un film in due parti diverse, ma ben cucite da Dox, un cane poliziotto davvero capace.
siamo nel 1961, la polizia è al servizio del cittadino, senza mele marce.
alla fine c'è una battuta bellissima, contro l'intelligence degli Usa.
non è il film migliore del regista, è un film "semplice", ma a me è piaciuto abbastanza.
cercatelo, non ve ne pentirete.
buona (cinofila) visione - Ismaele
Più che interessante è divertente; il cane Dox non poteva non
conquistare tutta la mia simpatia e il mio sostegno morale, ma anche il suo
padrone, ben interpretato da Orsini, è tutt'altro che tedioso e anzi, ben
calato nel suo ruolo. Il commissario è burbero al punto giusto, ma
coinvolgente. Fra le donne ho però preferito nettamente la Furneaux (anche se
occupa il primo episodio, più prevedibile come decorso). Alla fine merita
qualcosa di più della sufficienza, anche se Freda è ancora molto lontano dai
livelli raggiunti col capolavoro A doppia faccia.
Pur essendo un Film che ha delle basi canine (Post-Rin Tin
Tin e decisamente Pre-Rex ed il Cane si chiama Dox) e' un Film che ha ancora un
certo fascino anche se come Pellicola e' magari poco conosciuta ma lo stesso il
tutto e' godibile e discretamente avvincente
la scalata verso il successo, la ricchezza, la nobiltà da parte di Oliver è piena di bugie, di imbrogli, di violenza.
Oliver sembra uno sfigato in cerca di protezione da parte di Felix, il ricco nobile compagno di studi, ma Oliver, un novello arrampicatore sociale, ha un piano demoniaco, fin dall'inizio, per impossessarsi di Saltburn, a qualsiasi costo.
ottima prova d'attore di Barry Keoghan e Jacob Elordi, in un film fra Funny games e Arancia meccanica, senza però raggiungere il livello di nessuno dei due film citati, pur essendo Saltburn un film che non sfigura.
buona (diabolica) visione - Ismaele
…Saltburn è un film estremo, folgorante,
perverso, con una cattiveria e una suspense assillante che si insinua nei
meandri di una dimora corrotta e ignara. L’indole più perfida e crudele, la natura
manipolatrice e calcolatrice di chi sceglie la via della malvagità. La follia
espressa viene incendiata scena dopo scena, fino quando quella miscela
esplosiva arriva a un punto di rottura. Amore, rabbia, egoismo e rivalsa hanno,
in Saltburn, lo stesso percorso già scritto e forse, solo
nella speranza di una perfezione inarrivabile, inseguendone la sublime
impossibilità, l’esito potrebbe non sfociare negli atti più torbidi, crudi e ai
limiti del macabro. I personaggi sono pedine di un gioco, di un piano
diabolico, bersagli di un’inconsapevolezza sferzante. Erotico, surreale, visivamente spettacolare, gli ambienti si colorano di rosso, giallo e bianco, un
rosso che rimanda al sangue, un giallo all’oro e un bianco a quella purezza e
genuinità solo apparente. Il labirinto di quella villa dall’atmosfera spettrale
è forse il labirinto della mente del protagonista, che solo alla fine arriva al
punto…
…A tenere
insieme i vari spunti narrativi è il tema del desiderio: quest’ultimo gioca su
un piano molto più ambiguo, tra invidia ed erotismo, ed è il vero punto
interessante del film. Se Emerald Fennell avesse insistito più su questo punto
che sulle chiacchiere da tavola vuote dei Catton, il film sarebbe stato
decisamente più interessante. E invece sono proprio questi intermezzi, dalle
scene in università ad alcuni spezzoni nella tenuta, a rallentare il ritmo di
una storia che, tutto sommato, tra desiderio e atmosfere alla Skins, sarebbe stato molto godibile e divertente.
Tornando al tema del desiderio, è chiaro che Fennell si sia ispirata ad altri
film dello stesso filone. Il primo è ovviamente Il Talento di Mr.Ripley, l’altro è il Teorema di Pier Paolo Pasolini, che rappresentava una famiglia borghese
sconvolta dall’arrivo improvviso di un giovane che seduce tutti sessualmente e,
con la stessa facilità con cui è arrivato, altrettanto facilmente va via. Se in
Pasolini il trionfo del proletariato sulla borghesia è dato dalla serva che
diventa una sorta di santa, in Saltburn è il risultato di un piano malefico, portato
avanti da Oliver per prendere possesso della lussuosa villa…
…Gotico e
pop, Saltburn è un thriller
pieno di luce, una commedia sentimentale avvolta nell'ombra, un diario di
formazione che assume già i contorni di un testamento. È già una narrazione al
passato (la voce off di Oliver che dice "Era impossibile non volere bene a
Felix" con successivo sguardo in macchina), una storia di ossessione, di
verità nascoste anzi sepolte, di sdoppiamenti vittima/carnefice con un cast
ispiratissimo a cominciare dal bravissimo Barry Keoghan che aveva già mostrato
il suo grande talento in Gli spiriti dell'isola a Jacob
Elordi, che sembra arrivare direttamente da Euphoria e
che già dall'inizio sembra spesso danzare come una proiezione mentale del
protagonista fino all'ottima prova di Rosamund Pike, che nasconde dietro
l'ironia grottesca il dramma di essere imprigionata in un tempo che si è
bloccato.
Saltburn rischia più volte di inciampare ma non ha
paura di rallentare né di forzare la mano come nella parte finale,
apparentemente disturbante, in realtà fulminante. Non sembra avere vie di
mezzo, perché provoca reazioni forti, perché carica a mille anche l'incontro
apparentemente più spontaneo come la scena in cui Felix ha bucato la ruota con
la bicicletta e Oliver lo aiuta.
Avrebbe anche il respiro di una serie ma preferisce condensare tutto in un
tempo (cinematografico) dove ogni momento resta impresso e che sembra sospeso,
eterno, mortale, vitale. Forse è il primo film in costume ambientato negli anni
Duemila. Non è però una moda passeggera ma potrebbe diventare un punto di
riferimento fondamentale per alcuni cineasti del futuro. Si può detestare. O
amare, come in questo caso, alla follia.
…C’è un grande “però”
che ahi noi attanaglia il film, ed è proprio il finale. In maniera del tutto
non necessaria, Saltburn decide
di argomentarci per filo e per segno ciò che si era già ampiamente capito sin
dalle prime battute del film. E anche lo spettatore più distratto, seguendo
ragionamenti lombrosiani, avrebbe
potuto ampiamente pensare che le vicende con Barry Keoghan protagonista, non
possono che altro vederlo coinvolto in qualche maniera.
Una pecca che coincide con un
grandissimo scivolone e che rende il film da molto interessante ad appena
sufficiente, sebbene la chiusura con il balletto nudo del protagonista, come
una danza appartenente ad un rito primordiale, sia il perfetto punto finale del
film. Chiaro è che non parliamo di occasioni mancate o altro, nonostante il
noioso spiegone.
Saltburn resta
comunque un film che ha la capacità di toccare lo spettatore, cosa non così
banale nel cinema di rapido uso e consumo a cui assistiamo oggigiorno. E cosa
ancora più importante, ci mostra un film capace di coniugare quasi alla
perfezione un certo tipo di cinema prettamente commerciale e accomodante ad un
altro diametralmente opposto.
Un cinema che per l’appunto è
capace di lanciare provocazioni, decostruendo tutto ciò che ci circonda,
devastando istituzioni e consuetudini malsane e lasciando sensazioni non sempre
gradevoli nello spettatore e soprattutto domande. Una capacità, questa, che di
fatto ci mostra come Emeral Fennell rispecchi a pieno il titolo del suo primo
film: una giovane e promettente donna (regista).
...si capisce anche come la difesa secondo cui "Saltburn" sia un film consapevolmente di superficie per riflettere il (e sul) mondo di oggi, dominato dalle apparenze e dalla virtualità dei social, non regga. Il suo senso sta proprio nella sua ricercata assenza di ambiguità: Fennell ammicca al suo pubblico e non lo provoca come vorrebbe fargli credere, lo mette in una posizione confortante piuttosto che di disagio, realizza un’opera moralista che non parla di niente, se non inconsapevolmente dello stato attuale di un (certo) cinema. Ma questo non è un valore, anzi.
un film completamente inaspettato, musicale e pieno di sangue, romantico e drammatico.
una storia piena di colpi di scena, impossibile da raccontare, per non togliere il gusto della sorpresa a chi guarderà il film, e per non semplificare la complessa sceneggiatura, dai mille dettagli.
molte lodi dalla critica, ma non dai messicani, si può leggere l'opinione di Jorge Volpi (qui)
i motivi sono comprensibili, gli attori non parlano lo spagnolo del Messico (noi che vediamo la versione italiana non ce ne rendiamo conto), la storia delle fosse comuni (delle vittime del narcotraffico) ricorda Madres paralelas, di Pedro Almodóvar, ma con minore intensità e approfondimento, d'altronde il film di Audiard tocca tanti temi, in due ore non si può approfondire, purtroppo.
a me è piaciuto molto, una sorpresa continua, fuochi d'artificio a ripetizione.
un film da non perdere, sicuro.
buona (sorprendente) visione - Ismaele
ps: alla fine, suonata da una banda musicale, riconoscerete una bellissima canzone.
…El viaje liberador que propone Audiard
para Emilia (una Karla Sofía Gascón que es todo autenticidad y naturalismo) es
puro músculo visual, una epopeya estética amparada bajo innumerables recursos
técnicos y de montaje que hacen del exceso su mejor virtud (y para sus
detractores seguramente su peor defecto). Porque a Emilia y a su causa (no solo
trans, también en defensa de la mujer y de las víctimas del narcotráfico) hay
que creerlas, como a esa adivinación o negación poética de la realidad que tan
bien encajó siempre con la historia mexicana y que tan bien trabajó Elena
Garro. Audiard y Emilia se muestran felices en este festival de coreografías y
artificios, de ternura y violencia, de vida y muerte… y de una creencia
profunda en el ser humano. Tanto, que están dispuestos a los mayores
sacrificios para redimir sus culpas. ¿El resultado? Insólitamente equilibrado,
estridente y de una emotividad a prueba de balas.
…EmiliaPérez è un film di odori che ricordano persone, di vite a
metá, che possono iniziare e finire in un tempo indefinito, perché decidiamo
noi come esistere. Audiard non ha paura di osare ingigantendo metafore, trama e
caratterizzazione dei personaggi, il bene e il male ci arrivano in maniera
indistinta, una corrente torrenziale di movimento, suoni, odori, di grandissimo
male e grandissimo amore. C’è chi potrebbe riscontrare un rallentamento nella
seconda parte della narrazione o potrebbe non andare oltre l’idea di una trama
da soap opera, ma Emilia Pérez è così rischioso, personale, unico e pieno
di vita che è impossibile non innamorarsene.
…Le critiche più pesanti sono probabilmente
quelle che riguardano l’evoluzione del personaggio di Emilia Pérez e quello che
succede dopo la sua transizione (che non approfondiremo per evitare spoiler).
Il giornalista messicano Luis Pablo Beauregard, che lavora negli Stati Uniti,
ha scritto sulPaís che «ciò che è veramente imperdonabile a un
regista come Audiard è la frivolezza con cui ritrae la crisi legata alla
violenza e alle persone scomparse in Messico», e che «in Emilia Pérez tutto è
superficiale». Lo stesso scrive anche Volpi: «alla fine, la redenzione di
Emilia Pérez si rivela falsa – e irrispettosa nei confronti dello spettatore –
quanto l’accento di Selena Gomez o la falsa determinazione di Audiard
nell’affrontare, senza la minima conoscenza o empatia, la dolorosa questione
degli scomparsi in Messico»…
…Il film ha comunque ricevuto anche critiche
positive da esperti di cinema e conoscitori del Messico. La regista e
sceneggiatrice messicana Issa Lopez (True Detective: Night Country) ha commentato entusiasticamente il film, dicendo
che Audiard ha fatto un lavoro «migliore di qualsiasi messicano nell’affrontare
questo tema in questo momento». E anche il regista messicano Guillermo del Toro
l’ha definito un bel film.
…Nella trama del
film viene portata in luce la reale e tristemente nota piaga dei desaparecidos in Messico,
seppure Audiard si
limiti, senza nessuna voglia di indagarne la tragica realtà, a proporre il tema
nella cornice di un musical e quindi opera di intrattenimento fra le più
popolari. Una piaga, dicevamo, legata soprattutto alla violenza dei cartelli
dei narcotrafficanti, che provoca un drammatico numero di vittime ogni anno in
tutto il paese latino-americano. Crimini questi, che rimangono purtroppo quasi
sempre impuniti, sia per la mancanza di prove, sia per la mancanza di serie e
adeguate indagini da parte delle autorità, troppo spesso pure corrotte e
complici delle bande criminali.
Come prima esperienza nel genere del musical possiamo dire che Audiard (firmatario anche della
sceneggiatura) è riuscito a creare un’opera di grande intrattenimento, ben
scritta, coesa e particolarmente ben curata nei minimi dettagli. Emilia Pérez riconferma doti ed
ambizioni di un regista che, alla continua ricerca del nuovo e del non ancora
sperimentato, non si accontenta di calpestare terreni conosciuti, ma si mette
in gioco e invita il vasto pubblico a farlo con lui.
…La película es una maravilla en todos los
aspectos, tanto en el visual como en el guion e interpretaciones, y es un
ejemplo más del talento de Audiard, que es el responsable de grandes películas
como “Un profeta” y el western “Los hermanos Sisters”. En esta ocasión, nos cuenta una historia que se
desarrolla casi en su totalidad en México (salvo una pequeña parte en Suiza y
otros países europeos), hablada principalmente en español, y que es una mezcla
de géneros perfecta, ya que es un musical, pero también una historia dramática
con elementos de crítica social sobre un tema de actualidad como el cambio de
sexo. Tiene muchos momentos divertidos por la ironía de algunos personajes y
otros de thriller con secuestros y el narcotráfico como trasfondo…
…los
defectos que tiene Emilia Pérez son perfectamente percibidos ya en la primera
media hora de su interminable metraje, casi dos horas y cuarto que parecen
cuatro y sin intermedio y vamos a enumerarlos tratando de no cansar y de no dejar
ninguno en el tintero:
1.- La música es horripilante: no es que sea de un tipo que
dices: no me va, no me encaja, no me gusta. No. Es mala, espantosa, no tiene
ritmo, no tiene melodía. en menos de un año nadie será capaz de acordarse de
ella. Y los de Cannes van y la premian.
2.- Si la música es mala, ver que la canta alguna de las
protagonistas con un coro propio de tragedia griega entonando todos ellos,
personaje y coro, la canción como si quisiera Audiard despejar cualquier duda
de lo horrorosa que es la canción, es una situación que uno podría aceptar en
una función de aficionados, pero no en un musical de este siglo con tantos
ilustres antecedentes en los que los intérpretes además de actuar cantan muy
bien. ¿No les hicieron pruebas de canto a las protagonistas?¿No las vio y
escuchó después Audiard?¿Hubo amenazas que impidieron eliminar los números
musicales?
3.- Los bailes. De hecho, siguiendo la costumbre de las
últimas décadas, las coreografías están a años luz de lo que era capaz de
concebir Bob Fosse. Por momentos, detrás de la actriz en funciones de cantante
hay un grupo de jóvenes que parece están haciendo una clase de gimnasia casi
que grotesca pero comprensible su fealdad por basarse en una canción nefasta,
ofreciendo una impresión de novatada, de algo improvisado en un festejo regado
con calimocho.
4.- El guión y los diálogos parecen mantenidos para demostrar
que el enorme valor de Audiard de ofrecer una película hablada en español
(imagino que en Francia no la doblaron y la vieron toda ella con subtítulos y
que en los U.S.A. la van a doblar enterita para que los gringos que quieran
mostrarse como acérrimos wokes puedan verla y guardando el original para la
mayoría hispanohablante suponiendo que les interese, que es mucho suponer)
merece la pena de sentarse a seguir la trama, pero resulta que las ideas corren
por la pantalla como pollos sin cabeza y los diálogos, más paupérrimos que
interesantes, logran que una oportunidad de integrar algo tan de la época que
vivimos como es el cambio de sexo en una película de género se pierde en un
marasmo adocenado que no consigue que el espectador sienta interés en lo que le
están contando, de tan mal como lo hacen.
5.- Las actuaciones de las tres actrices protagonistas son
malas:por momentos resulta difícil entender lo que pronuncian (a los listillos
defensores del diablo que apunten a que su español es el corriente en México
les recordaré inmediatamente que al genial Cantinflas se le entiende siempre
requetebién) y además lo hacen con una falta de convicción alarmante:¿no les
han pagado por ese trabajo? Porque no lo sudan. Parece que no les interesa, con
unas actuaciones planas, uniformes. Una vez más, el jurado de Cannes les otorga
el premio a la interpretación y uno se pregunta qué está pasando en Francia.
6.- Una decepción comprobar como Jacques Audiard dirige este
engendro en el que lo único respetable de su función como máximo responsable es
el atrevimiento de usar un musical para una representación en la que los
intérpretes hablan en español y buena parte de la trama gira en torno al hecho
que una de las protagonistas es una mujer que nació como varón, circunstancia
que decide cambiar: los entresijos del guión por momentos parecen interesantes
aunque con algún que otro agujero y luego, conforme avanza el pesado metraje,
la trama declina imparable sin que Audiard haga nada por remediarlo: se le va
de las manos y lo que podría ser una innovación más que un experimento queda en
agua de borrajas.
De lo que sí es ejemplo esta película es de la inmensa
capacidad de las industrias multimedia de orquestar campañas de publicidad
engañosa y de la degeneración de la crítica cinematográfica que se ha
convertido en servil instrumento dotado de linda palabrería encaminada a
convencer mediante el engaño a un público que ya no puede confiar en
profesionales que presumiblemente se dejan influenciar por esas industrias,
olvidando que se deben a sus lectores, que en justa correspondencia, cada vez
son menos. Luego se quejan.
chi di noi non ha messo una serie di canzoni o un lp in una audiocassetta?
niente di diverso dai fratelli Frattasio, solo che loro le vendevano, e il film è dedicato ai tre fratelli, che diventano leader del mercato della musica in Italia.
tutto nasce a Napoli, dove il padre dei tre era un imbroglione, e loro lo diventano, secondo la legge italiana.
e però è un'avventura eccitante, loro diventano ricchi, anche se i soldi non era la cosa più importante per loro.
tutti gli attori npsono davvero bravi, merito del regista, chissà.
il film è davvero bello, da non perdere, come fai a non parteggiare per loro tre?
buona (illegale) visione - Ismaele
…il racconto affronta la tematica, molto
divisiva, della tutela dei diritti di autori e produttori discografici. Il
regista non prende una posizione nitida; dà conto di come, almeno fino
all'inizio degli anni '90, il disvalore sociale del commercio non autorizzato
della musica non fosse assolutamente percepito; le attività dei fratelli
Frattasio erano contrastate non tanto per quanto sottraevano ai legittimi
proprietari dei beni, dei quali era pur possibile replica potenzialmente
infinita, quanto per violazioni di carattere fiscale, sfruttamento di lavoro
nero e manodopera clandestina, abusivismo commerciale, etc. e solo con il
formarsi di una coscienza che l'autore ci dice essere avvenuto dietro spinta
della politica - a sua volta sostenuta dalla grande imprenditoria, che si
vedeva sottratta una buona fetta di (ipotetici) guadagni - il capitano
Ricciardi ebbe risorse e "carta bianca" da utilizzare contro
l'organizzazione di "Erry". Le vicende intorno ai milioni di
audiocassette "Mixed By Erry" diffuse in Italia negli scorsi decenni
non hanno lasciato il segno; i nastri avevano fatto il loro tempo e nuovi media
e modi di fruire della musica si sono imposti, così come i fronti della
contraffazione e del contrasto ad essa. Ma il passare del tempo ed un rinnovato
interesse per le audiocassette ed altri elementi ormai vintage hanno conferito
profondità storica e curiosità sui quei fatti, che Sydney Sibilia ci racconta
con garbo, anche ricostruendo il contesto sociale entro il quale si è mossa la
famiglia Frattasio e non sbilanciandosi in merito ad una valutazione morale
circa le attività degli stessi.
Una storia che, se non fosse vera,
sembrerebbe impossibile. Il film è un gioiellino di equilibrio: cronaca,
dramma, farsa, commedia sono dosati sapientemente, nessuno prevale sugli altri,
tutti si combinano, emergono a turno sistematicamente. Un'opera che piace
indistintamente anche all'estero, basta leggere le recensioni su IMDB, tutte
ampiamente positive. La regia è ottima, il ritmo sostenuto ma non eccessivo,
tutti gli attori forniscono una prova molto convincente, la ricostruzione della
Napoli anni ottanta è godibilissima e richiama alla mente un mondo che
fino all'altro ieri era così familiare ma che ora è passato e dimenticato.
Conviene non allargarsi in questa sede a considerare chi sono i veri pirati nel
mondo della musica, i soggetti e le istituzioni che coperti da leggi emanate ad
hoc sono i veri parassiti, producono introiti enormi che vengono distribuiti ai
soliti pochi, beffandosi dei veri musicisti e ostacolando lo sviluppo e la
crescita del settore.
…Le
ricostruzioni storiche all'interno del cinema rappresentano una sfida
significativa per i registi, l'attenzione ai dettagli è fondamentale per creare
un'ambientazione autentica, specialmente quando si tratta di rievocare un'epoca
passata. Nel caso di Mixed by Erry, Sydney Sibilia ha condiviso che uno dei compiti più
impegnativi per i tecnici degli effetti digitali è stato rimuovere elementi
moderni, come condizionatori d'aria e parabole, che non erano presenti negli
anni in cui si svolge la storia.
Il
cast è ben assortito a partire da Luigi D'Oriano (Enrico
"Erry" Frattasio) che passa da un ragazzo timido a un imprenditore
audace. Sibilia ha trovato tre attori (oltre a D'Oriano ci
sono Emanuele Palumbo e Giuseppe Arena) che hanno formato una vera sintonia tra di
loro, in modo da rappresentare autenticamente il legame tra i fratelli
Frattasio. Per favorire questo processo, Sibilia ha adottato un approccio
creativo, come quello di far vivere gli attori insieme nella stessa casa per un
periodo di tempo. Questo ha permesso loro di sviluppare una vera fratellanza,
elemento che si è poi riflettuto nella loro performance sul set.
Sydney
Sibilia e il suo team hanno dato un'importante considerazione anche ai
personaggi secondari tra cui spiccano il capitano della finanza
interpretato da Francesco Di Leva (caratterizzato
dagli scoppi d'ira esilaranti e dalla peculiarità del suo look con baffoni da
poliziotteschi anni ’70) e il dirigente milanese interpretato da Fabrizio Gifuni (ritratto in modo da renderlo una
caricatura degli individui che rappresentano l'industria e la finanza).
…Le
gesta dei fratelli Frattasio vengono raccontate con una certa vena romantica, a
loro non interessavano i soldi. A loro interessava la musica, regalare a chi
sentiva la loro compilation un’emozione. Consigliare altri gruppi o generi
musicali per aumentare la conoscenza di chi li ascoltava. Una scelta di campo
che ha attirato i cantanti neomelodici che trovarono in loro un’etichetta
discografica “Indipendente”, se possiamo chiamarla così,che faceva sentire la
loro voce e il loro talento. Una scelta di campo che ha attirato anche la
camorra nella figura di Don Carmine Giuliano, bellissima la scena della festa
nella villa dove era presente pure Maradona. Ma soprattutto una scelta di campo
che ha attirato l’attenzione delle case discografiche e della guardia di
finanza.
Partendo
dal romanzo inchiesta di Simona Frasca, Sydney Sibilia ci racconta come tre
diversissimi fratelli siano riusciti a portare su tutte le bancarelle il
Festival di Sanremo ancora prima che questo finisse. Addirittura, in CD.
Mixed
by Erry è un film che esalta l’arte dell’arrangiarsi di un popolo
caratterizzato dal culto dei grandi fantasisti e numeri 10.
Grazie
Sibilia per avermi fatto divertire dentro una sala cinematografica e non con
una cassetta pirata.
un film piccolo, una storia semplice, due tipi si conoscono e vanno a vivere insieme, lasciano la città e si spostano in un paesetto di campagna, dove il ritmo della vita è lento e sostenibile.
i due Fausti cercano di vivere dei frutti della terra, ma non è facile.
e poi si sono gli abitanti del paese che diffidano dei due.
ma i due Fausti, a fasi alterne, resistono.
un film da non perdere, sopratutto se uno coltiva un orto.
…La
tenacia dei due Fausto, il loro continuo, patetico invito a non mollare, così
come il reciproco imbarazzo nel riconoscere d'aver agito sempre in maniera
sbagliata (imbarazzo, va detto, che a volte si percepisce anche nella dinamica
fra i due interpreti), è la cosa meno prevedibile del film, al quale sarebbe
forse servito un regista più esperto e meno improvvisato (nel senso che intende Flaubert quando parla dell'erudizione di Bouvard e Pécuchet) per
affermare con più forza ed energia la propria visione di una vita da azzerare e
ricominciare.
…Grande merito di Battiston averci
stimolato a riprendere in mano questo libro della seconda metà dell’Ottocento,
esilarante come pochi. Sembra impossibile sia stato scritto dallo stesso autore
di Madame Bovary e L’educazione sentimentale.
Bouvard e Pécuche, due impiegati (scrivani) si conoscono su una panchina a
Parigi, si frequentano, confidandosi e completandosi per tre anni, finché non
vanno a vivere in campagna, vicino a Chavignolles (Normandia). Di qui una serie
di disavventure che farebbero desistere chiunque, ma non loro. Perché il vero
grande viaggio sarà quello nello scibile umano. Studiano di tutto, dalla
chimica alla medicina, dall’archeologia alla filosofia, dalla letteratura alla
sociologia. Tutto questo sapere però non basta a cambiare il mondo e alla fine
del libro (che rimane incompiuto) si intuisce che i due torneranno a fare gli
scrivani. Questo in base agli appunti di Flaubert, per cui non si è del tutto
sicuri.
Giuseppe Battiston e Rolando Rovello
Bell’operazione quella di Giuseppe
Battiston che, curando anche la sceneggiatura, ha riadattato i due
strampalati personaggi a una dimensione attuale. Ne ha mantenuto la freschezza,
la spontaneità, il candore. Non a caso, Flaubert era un grande ammiratore
del Candido di Voltaire, che trovava geniale
soprattutto nella fine: “Dobbiamo coltivare il nostro
giardino”. Continueranno i due Fausto a coltivare il loro?
Città campagna
Oltre al tema dell’amicizia di due
personaggi così dissimili (un Fausto sopra le righe e l’altro ripiegato su di
sé), Io vivo altrove! (What a life! Il titolo internazionale)
riprende quello del contrasto tra città e campagna nell’immaginario di
chiunque. I due fuggono dalla Parigi caotica di Flaubert
(nell’Ottocento!) e dalla Roma di oggi, dove la biblioteca di Biasutti si
affaccia su un cavalcavia congestionato e facciate di palazzi popolari.
La prospettiva bucolica di Chavignolles, e nel film di Valvana, alla quale
non si vuole sottrarre neanche un grammo di ebbrezza, è mitizzata al punto di
non vedere le difficoltà che si sommano. Almeno nei loro comportamenti.
Ciascuno vuole tenere vivo l’ardore dell’altro e forse anche il proprio, pur
sapendo quanto la realizzazione del sogno sia inferiore alle aspettative. Se
non altro quando devono vendere parte della proprietà per mantenersi.
In un saggio introduttivo a Bouvard e Pécuche di Flaubert, Sebastiano Vassalli
sostiene che la letteratura ha ritenuto i due amici per troppo tempo stupidi,
come la vita. Stupida come la vita, dice Flaubert
a proposito della conclusione di Candido. Mentre in
realtà hanno avuto il grande merito di svelare l’esagerata fiducia nei
confronti del progresso dell’epoca in cui Flaubert scriveva.
Chissà se Giuseppe Battiston lo ha letto! Certo gli atteggiamenti naive di
Fausto e Fausto rasentano la stoltezza. Ma non farebbero ridere e pensare, se
non rappresentassero così smaccatamente il mito della semplicità, comprese le
buone cose di pessimo gusto (la casa ereditata dalla nonna, per esempio)
in cui tanta letteratura, tanto cinema, tanto intellettualismo credono di
potersi rifugiare, senza pagare nessun prezzo.
…Il film di Battiston cerca un delicato
equilibrio tra il serio e il faceto, tra il buffo e l'amaro, e forse vuole
essere agrodolce. Ciò è praticamente raggiunto. Dove io invece andrei più cauto
è la ricerca della battuta umoristica, della gag, qui gli scivoloni nella farsa
e nello scontato sono dietro l'angolo. La pellicola non vi cade del tutto, ma
qualche volta barcolla quando cerca di provocare la risata.
Una curiosità. D'accordo che è
un'opera quasi interamente ambientata in una comunità rurale del Friuli, ma non
ci compaiono neanche di striscio cellulari, internet, e simili. In generale, mi
pare che il film spezzi una lancia per i valori umani tradizionali e un modello
di vita più tranquillo e non dipendente dalla tecnologia. Inoltre, compaiono i
dischi in vinile e persino un vecchio juke-box, che fa tanta nostalgia.
Al di là di tutto, la visione è
gradevole, non annoia mai, e ci regala situazioni e personaggi originali. Oltre
a ciò vengono sempre evitati lo scurrile, il greve, e il cinico, e questo io
l'apprezzo molto.
L'ho visto al festival del
cinema italiano di San Pietroburgo, in una sala grande piena per tre quarti, il
che farà certamente piacere a Battiston.
Film delicato, e già perciò prezioso. In punta di
piedi, veniamo portati in un luogo dove la tecnologia non ha fagocitato l'uomo,
ma ne è ancora alleata (trattore, auto da 4 soldi, ma senza trappole per la
sorveglianza digitale, e poco altro). Operazione lodevole, per rammentarci cosa
stiamo perdendo come umani e società.
Altrove può essere un luogo, o un sentire. In questo caso, è
entrambi. I nostri protagonisti sono fuori dal loro tempo: usano fotocamere a
pellicola, cartine stradali, e si danno del lei. La loro fuga li porterà a una
vita dimenticata, in un "altrove" che un modo differente di rapportarsi
a se stessi e al prossimo…