mercoledì 16 settembre 2015

Sangue del mio sangue – Marco Bellocchio

un cavaliere, mercenario, soldato, chissà, si reincarna(?) in un truffatore che il potente di turno scopre e compra con pochi soldi.
quel potente è Roberto Herliztka (bravissimo), vive appartato, capo riconosciuto di un gruppo di potere locale, ormai al tramonto, in un tempo deve tutto è parodia e inganno, mala tempora currunt.
suor Benedetta, la strega, sopporta le torture di un'Inquisizione senza speranza, e alla fine, strega, diavolo o angelo, chissà, esce dalla prigione (come Roberto Herliztka/Moro in "Buongiorno notte").
un Bellocchio minore, probabilmente, ma le opere minori dei grandi artisti non vanno trascurate - Ismaele






Due storie fra passato e presente. Stesso luogo, ovvero le antiche prigioni di Bobbio, un tempo sede di un convento. La prima è ambientata nel seicento e narra la vicende di un giovane uomo d’armi (Pier Giorgio Bellocchio) che viene sedotto come il suo gemello prete da una suora che ricorda tanto la monaca del Manzoni, chiamata Suor Benedetta, la quale sarà suo malgrado costretta a subire prove dolorosissime al fine di accertare o meno il suo patto con il Demonio. La seconda invece si svolge ai giorni nostri, dove un misterioso conte/vampiro (Roberto Herliztka), che esce solo di notte, viene incalzato da un sedicente ispettore ministeriale (sempre interpretato da Pier Giorgio Bellocchio).
Quello che mette in scena Marco Bellocchio nel suo ultimo personalissimo film è un mondo perduto dove passato e presente si confondono, un ambiente ostile chiuso in sé stesso fatto di ombre, echi e rimandi…

Sangue del mio sangue (che spero vivamente possa portarsi a casa un premio all’interno del Concorso) è una pellicola che rende palpabile l’eternità dell’esistere nel suo tempo soprannaturale tutto terreno. Un’eternità portata addosso da esseri-simboli, metafore di tutti gli uomini che ‘attraversano’ i secoli, schiacciati alla terra dalla finitezza, imbrigliati tra la schiavitù ad un presunto peccato da cui ci si deve proteggere (perché la morte ci rende monchi sin da quando nasciamo) e l’anelito alla libertà e alla bellezza, temuti anch’essi per i limiti che sono capaci di superare.
Eppure la pellicola di Marco Bellocchio è ‘sparpagliata’, frammentata nella genesi e nelle tematiche affrontate, apparentemente ‘incollata’ nelle porzioni…con buchi (si fa per dire) di nonsense, di ‘confusione’. Questo per chi non è abituato al cinema di Bellocchio. I suoi seguaci (io lo sono), annusano le tracce che lascia senza esitazione, e alla fine del viaggio, non possono non commuoversi

…nel suo complesso, anche se apprezziamo la libertà di espressione cercata dall’artista, nonostante alcuni interpreti tornino tra i due episodi, la sensazione di frammentarietà un po’ ci pervade. Ad unire le due epoche e le due storie è idealmente il Potere e la messa in discussione dello stesso; parallelamente a stupirci positivamente è il registro di ironia e leggerezza che talvolta si respira (vedi, su tutto, il dialogo tra il conte e il suo dentista – Toni Bertorelli). Così, come in un altalena, quando il tono rimuta con soluzioni narrative inaspettate, lo si avverte ancor più. Vogliamo citare, in ultimo, la figura del folle a cui dà corpo Filippo Timi, il quale spunta proprio come tale, come se fosse un Amleto dal tragico sberleffo e guarda caso proprio nella storia ambientata nell’epoca moderna…
da qui


Enigmatico, svincolato e sfuggente, Sangue del mio sangue è un film che affronta la Storia e (ancora una volta) la biografia del suo autore attraverso una declinazione libera, una rielaborazione del materiale narrativo sganciata da qualsiasi aderenza o fedeltà. Traslocato di nuovo il suo cinema a Bobbio, estensione di un corpo individuale, familiare e sociale in procinto di esplodere ieri e di 'risolversi' oggi, Marco Bellocchio non è mai pago di sperimentare e di sperimentarsi, andando contro o rivedendo il sé che era. Sangue del mio sangue porta addosso i segni di questo lavoro paziente e faticoso di messa in discussione, sprigionando un'energia abbagliante, una sintesi di rigore, semplicità, essenzialità, movimento, fisica, chimica, storia, filosofia, mistero...

Se Marco Bellocchio voleva spiazzarci c’è riuscito in pieno. Questo è il suo film più fuori-rango, risqué, anarchico, irregolare, di un autore e di un signore che a settant’anni può permettersi tutto e ha deciso di rimettersi in gioco e pure divertirsi. E fin qui tutto bene, châpeau. Però, in questa sua coraggiosa impresa Bellocchio deraglia, infrange ogni regola di minimo buonsenso e anche minimo buongusto e ci consegna un film sincero e nudo, urticante nel suo esibito estremismo, ma anche imbarazzantissimo per cose che mai avresti voluto vedere e sentire. Sincero e insieme impudico. Grideranno entusiasti, e già hanno applaudito freneticamente in sala alla proiezione stampa, i ragazzi e i ragazzacci che adorano il cinema di genere o i Bellocchio-dipendenti che in questa sconclusionata storia di streghe, vampiri, révenants lassù nella piacentina Val Trebbia, in questo plot confusissimo e con voragini narrative, hanno ritrovato o hanno creduto di ritrovare il repertorio delle loro passioni schermiche…

2 commenti:

  1. mmm... Bellocchio mi lascia sempre perplesso... quanto meno dagli '80 in poi... Questo promo mi attira poco e il finale con Nothing else matters in versione angelicata ohiomamma.........

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