l'esercito polacco prese l'iniziativa e ci fu, dal primo agosto al 2 ottobre del 1944, una sollevazione contro i nazisti che occupavano Varsavia.
per quei due mesi (e anche dopo) l'armata Rossa non venne in aiuto dei patrioti polacchi e Varsavia venne distrutta dai nazisti, fu una carneficina.
Andrzej Wajda racconta gli ultimi momenti della Resistenza, la prima metà del film è drammatica, i pochi partigiani sono assediati, non possono tenere nessuna posizione, la seconda parte, ancora più drammatica e claustrofobica, è quella del tentativo di fuga attraverso le fogne.
non puoi che essere dalla parte dei partigiani e soffrire con loro, eroi senza speranza.
dopo che si è saputo di Katyn (Andrzej Wajda ne ha tratto un film grandissimo, qui), oggi la spiegazione dell'immobilismo dell'Armata Rossa può essere interpretato come la seconda parte del lavoro fatto a Katyn da Stalin.
qualche anno fa è stato trasmesso da Fuoriorario, sempre sia lodata, e si può trovare qui.
guardatelo, è grande Cinema - Ismaele
PS: mi viene da pensare a come la Storia si ripete, come a Varsavia allora, oggi a Gaza c'è un assedio, i resistenti palestinesi vengono ammazzati nei tunnel, anziché nelle fogne, e una potenza di fuoco enorme distrugge la striscia di Gaza, e qui non c'è l'Armata Rossa dall'altra parte del fiume, a Gaza c'è il mondo intero che vede tutto e nessun esercito si muove, come ai nazisti allora oggi agli israeliani viene concesso tutto il tempo necessario per la carneficina.
…E’ un film sulla resistenza al male ontologico della
guerra, in cui non esistono eroi vittoriosi, ma solo eroici perdenti, dannati
in un inferno costruito dall’uomo e per l’uomo, in cui non esiste luce né
speranza, ma solo uno stretto e melmoso labirinto di voci e di disperati umori,
i bassifondi della città, infernale rappresentazione d’un limbo ch’è condizione
umana d’una sfortunata quanto coraggiosa insurrezione e, forse, d’un popolo
intero, a cui la storia ha raramente sorriso.
…Repressa
la rivolta i tedeschi rasero al suolo, con cannonate ed esplosivi, ogni singolo
edificio di Varsavia. Cose che mettono i brividi. Non parliamo di un villaggio,
si tratta di una capitale, e i tedeschi, pure ormai consci della sconfitta che
li attendeva, ancora procedevano con quella determinazione distruttiva. Anche
questo ci verrà mostrato.
E' un film che, se anche non poté denunciare appieno tutte le ragioni storiche dell'accaduto, mostra con un notevolissimo realismo quella che fu l'esperienza di quei disperati. Le scene in esterni, che probabilmente hanno potuto godere (si fa per dire) dei molti luoghi ancora da ricostruire, trasmettono tutta la sensazione di apocalittico che quei giorni contenevano. Sopravvivere a vicende del genere può persino diventare una colpa, e il finale è un vero colpo al cuore. In questo senso la locandina originale, con quell'uomo che si "scioglie", una figura che ancora in piedi già si decompone, è tragicamente bella…
E' un film che, se anche non poté denunciare appieno tutte le ragioni storiche dell'accaduto, mostra con un notevolissimo realismo quella che fu l'esperienza di quei disperati. Le scene in esterni, che probabilmente hanno potuto godere (si fa per dire) dei molti luoghi ancora da ricostruire, trasmettono tutta la sensazione di apocalittico che quei giorni contenevano. Sopravvivere a vicende del genere può persino diventare una colpa, e il finale è un vero colpo al cuore. In questo senso la locandina originale, con quell'uomo che si "scioglie", una figura che ancora in piedi già si decompone, è tragicamente bella…
… Dal punto di vista artistico il film di Wajda è
stato valutato dalla maggior parte dei critici e degli spettatori in modo
positivo. Ne è prova il fatto che gli sia stato assegnato il Premio Speciale
della Giuria, la Palma d’Argento al decimo Festival Internazionale di Cannes
nel 1957. “Il film polacco ha svolto il ruolo dell’ambasciatore dei cambiamenti
della nostra cultura - scrive il corrispondente da Cannes Jerzy Plazewski
citando una serie di interessanti opinioni dei critici stranieri - André Bazin
dei “Cahiers du Cinema” ammira le scene sulle barricate, e soprattutto la
birbantesca gioia di Janczar dopo aver neutralizzato un Goliat, il carro armato
nazista. Edward de Laurot (“Film Culture”, New York) sottolineava la densità
alla Clouzot e la “mancanza d’aria” delle scene girate nelle fognature. Per
Doniol-Valcrose del “France Observateur” Wajda è un regista completamente
maturo. A sentire Lindsay Anderson (“Sight and Sound”, Londra) il nostro film
si merita il premio. Il più critico è Ugo Casiraghi (“L’Unità”): egli sostiene
che al film manchi uno sfondo più vasto e che il conflitto si svolge in maniera
troppo individuale. In compenso si dice conquistato dalla recitazione degli
attori”. Altrettanto positivi sono i pareri pubblicati sulla stampa. Secondo il
giornale francese “Nice Matin” “le sensazioni provocate dai più famosi film
“noir” non sono nulla al confronto con quelle emozioni sconvolgenti che ci
accompagnano, che ci torturano durante la proiezione del film di Wajda. Un film
fatto alla perfezione. Un film che colpisce e affascina”…
Polish director Andrei Wajda finds a
sobering metaphor for the dehumanizing nature of war inKanal, his
relentlessly bleak war drama set during the Warsaw uprising of 1944, by
following a large group of civilians and soldiers in the Polish Home Army
Resistance as they attempt to escape from certain death by retreating through
the watery labyrinth that is the sewer system. Made to run from imminent danger
like helpless sewer rats, they descend midway through the film into what is
nearly a literal hell, as the Nazis above use their booby traps and machine
guns to easily pick them off whenever they dare surface. The mood, which
steadily moves from desperate to fatalistic, makes Kanal difficult to watch, especially
since the second half of the film’s claustrophobic setting stands in stark
contrast to the wide open, if war-torn, spaces of the first, but the history
behind the hopeless situation would make feel-good or even sustained hopeful
moments inappropriate. Despair dominates here and once he gets down and dirty
in the sewers, Wajda makes no concessions toward his audience in lessening the
severity of his vision, for better or worse…
…Prix
spécial du Jury à Cannes en 1957, Kanal est composé de deux parties. La
première narre, avec une louable économie de moyens, les combats désespérés
menés par un groupe de résistants dans un Varsovie laminé par les bombardements
allemands. L’ennemi est rarement filmé, et le réalisateur excelle à dépeindre
ce mélange paradoxal de combativité, découragement, solidarité et peur, qui
atteint un microcosme représentatif de la résistance polonaise. La seconde partie, d’une noirceur totale, relate la fuite
dans les égouts. La tonalité tant naturaliste que surréaliste est saisissante,
et un superbe noir et blanc crée à merveille une sensation d’étouffement. Wajda
ne cherche pas les effets : si la partition musicale est d’un beau lyrisme
expressionniste, elle ne surligne jamais l’action ; si les drames
individuels rejoignent le malheur collectif, jamais la mise en scène ne verse
dans le misérabilisme et l’émotion facile. La plus belle séquence montre un jeune
couple apercevant la lumière au bout d’un tunnel. Leur étreinte de joie est de
courte durée car la sortie est impossible : les Allemands ont grillagé le
tunnel. L’homme étant invalide et
ne pouvant marcher, le couple ne pourra que rester assis en attendant la fin.
Wajda est également subtil dans ses métaphores politiques : la dislocation
des membres qui se perdent dans les égouts symbolise la déstabilisation de
l’unité nationale, et l’inactivité des Soviétiques, jamais évoquée
explicitement, n’en est que plus évidente…
With the Warsaw Uprising coming to a bloody
conclusion, an all but beaten company of resistance fighters is given the order
to retreat through the city’s sewers to its centre. Reluctant to do so, with
each member already seemingly resigned to their inevitable demise, the company
nevertheless follows its orders, descending into the hellish stink below, but
soon comes to find that its new environs are every bit as challenging as the
rubble-strewn, Nazi-infested streets it had just fled. Solidly crafted,
fascinatingly plotted, and well-acted, this influential war drama nevertheless
fails to deliver the nightmarish, visceral punch that it should have, with the
anxiety-ridden, claustrophobic horror of its situation never quite coming
across
La
critica di Guido Aristarco (Guida al film, Fabbri Editori) :
L'unica autentica novità rispetto ai film polacchi, scarsamente significativi, degli anni Cinquanta, che troviamo ne I dannati di Varsavia è nella scelta del soggetto del film, un episodio della rivolta antinazista di Varsavia: avvenimento storico, questo, ignorato e censurato dal regime filosovietico del dopoguerra. Nel 1944, quando già i soldati dell'Armata Rossa avevano raggiunto la sponda della Vistola prospiciente la capitale polacca, più di quarantamila militari e abitanti della città lottarono per due mesi, casa per casa, contro le preponderanti forze tedesche, e furono massacrati senza che i sovietici intervenissero per impedire la feroce repressione. Argomento del film è la tragica fine dell'insurrezione: la fuga attraverso le fogne di Varsavia, di un gruppo di partigiani polacchi ormai impotenti nel fronteggiare gli aerei e i carri nemici.
Solo in apparenza Wajda esprime le istanze popolari antisovietiche e l'«ansia di libertà» di quel momento storico, mentre nega in realtà ogni possibilità di liberazione e di cambiamento, mostrandoci una vicenda in cui i polacchi-patrioti-buoni-puri-altruisti-cattolici diventano martiri della ferocia nazista e del disinteresse sovietico. Nelle fogne di Varsavia muore la libera Polonia e inizia la schiavitù sotto la «dittatura». Il regista non vede prospettive di cambiamento della situazione presente e passata, non vede alternative alla dittatura, trova elementi degni di fiducia solo in dimensioni astratte: il coraggio, lo spirito di sacrificio, la fede dei singoli, ricompenseranno, in una vita futura, coloro che oggi sono sconfitti. Wajda approfitta della fine dello stalinismo non per proporre modelli di vita più avanzati, ma per dichiarare apertamente la propria individualità nazionale, religiosa e ideologica, e per piangere sulla «servitù» inevitabile del suo paese. Non vuole capire razionalmente le cause di un certo sviluppo storico, non si chiede quali fossero le divergenze ideologiche e strategiche che nel '44 dividevano profondamente i partigiani polacchi dallo Stato maggiore sovietico, non prende in considerazione, osservando un evento del passato, né i mutamenti sociali che, bene o male, il regime socialista introdusse in Polonia nel dopoguerra, né alcun altro elemento utile a un dibattito politico. La guerra è per lui una condizione esistenziale in cui trionfa il Male, i suoi personaggi sono situati fuori del tempo, fuori della storia: essi incarnano la situazione eterna e permanente dei «santi» martirizzati dalle dittature. In genere, i film dell'Europa dell'Est che negli anni Cinquanta affrontavano il tema della Resistenza si conformavano al rigido schema dell'esaltazione patriottica dei combattenti per la libertà, rappresentando con toni retorici soltanto gli aspetti «eroici» della lotta partigiana, lotta in cui le due parti avverse erano i termini antitetici d'una visione della storia moralistica e manichea. Wajda non rifiuta questi schematismi e non va al di là di una superficiale esaltazione dell'eroismo, in quanto i personaggi de I dannati di Varsavia, pur sofferenti, spaventati, sconfitti, destinati a morte sicura, sono pur sempre eroi, simboli di virtù degne di ammirazione incondizionata, archetipi dotati di scarsa credibilità (mentre combattono o fuggono il nemico, parlano sempre di «grandi temi» astratti - l'amore, la libertà, la dignità umana - mai dei problemi tattici o politici della loro lotta). Un individuo perde la ragione, uno tradisce, uno pensa solo a sé; dal confronto con costoro risultano maggiormente esaltati gli «eroi» che resistono fino alla morte, sacrificano la vita per la salvezza altrui, sublimano in un purissimo sentimento amoroso il proprio istinto di conservazione.
Questi temi vengono affrontati da Wajda con un linguaggio molto simile a quello dei film d'azione americani. La struttura narrativa e il ritmo del montaggio tentano di creare una forte suspence ponendo in rilievo le reazioni istintive e irrazionali d'un gruppo di persone immerse in una situazione angosciosa. Il fine di tale procedimento è quello di provocare negli spettatori ansia prima, commiserazione poi, senza fare minimamente appello alla partecipazione intellettuale del pubblico. L'indubbia capacità di Wajda nel dominare il mezzo tecnico non produce ricerche stilistiche originali, ma esercitazioni formalistiche fini a se stesse le quali denunciano da un lato le non poche incertezze di un regista quasi esordiente, e dall'altro la loro affinità ai procedimenti formali tipici del cinema di consumo hollywoodiano.
Mi pare che questo film sia di molti anni precedente a Jatyn di Wajda stesso, giusto? Mi piacerebbe vederlo, perché ho visto Katyn e perché ho sentimenti di amicizia verso la Polonia e i polacchi.
RispondiEliminaho scritto qualche giorno fa a un amico:
Eliminadei polacchi si sa troppo poco, solo quando qualcuno vince il Nobel o muore qualcun altro si accorge che esistevano.
Stalin li temeva, i polacchi (vedi Katyn e l'insurrezione di Varsavia), e
questo me li fa volere ancora più bene :)
I dannati di Varsavia (Kanal) è del 1957.