensazione di una messa in scena autentica.

A rendere ancor più “reale” il film di D’Agostini contribuiscono le interpretazioni di Accorsi e Carpenzano, entrambi particolarmente convincenti nei ruoli. Da una parte il professore dimesso e “perdente”, ma dal gran cuore, dall’altra il campione incompreso, che al contrario di quel può sembrare non ha fiducia nelle proprie capacità: i due diventeranno dei punti di riferimento l’uno per l’altro, riscoprendo ciò che veramente conta nella vita.

Il campione è un romanzo di formazione pensato per un pubblico il più ampio possibile, non solo per gli amanti del calcio – che è meno “ingombrante” nella storia di quanto si potrebbe immaginare – ma anche per chi non si è mai interessato a questo sport. Una favola a lieto fine che, con la sua semplicità, non lascia indifferenti.

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Apprezzabile favoletta formativa, in cui non c'è nulla di realmente originale, ma è ottimo il voler raccontare una storia senza strafare. Il film è interessante dall'inizio alla fine e funziona il gioco a due tra Carpenzano e Accorsi.

Chi si aspetta da un film come "Il campione" una storia dallo sviluppo originale e imprevedibile può benissimo lasciar perdere in partenza.

Chi invece si aspetta di vedere un film ben fatto, piacevole e capace di creare interesse allo spettatore invece troverà pane per i propri denti.

Ogni tanto fa piacere vedere un film italiano più curato del solito, evitando certi pressappochismi fastidiosi, pur dovendo incorrere in qualche luogo comune (il calciatore con la vita sregolata, col padre a spolparlo e l'immancabile macchinone, con il protagonista che in questo caso più che un Balotelli appare essere un Cassano con però qualcuno che riesce a metterlo in riga a livello intellettivo).

Il film allora funziona, proponendo quella che tutto sommato è una favoletta formativa, evitando esagerazioni e forzature gratuite: quando non si ha l'ispirazione per proporre qualcosa di originale, allora è più serio evitare certi voli pindarici, limitarsi a raccontare la storia senza andare a prendere in giro lo spettatore…

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giovedì 25 gennaio 2024

Black Box - La scatola nera - Yann Gozlan

Mathieu (un bravissimo Pierre Nineyè un dipendente dell'ente di controllo dell'aviazione francese e la sua specialità è quella di poter capire cosa succede ascoltando le registrazioni come quelle delle scatole nere.

cade un aereo, muoiono centinaia di persone, Mathieu capisce che qualcosa non convince nella versione ufficiale della tragedia, ma non ha gli elementi per dimostrarlo.

ma lui non molla e riesce a trovare le prove di quanto è successo, lo chiamano complottista solo perchè cerca e trova le prove di un complotto, ma tutto si paga.

peccato che il film non sia passato al cinema, è proprio un gioiellino da non perdere, nessuno sarà deluso.

buona (misteriosa) visione - Ismaele


 

QUI il film completo, su Raiplay

 

 

Dietro la regia accurata e dinamica del regista francese Yann Gozlan, classe 1977 e noto per i suoi riusciti precedenti Captif (teso horror del 2010), Un homme idéal (thriller del 2015 con protagonista nuovamente Pierre Niney) e il film action Burn Out, questo teso Black Box racconta, sotto le spoglie di un thriller ad alta tensione, una indagine serrata attraverso la quale uno scrupoloso controllore si ritrova a smascherare gli oscuri complotti orditi dai costruttori aerei, volti a dare avvio ad una nuova era per il trasporto aereo.

Il ritmo serrato, la bravura degli interpreti, e la buona dinamica di regia, rendono il film un prodotto di intrattenimento del tutto riuscito e coinvolgente, in grado di farsi seguire con attenzione lungo tutte le oltre due ore di durata del film.

Ottima nuova prova per l'ormai famoso divo francese Pierre Niney, alle prese con un ruolo che risulta coinvolgerlo ed appassionarlo al punto da rendere questa sua prestazione, come una delle più coinvolgenti della sua già nutrita carriera di volitivo interprete.

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Black box ofrece una perspectiva ingeniosa y diferente dentro del género. Evita caminos demasiado fáciles y aborda la trama con solvencia, logrando una base bastante realista y entretenida. Su desconocido enfoque analítico en las entrañas misteriosas de un avión, cómo despliega la evolución de los protagonistas a partir de ahí y de qué manera mezcla personas, eventos y experiencias, es un ejercicio diestro e interesante. Desentraña los secretos de un vuelo con la poesía de la atención y permite que la verdad florezca a un ritmo perfecto y extenuante.

De principio a fin, los estímulos nos sumergen en la película. Recorremos los lugares y viajamos entre grabaciones como verdaderos personajes. El apartado técnico, especialmente en lo referido al sonido, nos obliga a permanecer en el eje de tensiones y a comprender la historia a través de los sentidos del analista principal. Esto hace que Black box sea asfixiante y estético, que avance con intensidad dentro del marco ficticio…

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mercoledì 24 gennaio 2024

Tutti giù per terra – Davide Ferrario

ci sono film che sono indimenticabili e rasentano la perfezione, 

Valerio Mastandrea è già grandissimo, i dolori del giovane Walter sono quelli di una'intera generazione,

la musica dei CCCP sembra scritta per il film.

non perdetevelo, se vi volete bene.

buona visione - Ismaele

  

 

QUI il film completo, su Raiplay

 

  

Uno sguardo sbilenco su una generazione di sottovuoti spinti creati dalla mancanza di prospettive.L'inizio di un cammino in una società che non fa nulla per essere accogliente,anzi.Un contesto urbano tanto livido e tetro quanto è vivace l'intelligenza del protagonista,ventiduenne in ritardo sugli appuntamenti della vita ma dotato di ironia arguta e sferzante sugli altri ma soprattutto su se stesso.E se poi vogliamo sottilizzare(ma neanche tanto) possiamo anche reperire nel film di Ferrario uno dei temi classici della teen comedy a stelle e strisce:la perdita della verginità come simbolo del termine di una viaggio iniziatico adolescenziale.Solamente che il nostro l'adolescenza l'ha superata da un pezzo.La vita di Walter è un susseguirsi di incontri dal sapore grottesco e surreale descritti in maniera sapida ed esilarante dalla sua stessa voce fuori campo(vivaddio finalmente ua voce fuoricampo che non irrita ma serve a qualcosa).Lo stile registico è modernissimo con inquadrature oblique e tutta una serie di scelte stilistiche che rendono il film totalmente distaccato dalla realtà locale che sta descrivendo che a sua volta viene deformata ad arte,filtrata e in qualche modo resa universale.Tutti giù per terra non sembra un film italiano,sembra un film appartenente al free cinema inglese(e qualcosa vorrà dire la dedica a Lindsay Anderson).Un'opera umorale,anarchica a cui Mastandrea infonde la sua ironia da borgataro acido sempre tra il greve e lo stralunato.La colonna sonora è fondamentale nel film:formalmente è firmata CSI ma sono molti i brani del loro vecchio repertorio quando ancora si chiamavano CCCP.Le parole di Giovanni "Lindo" Ferretti arrivano ad essere il pensiero ad alta voce di Walter,commentando le varie situazioni e sottolineando i vari gradi della sua paranoia esistenziale(vedi l'uso di Oh Battagliero! o dell'incipit di Mi ami  quando Walter è al cinema a vedere il film a luci rosse) Se esiste un icona del malessere generazionale allora quella è il Walter di questo film.E non è detto che la tanto agognata prima esperienza sessuale possa farlo crescere definitivamente.Una crescita modesta,una crescita molesta.Forse neanche quella.

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una commedia molto particolare in cui l'ironia non manca di certo.Tra la critica di certi aspetti della nostra società e la voglia di crescere in qualche modo, viene rappresentata la vita del giovane Walter (Valerio Mastandrea),un ventiduenne forse un pò troppo particolare (ma in fondo nelle sue stranezze c'è molto da imparare).Il film è girato con uno stile fresco e divertente e le voci fuori campo del protagonista introducono molto bene le scene e i suoi stati d'animo.Si parla di un periodo di vita che bene o male tutti abbiamo passato (o stiamo ancora passando!)dall'università al militare, dal sesso al lavoro...tutto per la ricerca della libertà, perchè come introduce all'inizio del film il protagonista l'importante era che "Io mi sentivo libero...nel senso che non c'avevo un cazzo da fare...!"

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Giro giro tondo, senza cadere in terra. La vita dispensa angosce, ma anche sorprese e si può diventare inaspettatamente adulti sul pavimento di un negozio.

A volte accade che qualche film, grazie all'armonica presenza delle giuste componenti, riesca a diventare un perfetto manifesto di un tempo, di un luogo, di una generazione, di un particolare universo del vivere. Ecco, "Tutti giù per terra" è l'impeccabile raffigurazione delle problematiche giovanili di un tempo non troppo lontano, dei turbamenti ed i dubbi che un ragazzo (od una ragazza) si pongono inevitabilmente in una determinata fase della vita. Buono il ritmo, perfettamente calibrata la colonna sonora, perfetto Mastandrea nella parte dell'universitario disilluso che combatte con famiglia, lavoro, istituzioni e sentimento. Una illuminata fotografia generazionale che calza a pennello con gli anni novanta, un contesto storico dove si rischia(va) di essere presi a calci come "animali stronzi". Il difetto: va contestualizzata. Ma se lo si fa, è un piccolo, meraviglioso capolavoro. Storico.

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Questo è un filmone, il classico Romanzo di formazione costruito su misura per gli anni '90 ma allo stesso tempo pregno di quei respiri universali che rendono un'opera adatta ad ogni contesto storico. Il protagonista non può non piacere, Mastrandrea è perfetto nel ruolo un po' scazzato e un po' cazzuto dell'adolescente che sfida il mondo ed il sistema col suo menefreghismo ma anche la sua perspicacia ed il suo amore per l'arte. Inevitabilmente, e con un pizzico di amaro, sarà il sistema a soggiogare in qualche modo lui ma non senza prima averci rimesso alcune delle sue regole. La scena del carro funebre che sfreccia lungo la stradina è emblema perfetto della ribellione del protagonista che accetta il testimone dalla sua defunta zia (una brava Caterina Caselli). La regia è ottima, frizzante e di polso, con segni di stile innegabili ma la vera differenza la fa la colonna sonora, quasi interamente a firma di CCCP/CSI che da sola rappresenta un intero universo adolescenziale con le sue musiche graffianti ed i suoi testi dallo slang eternamente moderno.

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lunedì 22 gennaio 2024

Harry un amico vero – Dominik Moll

un amico come Harry è impossibile da gestire, lo saluti una volta, gli dai un dito, si prende il braccio e tutto il resto.

il film inizia senza troppi colpi di scena, poi si parte, Harry è un amico, un diavolo, un pazzo, spinge tutti a fare quello che vuole lui, è gentile, lui offre, senza niente in cambio e diventa il deus ex machina della famiglia.

un film dell'orrore quotidiano, senza sconti, e con le immancabili, sorprendenti, vittime. 

un gioiellino da non perdere, promesso.

buona (amichevole) visione - Ismaele 



 

QUI il film completo, con sottotitoli in spagnolo

 

 

 

Fa sobbalzare questa storia di una strana amicizia ritrovata che diventa con il passare dei minuti un viaggio nella follia del protagonista che facendo leva sull'insicurezza e sull'assoluta ordinarieta' del tranquillo padre di famiglia non esita ad uccidere tutti quelli che si frappongono... Il finale è discretamente shock:il padre di famiglia diventa una belva ferita uccidendo il suo persecutore e nascondendone il cadavere,quindi mettendosi all'incirca sullo stesso piano:moralmente come lo giudichiamo? Meditate gente meditate..

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In viaggio per le vacanze con la sua famiglia, Michel (Lucas) incontra fortuitamente Harry (Lopez), un suo compagno del liceo. Invadente, mefistofelico e inopportuno, Harry riesce a farsi invitare con la sua compagna Prune (Guillemin) da Michel. È nella residenza montana di Michel che iniziano ad accadere strane cose: i genitori di Michel muoiono in un incidente stradale, il fratello sparisce e la presenza di Harry si fa sempre più opprimente. Fino a quando a Michel non diventa tutto improvvisamente chiaro…
Dominik Moll è abilissimo nel tessere una trama avvincente sulla falsariga di film acquatici come Ore 10: calma piatta, Cape fear e Acque profonde, morbosa ed angosciante, salvo poi caricare eccessivamente di aspettative un film che trova un finale intrigante ma lascia in sospeso alcuni elementi. La scelta del cast non avrebbe potuto essere migliore; l'esordio di Moll sfiora il capolavoro di un soffio.

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El encanto de Harry, un amigo que te quiere bien, epopeya detallista, elegante, onírica e implacable a lo Stanley Kubrick, Patricia Highsmith, Roman Polanski y hasta David Lynch, resulta realmente difícil de describir porque la realización en apariencia sigue el recorrido habitual de las faenas de humor negro aunque sin explicitar a lo yanquilandia el sentido hilarante de las truculencias, diálogos o situaciones de turno, sino más bien dejando en el público en cuestión la responsabilidad de deducir hasta qué punto lo que ocurre puede ser leído como un drama de pretensiones cuasi verídicas o, por el contrario, como una farsa que ridiculiza la claustrofobia del varón en familia y en esta ocasión sobre todo la falta de un modelo de hombre autosuficiente y enérgico con el cual medirse, pensemos en este sentido que el idiota de Michel está dominado no sólo por Claire y las tres mocosas, sus hijas, sino además por la sumisión y apatía risible de su padre dentista ante los dardos envenenados -o los constantes insultos- del personaje de Rovère, es por ello precisamente que Ballestero puede ejercer una influencia tan generosa sobre su persona porque constituye un ideal de lo que le gustaría que fuese su vida y su masculinidad si no tuviera que arrastrar a las bolsas de papas, las cuatro mujeres, y el rol varonil desdibujado de su progenitor, ese que no quiere reproducir pero al mismo tiempo imita a diario mediante un matrimonio exhausto y en profunda crisis por desacuerdos, frustraciones y contiendas de desgaste sin cesar. Por supuesto que la supuesta perfección de Harry, adinerado, seguro de sí mismo y cogiéndose a una descerebrada de corta edad que jamás se pone en su camino ni lo contradice, Prune, esconde un comportamiento maniático y claramente homoerótico que toma la forma de los homicidios de los padres de Pape y del estrafalario Eric, una criatura bizarra digna de El Gran Lebowski (The Big Lebowski, 1998), de los hermanos Joel y Ethan Coen, radicalidad hedonista y libertaria que llega en el desenlace a pretender extenderse hacia Claire y las niñas como últimos estorbos que de eliminarse dejarían allanada la senda hacia la ansiada autonomía que equipare a ambos varones, el prisionero del capitalismo y el independiente sin preocupaciones, en un sustrato vital en espejo que por fin los satisfaga y desencadene la concreción de esta utopía del bienestar homologado a la ausencia absoluta de compromisos

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He's fairly bursting with confidences, reassurances, compliments, generosity. We realize that the most frightening outcome of the movie would be if it contained no surprises, no revelations, no quirky twist at the end. What would really be terrifying is if Harry is exactly as he seems, and the plot provides no escape for Michel and Claire, and they're stuck with their new friend. "With a Friend Like Harry" you don't need enemies.

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domenica 21 gennaio 2024

BMW si dissocia da Itziar Ituño perché ha partecipato a una manifestazione per i diritti dei prigionieri politici - Carmela Negrete


“Noi di BMW Lurauto non ci associamo a nessuna ideologia politica, quindi ci dispiace che l’immagine di BMW Lurauto sia stata collegata a qualsiasi tipo di atto di contenuto ideologico, poiché ribadiamo il nostro impegno per la diversità, l’inclusione e il rispetto per il 100% della società”. Con questa dichiarazione, l’azienda tedesca BMW ha reso pubblico il fatto che sta facendo a meno dell’attrice Itziar Ituño, che aveva manifestato per i diritti dei prigionieri dell’organizzazione armata ETA, che, ricordiamolo, dal 2018 non esiste più. È stata sciolta. È storia. Finito. Adieu. È ora di porre fine alle anomalie democratiche e una manifestazione per i diritti civili non può che andare in questa direzione. BWM sbaglia quindi a licenziare Ituño, che non solo ha agito per la democrazia, così come ha manifestato per altre cause, ma che ha il diritto di partecipare alla vita politica indipendentemente dal suo lavoro di attrice per BMW senza essere censurata. Ma c’è di più.

La mossa di BMW è un errore democratico ma anche di comunicazione, perché se facciamo finta che il passato sia il presente e i crimini dell’ETA siano attuali, come se il gruppo non si fosse sciolto, allora i crimini di BMW in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale e in Spagna durante il colpo di Stato sarebbero ancora validi e sarebbe necessario “dissociarsi” da BMW. La principale famiglia azionista del marchio teutonico di auto di qualità, la famiglia Quandt, una delle famiglie più ricche della Germania, aveva addirittura un campo di concentramento in una fabbrica di batterie di sua proprietà chiamata AFA. Il produttore Herbert Quandt, nonno e bisnonno degli eredi, era membro del partito nazista NSDAP e contribuì a finanziare il dittatore tedesco Adolf Hitler. Nella sua fabbrica, secondo quanto riferito, i prigionieri dovevano maneggiare metalli pesanti senza protezione ed erano sottoposti a giornate di dodici ore, con controlli e disciplina estenuanti. Forse il problema della mancanza di empatia per la condizione dei prigionieri che hanno commesso crimini in passato è che la famiglia Quandt è sfuggita ai processi di Norimberga.

“Nell’era nazionalsocialista, la BMW si trasformò da azienda di mobilità in azienda di armamenti e divenne una delle aziende più importanti dell’economia di guerra tedesca”, scrive l’azienda stessa sul suo sito web. “Durante la guerra, la direzione dell’azienda impiegava operai coatti e prigionieri dei campi di concentramento senza scrupoli morali per raggiungere le cifre di produzione richieste”, continua. “Questi lavoratori erano costretti a lavorare in condizioni crudeli e non pochi morirono di fame e di sfinimento”. Quindi BMW ammette di essere colpevole di questi crimini. Il BMW Group, si legge nel testo, “è consapevole della propria responsabilità sociale e, in quanto azienda internazionale con dipendenti di 124 nazionalità, promuove una cultura di tolleranza ed equità”. Da questo passato deriva che l’azienda ora “sostiene attivamente una società aperta e priva di discriminazioni” e “sostiene progetti che affrontano la revisione del passato e cercano di prevenire ingiustizie future”. E come se non bastasse: “Al di fuori dell’azienda, molti dipendenti sostengono la tolleranza, l’apertura e la diversità”.

È piuttosto sorprendente che l’azienda dichiari di non voler essere coinvolta in “atti di contenuto ideologico” e allo stesso tempo si impegni per la “tolleranza, l’apertura e la diversità”. Dopo tutto, l’organizzazione armata ETA è stata fondata durante la dittatura di Franco per combattere contro la dittatura, che non solo aveva ucciso centinaia di migliaia di persone, ma aveva instaurato un regime di terrore in cui la dissidenza era perseguitata, con campi di concentramento, esecuzioni, torture. In cui non c’era giustizia sociale e venivano rubati i figli dei nemici politici. BMW costruì parte dei motori della Legione Condor che bombardò persone innocenti, tra cui una carovana di rifugiati, in tutto il Paese e contribuì a far cadere una delle prime democrazie europee. Le truppe tedesche e poi i cospiratori del colpo di stato, i fascisti di Franco, andavano in giro su moto BMW terrorizzando la popolazione e instaurando una dittatura che è durata quattro decenni. BMW dovrebbe quindi sapere che promuovere la pace sociale nei Paesi Baschi, riconoscendo i diritti dei prigionieri, significa sostenere “la revisione del passato” e “prevenire le ingiustizie future”. La BMW dovrebbe ringraziare l’attrice Itziar Ituño non solo per il suo lavoro pubblicitario, ma anche per aver creduto che la politica di comprensione e democrazia dell’azienda, di cui parla sul suo sito web, si applica anche al caso spagnolo.

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sabato 20 gennaio 2024

The Holdovers - Lezioni di vita - Alexander Payne

pensate a L'attimo fuggente, e a Breakfast Club, e a qualche altro film, naturalmente, aggiungete la bravura consolidata di Paul Giamatti, quella nascente di Dominic Sessa (che assomiglia il giovane Bob Dylan) e quella di Da’Vine Joy Randolph, la cuoca nera, siate ammirati da una sceneggiatura a orologeria e dalla mano registica di Alexander Payne, mescolate il tutto ed ecco un gioiellino da non perdere.

siamo nel 1970, iniziano le vacanze di Natale, e solo pochi sfigati vengono trattenuti nella scuola, soli, in mezzo alla neve, per un paio di settimane.

ci sono il razzismo e la guerra del Vietnam, solo un cieco non lo vedrebbe, ma non sono l'oggetto del film, solo l'opprimente sfondo dei civili Stati Uniti d'America di quegli anni (e non solo). 

i due protagonisti, lontani anni luce all'inizio, scoprono affinità e solidarietà prima inimmaginabili.

non ascoltate chi vi racconta le scene del film, zittiteli e andate al cinema sapendo poco o niente di quanto vedrete, non temete di restare delusi, non lo sarete, promesso.

buona (sorprendente) visione - Ismaele

ps: non tutti sanno che negli Usa il film è vietato ai minori di 17 anni, qualcuno beve alcolici e si vede uno spinello, che scandalo,  e che ipocrisia, in quel paese (dalla morale farisea) il cui esercito uccide e fa uccidere esseri umani a milioni in tutto il mondo!

 

 

 

Negli sguardi di disgusto di Angus verso il Paul Hunham di Paul Giamatti c'è già tantissimo cinema. The Holdovers inizia così un piccolo racconto di formazione a due corsie: il giovane sveglio che deve trovare il proprio posto e l'anziano professore che nel suo è ormai troppo comodo, come uno scranno lontano dal quale lancia strali e su cui è convinto di stare bene.

Nessuno sta davvero bene in The Holdovers, anzi, ci sono continui lampi di umanità spezzate che si calpestano a vicenda perché ormai incapaci di guardare dove mettono i piedi. Alexander Payne però è lì per farci sedere accanto a loro, come a voler dischiudere un amore combattente verso chi viene lasciato indietro dalla vita…

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The Holdovers – Lezioni di vita rompe consapevolmente tutte le regole non scritte del cinema americano contemporaneo, evitando deflagrazioni emotive e spiazzanti colpi di scena, ripudiando il manicheismo e puntando su un’umanità grigia e imperfetta, indelebilmente segnata dalla disillusione e dalla sofferenza. Pregi che si trasformano anche nel principale difetto del lavoro di Alexander Payne, tanto abile a distinguersi dalla massa per tono e scrittura quanto incapace di travolgere e sconvolgere.

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La forza della sceneggiatura scritta da David Hemingson sta nel mostrare con la giusta progressione drammatica le persone dietro la maschera, dietro la corazza che più o meno consciamente si sono costruite col passare del tempo. In The Holdovers – Lezioni di vita dunque non ci sono il turning point o il momento catartico in cui lo spettatore assiste allo “svelamento” dell’umanità. Al contrario siamo invece incoraggiati a esperire sulla nostra pelle lo svelamento intimo e doloroso della disperazione quieta, del dolore quotidiano. In questo modo la verità dei personaggi scaturisce alla stessa maniera dai loro pregi come dalle mancanze, a formare un quadro frastagliato di figure in chiaroscuro con cui diventa impossibile non condividere i sentimenti, sia quelli più puri che i decisamente meno nobili.

Come sempre Payne sa sfruttare al meglio gli script su cui lavora, supportando i dialoghi con una messa in scena precisa ma mai soffocante. E come sempre la direzione d’attori risulta eccelsa: Paul Giamatti regala al cineasta una prova superba, che si avvicina per molti versi a quella straordinaria di Sideways e al tempo stesso la smentisce. Il suo Paul Hunham, a differenza di Miles, si presenta come un “tipo fisso” che l’attore deve in qualche modo “scardinare”, esporre una parte per volta fino a ricostruirlo come essere umano. Accanto a lui l’esordiente Dominic Sessa sorprende come energetico, vitale contraltare al dogmatico docente. Insieme formano una coppia che racconta lo scontro tra età, potere, visione del mondo davvero difficile da dimenticare…

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Paul non fa salire in piedi i suoi studenti sul banco per salutare il professor Keating/Robin Williams ma il finale è altrettanto bello ed emozionante. Ed è altrettanto sorprendente il modo in cui Payne ci arriva, raccontando la storia di tre estranei come quella di una di famiglia. C’è una scena apparentemente innocua ma in realtà atroce. Paul rivede un suo vecchio compagno di scuola che è diventato professore ad Harvard. Lui lì per lì resta senza parole poi ci pensa Angus invece a mettere su una recita dove viene raccontata una possibile vita che in realtà non c’è mai stata. Il rapporto tra i due personaggi è vero e intenso proprio perché è fatto di avvicinamenti e allontanamenti, inganni e complicità. E la visita al padre del ragazzo è un colpo al cuore. Certo, ogni tanto il rischio che il film torni a un certo accademismo di maniera c’è. Ma stavolta Payne, che come per la seconda volta nella sua filmografia non ha scritto la sceneggiatura dopo Nebraska (lo script è firmato da David Hemingson), non si fa ingabbiare dalla prpria scrittura e forse non è un caso che questi siano i suoi due film migliori. Anzi The Holdovers è ancora meglio di Nebraska. Stavolta l’atto d’amore nei confronti del cinema statunitense è autentico, vitale, sottolineato da una colonna sonora trascinante che brucia l’anima nella scena nell’incrocio di sguardi della pista di pattinaggio sulle note di The Wind di Cat Stevens. Paul Giamatti è da Oscar ma anche gli altri due protagonisti, Dominic Sessa e Da’Vine Joy Randolph, sono bravissimi e vi resteranno nel cuore. E in questo rapporto così intimo, forse (e giustamente) da una parte siamo estromessi. Come si ripetono Paul e Angus, ‘entre nous’.

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Como siempre en el cine minimalista del director sinceramente mucho no acontece y el retrato de personajes se va desarrollando en función de una cotidianeidad tragicómica que en esta ocasión incluye un brazo dislocado del adolescente semi rebelde, una pelea evitada en un bar con un veterano manco de la Guerra de Vietnam, una fiesta de Navidad en la casa de una administrativa/ secretaria de Barton de la que Paul está románticamente interesado, Lydia Crane (Carrie Preston), el acercamiento paralelo de Angus hacia la linda sobrina de la anterior, Elise (Darby Lee-Stack), y un viaje final a Boston por parte del dúo más Lamb a lo parentela ensamblada que por supuesto nos permite conocer el trasfondo identitario del docente y su alumno, espejos deformantes que se entienden, el primero otrora expulsado de la Universidad de Harvard a posteriori de un episodio de plagio y atentado automovilístico contra un ricachón, por ello Hunham tuvo que volver a su colegio secundario a pesar de que detesta a todos los burgueses soberbios o tontos del lugar, y el segundo un púber traumado por los trastornos psiquiátricos repentinos de su padre, Thomas (Stephen Thorne), de hecho internado en una institución mental mientras la madre, Judy (Gillian Vigman), está de Luna de Miel con su nuevo y asimismo acaudalado esposo, Stanley Clotfelter (Tate Donovan). Payne una vez más va de lo general, tanto el carácter caricaturesco del profesorado como el odio clasista contra los hijos y padres de las cúpulas explotadoras del capitalismo, hacia lo individual, un Paul cuya idiosincrasia tiránica tiene que ver con las decepciones de la vida y la profesión y un Angus que se siente reflejado en Hunham porque también considera que la enorme mayoría de los burgueses son unos necios insoportables que no conocen nada por fuera de su jaula autoconstruida de oro, amén de una Mary que oficia de la mirada externa proletaria que humaniza los dardos cruzados entre ambos y por cierto atraviesa un doloroso duelo por la muerte en combate de su hijo Curtis, ejemplo de una “disciplina académica básica” que jamás iguala del todo porque el negro estudiaba allí y fue convocado al servicio militar sin miramiento alguno, a diferencia de sus compañeritos blancos que consiguieron evitarlo por un linaje siempre vinculado a la alta alcurnia del poder y el privilegio yanqui…

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