martedì 29 novembre 2011

A Torinói ló (Il cavallo di Torino) - Bela Tarr

Eraserhead dice che i commenti al film di Bela Tarr sono inadeguati (mai stato più d’accordo), Giuliano dice che di affrontare un discorso su Bela Tarr ancora non se la sente, io per mia parte provo a raccontare qualcosa che il film ha scatenato.
A partire dalla storia di Nietsche aTorino un cavallo riporta a casa un uomo, forse il vetturino di quell'episodio. E' una storia con un uomo di 58 anni, della figlia, del cavallo e un pozzo che si asciuga. Bela Tarr fa un film, che nessuno, temo, distribuirà in Italia.


La storia, a partire da pochi elementi con poco contesto, diventa universale, e tutti la possono capire, a vari livelli.


Siamo alla fine della vita di un luogo, la Terra, chissà, appare un compratore di alcol, che cerca di spiegare le cose che succedono, e non succedono, con dei miti e complotti, il padre giudica il tutto come scemenze; appaiono degli zingari che vogliono partire e si invitano al pozzo, il padre deve tirare fuori un’accetta per mandarli via. Intanto il cavallo smette di voler viaggiare e poi anche di mangiare (sta lasciandosi morire?), poi padre e figlia e cavallo partono, ma tornano indietro, è inutile fuggire, l’elogio della fuga non esiste.
Mi è venuta in mente una frase di Cesare Pavese, “Non ci si libera di una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola.”


Tre melodie accompagnano gli eventi, la musica pulsante di Vig Mihaly, la musica incessante del vento e il suono del silenzio.


Il mondo è sempre stato difficile, per molti lo è, e il futuro sarà oscuro. Tutto è essenziale, sorrisi non ce n’è, parole solo quelle indispensabili, anche meno, non esistono telefono, tv, riscaldamento, giornali, un grado zero della tecnologia e dei rapporti umani.
Mi sono venute in mente le parole di Primo Levi, “Voi che vivete sicuri Nelle vostre tiepide case, Voi che trovate tornando a sera Il cibo caldo e visi amici:Considerate se questo è un uomo…”, un corto circuito mentale, chissà. (Pavese e Levi, sono morti entrambi suicidi, a Torino).


È un film da vedere senza rete, lasciandosene attraversare, abbandonandosi alle immagini, alla storia, ai suoni, (alle associazioni mentali); Bela Tarr non lo ingabbi in schemi precostituiti.
Come volevasi dimostrare ogni commento è inadeguato.
L’ho visto in lingua originale, con sottotitoli in inglese, forse apparirà anche con sottotitoli in italiano, chissà.


Alla fine della visione sai solo che è un film immenso. - Ismaele



...La scala emotiva che fa crescere d’intensità l’opera non ha eguali nel cinema moderno, merito della sopraccitata dedizione al ripetere che quando esibisce l’inceppamento del meccanismo rende quest’uomo e questa donna – e sì, pensateli pure scritti in maiuscolo – l’emblema dell’impotenza.
La Fine non è mai stata così enorme nel cinema, così sovrastante (leggi: sovrumana), così immensa, e di conseguenza l’uomo non è mai parso così disarmato, così povero (di qualunque cosa, sia dentro che fuori), così minuscolo alle prese con l’ovvietà delle faccende quotidiane.
E tale progressione si deve anche alle solite musiche stratosferiche di Mihály Víg che non sono un semplice accessorio, ma parte fondante che si integra totalmente nell’Immagine, innervandola, donandole potenza ed emotività, al pari di tutti gli altri film di Tarr che non sarebbero gli stessi senza le note del suo fidato collaboratore. Ma qui il riconoscimento per il comparto sonoro è doppio visto che per l’intera durata del film le nostre orecchie capteranno continuamente quel vento tremendo che spira fuori dalla casa, costante e ripetitivo, senza alcuna accezione negativa, come è il cinema di Tarr...

...It's a unique and haunting film, like a filming of a near-wordless play of Beckett, stained with an indelible sadness and regret that our world cannot be saved from darkness....

...Scavare solchi – aprire sentieri laterali, squarci di cinema possibile. Tarr appartiene a quella generazione di cineasti che ha rimesso il tempo al centro del linguaggio. Si parla di remodernismo, minimalismo, slow cinema. La mia impressione è che una mappatura critica sia ancora sostanzialmente da fare, quanto meno in ambito continentale.
Quel che è certo è che le strade del cinema che verrà passano anche da da qui.

"Memento per chi celebra la vita contadina. La stamberga nello sprofondo ungherese è squallida, il vento ulula (quando per un attimo dà tregua, ulula la colonna sonora di Mihaly Vig), l'acqua va presa al pozzo (camminando controvento). Per unico pasto ci sono due patate (una per il contadino padre, l'altro per la contadina figlia). La cavalla da tiro è moribonda e inappetente. Così finisce il primo giorno. Il secondo si ripete uguale e gli altri pure. Il riferimento al cavallo che Nietzsche abbracciò a Torino è un pretesto. Dormivano quasi tutti, e oggi scriveranno 'capolavoro'." (Mariarosa Mancuso, 'Il Foglio', 16 febbraio 2011)

8 commenti:

  1. Eh sì, lo sosterrò ad oltranza, difficilmente si potranno trovare parole di fronte a un regista così grande.
    In questi ultimi giorni mi sto vedendo delle interviste di Tarr fatte in alcuni festival dove ha portato il film. Parla in inglese ma è abbastanza facile da comprendere, e in una di queste un giornalista gli propone un accostamento tra The Turin Horse e l'Apocalisse. E Tarr più o meno dice (vado a memoria): no no, l'Apocalisse per me è un grande show in cui ci sono molte cose, è complessa, mentre il mio film parla di cose più semplici.
    Parla di come nella nostra vita un mercoledì sia uguale e identico a un giovedì senza che noi ce ne rendiamo conto...

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  2. un mio amico dice che con Bela Tarr siamo un po' troppo fan.
    ancora non c'è arrivato:)

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  3. Pellicola impressionante. Un finale che non riesco a togliermi dalla testa per quanto enorme. Comunicare la fine del mondo intero concentrandosi su due persone in un'abitazione abbandonata da dio. Enorme.

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  4. questa è la grande arte, da una storia minima si tira fuori una storia universale, che scuote le nostre teste.

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  5. Obbliga il tuo amico a vedere Satantango tutto di fila. Ci vuole una terapia d'urto :)

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  6. Cinema immenso. Difficilmente mi sbilancio in tal senso perché ritengo che un film di qualità per essere definito "capolavoro" debba "stagionare" per alcuni anni (anche molti). Per questo, in particolare, devo dirlo.

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  7. Immenso è la nuova categoria, allora:)
    anche per me, capolavoro è legato al tempo, qualcosa che dopo anni splende con forza, qua siamo in un mondo a parte

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  8. qui (http://luigilocatelli.wordpress.com/2011/11/25/film-da-non-perdere-stanotte-sulle-tv-gratuite-il-cavallo-di-torino-the-turin-horse-di-bela-tarr-venerdi-25-novembre-2011/#comments), nei commenti, i link per "A Torinói ló", con sottotitoli in italiano, trasmesso da Fuoriorario.
    funziona:)

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