nei film di Atom Egoyan c'è sempre qualcosa di misterioso, qui un cameraman che non si vede mai, e il ritmo dei film, fra l'Armenia e casa sua, in Canada, è scandito dalle foto che illustrano i mesi del calendario (che fa per soldi, è un lavoro, lo dice chiaramente).
a cena c'è sempre una donna diversa, che parla un'altra lingua, e che vicino al calendario fa una telefonata.
un film semplice, forse, che strega.
cercatelo, vi catturerà - Ismaele
a cena c'è sempre una donna diversa, che parla un'altra lingua, e che vicino al calendario fa una telefonata.
un film semplice, forse, che strega.
cercatelo, vi catturerà - Ismaele
…Calendar è la storia della fine di un amore. Lui e lei che si vogliono bene, ma qualcosa non funziona più; a poco a poco, una terza persona si infila nella coppia, e lui si sente sempre più estraneo. Come si vede, una storia molto comune, già raccontata molte volte; ma Egoyan è un narratore finissimo, e in questo caso – oltre alla grande bravura degli interpreti – colpisce una sua tecnica molto particolare, che non ho mai visto applicare in nessun altro film che io mi ricordi…
…Calendar is best described as a sort of
experimental documentary. Egoyan steps in front of the camera to play a
photographer who has been sent on assignment to Armenia to create a
calendar. His wife (real-life wife Arsinee Khanjian) joins him and
begins to learn more about the Armenian culture thanks to their passionate
and knowledgeable guide who is just known as Driver (Ashot Adamian).
Egoyan cuts
between three specific points in the story; the distant past, caught on
videotape, as Egoyan (labeled Photographer in the credits) and Arsinee
(Translator) travel the countryside, the near-past as an answering machine
delivers potential dates to Photographer, and the shifting present as
Photographer dates each woman with a specific level of aloofness.
This sort of
time shift was mostly hinted at in Egoyan's previous work and used more for
quick flashback's and for the revelation at the end of The Adjuster. Here the shifts are present the
entire film. The chronological spheres move forward even as Egoyan cuts
back and forth between each set of events. So despite the consistent
changes in time, Egoyan manages to keep things moving at a brisk pace without
sacrificing any narrative clarity…
…The photographer's disassociation with the
Armenian country is a product of and reflection on the director’s own early
apathy towards it. At one point the photographer talks to one of his dates
about her Egyptian roots and, with obvious regret, tells her ‘you wouldn’t see that
in me,’ referring to the brief period he spent in Cairo in his childhood. This
ambiguity of national identity is something that Egoyan returns to frequently
throughout his career and while Ararat (2002), in which he explores the Armenian genocide of 1915,
remains the most notable study of his country of heritage, Calendar describes
in much more personal detail how he feels towards his homeland(s). Through this
film we get an impression of what it’s like to be Armenian and Egyptian and
Canadian, to be all of these and none of them at the same time.
adesso siamo in due ad averlo visto e segnalato...
RispondiElimina:-)
ripeto la domanda che mi pongo sempre: perché alcuni film vengono replicati all'infinito, ed altri scompaiono nel nulla? (non è certo una questione di costi e di diritti, ci sono molti bei film ormai a costo zero...). Trent'anni di tv commerciale hanno fatto il deserto, anche nelle Università mi viene da pensare. (che tristezza)
penseranno che è un film difficile, senza sesso, attira poca pubblicità, oggi la metà del cima del '900 non sarebbe producibile, e temo di essere ottimista.
Eliminae non ne vedo la fine, purtroppo