venerdì 17 gennaio 2025

Caccia all’uomo – Riccardo Freda

un film in due parti diverse, ma ben cucite da Dox, un cane poliziotto davvero capace.

siamo nel 1961, la polizia è al servizio del cittadino, senza mele marce.

alla fine c'è una battuta bellissima, contro l'intelligence degli Usa.

non è il film migliore del regista, è un film "semplice", ma a me è piaciuto abbastanza.

cercatelo, non ve ne pentirete.

buona (cinofila) visione - Ismaele


  

Più che interessante è divertente; il cane Dox non poteva non conquistare tutta la mia simpatia e il mio sostegno morale, ma anche il suo padrone, ben interpretato da Orsini, è tutt'altro che tedioso e anzi, ben calato nel suo ruolo. Il commissario è burbero al punto giusto, ma coinvolgente. Fra le donne ho però preferito nettamente la Furneaux (anche se occupa il primo episodio, più prevedibile come decorso). Alla fine merita qualcosa di più della sufficienza, anche se Freda è ancora molto lontano dai livelli raggiunti col capolavoro A doppia faccia.

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Pur essendo un Film che ha delle basi canine (Post-Rin Tin Tin e decisamente Pre-Rex ed il Cane si chiama Dox) e' un Film che ha ancora un certo fascino anche se come Pellicola e' magari poco conosciuta ma lo stesso il tutto e' godibile e discretamente avvincente

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mercoledì 15 gennaio 2025

Saltburn - Emerald Fennell

la scalata verso il successo, la ricchezza, la nobiltà da parte di Oliver è piena di bugie, di imbrogli, di violenza.

Oliver sembra uno sfigato in cerca di protezione da parte di Felix, il ricco nobile compagno di studi, ma Oliver, un novello arrampicatore sociale, ha un piano demoniaco, fin dall'inizio, per impossessarsi di Saltburn, a qualsiasi costo.

ottima prova d'attore di Barry Keoghan e Jacob Elordi, in un film fra Funny games e Arancia meccanica, senza però raggiungere il livello di nessuno dei due film citati, pur essendo Saltburn un film che non sfigura.

buona (diabolica) visione - Ismaele


 

 

 

Saltburn è un film estremo, folgorante, perverso, con una cattiveria e una suspense assillante che si insinua nei meandri di una dimora corrotta e ignara. L’indole più perfida e crudele, la natura manipolatrice e calcolatrice di chi sceglie la via della malvagità. La follia espressa viene incendiata scena dopo scena, fino quando quella miscela esplosiva arriva a un punto di rottura. Amore, rabbia, egoismo e rivalsa hanno, in Saltburn, lo stesso percorso già scritto e forse, solo nella speranza di una perfezione inarrivabile, inseguendone la sublime impossibilità, l’esito potrebbe non sfociare negli atti più torbidi, crudi e ai limiti del macabro. I personaggi sono pedine di un gioco, di un piano diabolico, bersagli di un’inconsapevolezza sferzante. Erotico, surreale, visivamente spettacolare, gli ambienti si colorano di rosso, giallo e bianco, un rosso che rimanda al sangue, un giallo all’oro e un bianco a quella purezza e genuinità solo apparente. Il labirinto di quella villa dall’atmosfera spettrale è forse il labirinto della mente del protagonista, che solo alla fine arriva al punto…

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A tenere insieme i vari spunti narrativi è il tema del desiderio: quest’ultimo gioca su un piano molto più ambiguo, tra invidia ed erotismo, ed è il vero punto interessante del film. Se Emerald Fennell avesse insistito più su questo punto che sulle chiacchiere da tavola vuote dei Catton, il film sarebbe stato decisamente più interessante. E invece sono proprio questi intermezzi, dalle scene in università ad alcuni spezzoni nella tenuta, a rallentare il ritmo di una storia che, tutto sommato, tra desiderio e atmosfere alla Skins, sarebbe stato molto godibile e divertente. Tornando al tema del desiderio, è chiaro che Fennell si sia ispirata ad altri film dello stesso filone. Il primo è ovviamente Il Talento di Mr.Ripley, l’altro è il Teorema di Pier Paolo Pasolini, che rappresentava una famiglia borghese sconvolta dall’arrivo improvviso di un giovane che seduce tutti sessualmente e, con la stessa facilità con cui è arrivato, altrettanto facilmente va via. Se in Pasolini il trionfo del proletariato sulla borghesia è dato dalla serva che diventa una sorta di santa, in Saltburn è il risultato di un piano malefico, portato avanti da Oliver per prendere possesso della lussuosa villa…

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Gotico e pop, Saltburn è un thriller pieno di luce, una commedia sentimentale avvolta nell'ombra, un diario di formazione che assume già i contorni di un testamento. È già una narrazione al passato (la voce off di Oliver che dice "Era impossibile non volere bene a Felix" con successivo sguardo in macchina), una storia di ossessione, di verità nascoste anzi sepolte, di sdoppiamenti vittima/carnefice con un cast ispiratissimo a cominciare dal bravissimo Barry Keoghan che aveva già mostrato il suo grande talento in Gli spiriti dell'isola a Jacob Elordi, che sembra arrivare direttamente da Euphoria e che già dall'inizio sembra spesso danzare come una proiezione mentale del protagonista fino all'ottima prova di Rosamund Pike, che nasconde dietro l'ironia grottesca il dramma di essere imprigionata in un tempo che si è bloccato.

Saltburn rischia più volte di inciampare ma non ha paura di rallentare né di forzare la mano come nella parte finale, apparentemente disturbante, in realtà fulminante. Non sembra avere vie di mezzo, perché provoca reazioni forti, perché carica a mille anche l'incontro apparentemente più spontaneo come la scena in cui Felix ha bucato la ruota con la bicicletta e Oliver lo aiuta.

Avrebbe anche il respiro di una serie ma preferisce condensare tutto in un tempo (cinematografico) dove ogni momento resta impresso e che sembra sospeso, eterno, mortale, vitale. Forse è il primo film in costume ambientato negli anni Duemila. Non è però una moda passeggera ma potrebbe diventare un punto di riferimento fondamentale per alcuni cineasti del futuro. Si può detestare. O amare, come in questo caso, alla follia.

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C’è un grande “però” che ahi noi attanaglia il film, ed è proprio il finale. In maniera del tutto non necessaria, Saltburn decide di argomentarci per filo e per segno ciò che si era già ampiamente capito sin dalle prime battute del film. E anche lo spettatore più distratto, seguendo ragionamenti lombrosiani, avrebbe potuto ampiamente pensare che le vicende con Barry Keoghan protagonista, non possono che altro vederlo coinvolto in qualche maniera.

Una pecca che coincide con un grandissimo scivolone e che rende il film da molto interessante ad appena sufficiente, sebbene la chiusura con il balletto nudo del protagonista, come una danza appartenente ad un rito primordiale, sia il perfetto punto finale del film. Chiaro è che non parliamo di occasioni mancate o altro, nonostante il noioso spiegone.

Saltburn resta comunque un film che ha la capacità di toccare lo spettatore, cosa non così banale nel cinema di rapido uso e consumo a cui assistiamo oggigiorno. E cosa ancora più importante, ci mostra un film capace di coniugare quasi alla perfezione un certo tipo di cinema prettamente commerciale e accomodante ad un altro diametralmente opposto.

Un cinema che per l’appunto è capace di lanciare provocazioni, decostruendo tutto ciò che ci circonda, devastando istituzioni e consuetudini malsane e lasciando sensazioni non sempre gradevoli nello spettatore e soprattutto domande. Una capacità, questa, che di fatto ci mostra come Emeral Fennell rispecchi a pieno il titolo del suo primo film: una giovane e promettente donna (regista).

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...si capisce anche come la difesa secondo cui "Saltburn" sia un film consapevolmente di superficie per riflettere il (e sul) mondo di oggi, dominato dalle apparenze e dalla virtualità dei social, non regga. Il suo senso sta proprio nella sua ricercata assenza di ambiguità: Fennell ammicca al suo pubblico e non lo provoca come vorrebbe fargli credere, lo mette in una posizione confortante piuttosto che di disagio, realizza un’opera moralista che non parla di niente, se non inconsapevolmente dello stato attuale di un (certo) cinema. Ma questo non è un valore, anzi.

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domenica 12 gennaio 2025

Emilia Pérez - Jacques Audiard

un film completamente inaspettato, musicale e pieno di sangue, romantico e drammatico.

una storia piena di colpi di scena, impossibile da raccontare, per non togliere il gusto della sorpresa a chi guarderà il film, e per non semplificare la complessa sceneggiatura, dai mille dettagli.

molte lodi dalla critica, ma non dai messicani, si può leggere l'opinione di Jorge Volpi (qui)

i motivi sono comprensibili, gli attori non parlano lo spagnolo del Messico (noi che vediamo la versione italiana non ce ne rendiamo conto), la storia delle fosse comuni (delle vittime del narcotraffico) ricorda Madres paralelas, di Pedro Almodóvar, ma con minore intensità e approfondimento, d'altronde il film di Audiard tocca tanti temi, in due ore non si può approfondire, purtroppo.

a me è piaciuto molto, una sorpresa continua, fuochi d'artificio a ripetizione.

un film da non perdere, sicuro.

buona (sorprendente) visione - Ismaele


ps: alla fine, suonata da una banda musicale, riconoscerete una bellissima canzone. 



 

 

El viaje liberador que propone Audiard para Emilia (una Karla Sofía Gascón que es todo autenticidad y naturalismo) es puro músculo visual, una epopeya estética amparada bajo innumerables recursos técnicos y de montaje que hacen del exceso su mejor virtud (y para sus detractores seguramente su peor defecto). Porque a Emilia y a su causa (no solo trans, también en defensa de la mujer y de las víctimas del narcotráfico) hay que creerlas, como a esa adivinación o negación poética de la realidad que tan bien encajó siempre con la historia mexicana y que tan bien trabajó Elena Garro. Audiard y Emilia se muestran felices en este festival de coreografías y artificios, de ternura y violencia, de vida y muerte… y de una creencia profunda en el ser humano. Tanto, que están dispuestos a los mayores sacrificios para redimir sus culpas. ¿El resultado? Insólitamente equilibrado, estridente y de una emotividad a prueba de balas.

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Emilia Pérez è un film di odori che ricordano persone, di vite a metá, che possono iniziare e finire in un tempo indefinito, perché decidiamo noi come esistere. Audiard non ha paura di osare ingigantendo metafore, trama e caratterizzazione dei personaggi, il bene e il male ci arrivano in maniera indistinta, una corrente torrenziale di movimento, suoni, odori, di grandissimo male e grandissimo amore. C’è chi potrebbe riscontrare un rallentamento nella seconda parte della narrazione o potrebbe non andare oltre l’idea di una trama da soap opera, ma Emilia Pérez è così rischioso, personale, unico e pieno di vita che è impossibile non innamorarsene.

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Le critiche più pesanti sono probabilmente quelle che riguardano l’evoluzione del personaggio di Emilia Pérez e quello che succede dopo la sua transizione (che non approfondiremo per evitare spoiler). Il giornalista messicano Luis Pablo Beauregard, che lavora negli Stati Uniti, ha scritto sul País che «ciò che è veramente imperdonabile a un regista come Audiard è la frivolezza con cui ritrae la crisi legata alla violenza e alle persone scomparse in Messico», e che «in Emilia Pérez tutto è superficiale». Lo stesso scrive anche Volpi: «alla fine, la redenzione di Emilia Pérez si rivela falsa – e irrispettosa nei confronti dello spettatore – quanto l’accento di Selena Gomez o la falsa determinazione di Audiard nell’affrontare, senza la minima conoscenza o empatia, la dolorosa questione degli scomparsi in Messico»…

…Il film ha comunque ricevuto anche critiche positive da esperti di cinema e conoscitori del Messico. La regista e sceneggiatrice messicana Issa Lopez (True Detective: Night Country) ha commentato entusiasticamente il film, dicendo che Audiard ha fatto un lavoro «migliore di qualsiasi messicano nell’affrontare questo tema in questo momento». E anche il regista messicano Guillermo del Toro l’ha definito un bel film.

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…Nella trama del film viene portata in luce la reale e tristemente nota piaga dei desaparecidos in Messico, seppure Audiard si limiti, senza nessuna voglia di indagarne la tragica realtà, a proporre il tema nella cornice di un musical e quindi opera di intrattenimento fra le più popolari. Una piaga, dicevamo, legata soprattutto alla violenza dei cartelli dei narcotrafficanti, che provoca un drammatico numero di vittime ogni anno in tutto il paese latino-americano. Crimini questi, che rimangono purtroppo quasi sempre impuniti, sia per la mancanza di prove, sia per la mancanza di serie e adeguate indagini da parte delle autorità, troppo spesso pure corrotte e complici delle bande criminali.

Come prima esperienza nel genere del musical possiamo dire che Audiard (firmatario anche della sceneggiatura) è riuscito a creare un’opera di grande intrattenimento, ben scritta, coesa e particolarmente ben curata nei minimi dettagli. Emilia Pérez riconferma doti ed ambizioni di un regista che, alla continua ricerca del nuovo e del non ancora sperimentato, non si accontenta di calpestare terreni conosciuti, ma si mette in gioco e invita il vasto pubblico a farlo con lui.

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La película es una maravilla en todos los aspectos, tanto en el visual como en el guion e interpretaciones, y es un ejemplo más del talento de Audiard, que es el responsable de grandes películas como “Un profeta” y el western “Los hermanos Sisters”.
En esta ocasión, nos cuenta una historia que se desarrolla casi en su totalidad en México (salvo una pequeña parte en Suiza y otros países europeos), hablada principalmente en español, y que es una mezcla de géneros perfecta, ya que es un musical, pero también una historia dramática con elementos de crítica social sobre un tema de actualidad como el cambio de sexo. Tiene muchos momentos divertidos por la ironía de algunos personajes y otros de thriller con secuestros y el narcotráfico como trasfondo…

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…los defectos que tiene Emilia Pérez son perfectamente percibidos ya en la primera media hora de su interminable metraje, casi dos horas y cuarto que parecen cuatro y sin intermedio y vamos a enumerarlos tratando de no cansar y de no dejar ninguno en el tintero:

1.- La música es horripilante: no es que sea de un tipo que dices: no me va, no me encaja, no me gusta. No. Es mala, espantosa, no tiene ritmo, no tiene melodía. en menos de un año nadie será capaz de acordarse de ella. Y los de Cannes van y la premian.

2.- Si la música es mala, ver que la canta alguna de las protagonistas con un coro propio de tragedia griega entonando todos ellos, personaje y coro, la canción como si quisiera Audiard despejar cualquier duda de lo horrorosa que es la canción, es una situación que uno podría aceptar en una función de aficionados, pero no en un musical de este siglo con tantos ilustres antecedentes en los que los intérpretes además de actuar cantan muy bien. ¿No les hicieron pruebas de canto a las protagonistas?¿No las vio y escuchó después Audiard?¿Hubo amenazas que impidieron eliminar los números musicales?

3.- Los bailes. De hecho, siguiendo la costumbre de las últimas décadas, las coreografías están a años luz de lo que era capaz de concebir Bob Fosse. Por momentos, detrás de la actriz en funciones de cantante hay un grupo de jóvenes que parece están haciendo una clase de gimnasia casi que grotesca pero comprensible su fealdad por basarse en una canción nefasta, ofreciendo una impresión de novatada, de algo improvisado en un festejo regado con calimocho.

4.- El guión y los diálogos parecen mantenidos para demostrar que el enorme valor de Audiard de ofrecer una película hablada en español (imagino que en Francia no la doblaron y la vieron toda ella con subtítulos y que en los U.S.A. la van a doblar enterita para que los gringos que quieran mostrarse como acérrimos wokes puedan verla y guardando el original para la mayoría hispanohablante suponiendo que les interese, que es mucho suponer) merece la pena de sentarse a seguir la trama, pero resulta que las ideas corren por la pantalla como pollos sin cabeza y los diálogos, más paupérrimos que interesantes, logran que una oportunidad de integrar algo tan de la época que vivimos como es el cambio de sexo en una película de género se pierde en un marasmo adocenado que no consigue que el espectador sienta interés en lo que le están contando, de tan mal como lo hacen.

5.- Las actuaciones de las tres actrices protagonistas son malas:por momentos resulta difícil entender lo que pronuncian (a los listillos defensores del diablo que apunten a que su español es el corriente en México les recordaré inmediatamente que al genial Cantinflas se le entiende siempre requetebién) y además lo hacen con una falta de convicción alarmante:¿no les han pagado por ese trabajo? Porque no lo sudan. Parece que no les interesa, con unas actuaciones planas, uniformes. Una vez más, el jurado de Cannes les otorga el premio a la interpretación y uno se pregunta qué está pasando en Francia.

6.- Una decepción comprobar como Jacques Audiard dirige este engendro en el que lo único respetable de su función como máximo responsable es el atrevimiento de usar un musical para una representación en la que los intérpretes hablan en español y buena parte de la trama gira en torno al hecho que una de las protagonistas es una mujer que nació como varón, circunstancia que decide cambiar: los entresijos del guión por momentos parecen interesantes aunque con algún que otro agujero y luego, conforme avanza el pesado metraje, la trama declina imparable sin que Audiard haga nada por remediarlo: se le va de las manos y lo que podría ser una innovación más que un experimento queda en agua de borrajas.

De lo que sí es ejemplo esta película es de la inmensa capacidad de las industrias multimedia de orquestar campañas de publicidad engañosa y de la degeneración de la crítica cinematográfica que se ha convertido en servil instrumento dotado de linda palabrería encaminada a convencer mediante el engaño a un público que ya no puede confiar en profesionales que presumiblemente se dejan influenciar por esas industrias, olvidando que se deben a sus lectores, que en justa correspondencia, cada vez son menos. Luego se quejan.

Ya saben a qué atenerse.

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venerdì 10 gennaio 2025

Mixed by Erry – Sidney Sibilia

chi di noi non ha messo una serie di canzoni o un lp in una audiocassetta?

niente di diverso dai fratelli Frattasio, solo che loro le vendevano, e il film è dedicato ai tre fratelli, che diventano leader del mercato della musica in Italia.

tutto nasce a Napoli, dove il padre dei tre era un imbroglione, e loro lo diventano, secondo la legge italiana.

e però è un'avventura eccitante, loro diventano ricchi, anche se i soldi non era la cosa più importante per loro.

tutti gli attori npsono davvero bravi, merito del regista, chissà.

il film è davvero bello, da non perdere, come fai a non parteggiare per loro tre?

buona (illegale) visione - Ismaele


 

 

il racconto affronta la tematica, molto divisiva, della tutela dei diritti di autori e produttori discografici. Il regista non prende una posizione nitida; dà conto di come, almeno fino all'inizio degli anni '90, il disvalore sociale del commercio non autorizzato della musica non fosse assolutamente percepito; le attività dei fratelli Frattasio erano contrastate non tanto per quanto sottraevano ai legittimi proprietari dei beni, dei quali era pur possibile replica potenzialmente infinita, quanto per violazioni di carattere fiscale, sfruttamento di lavoro nero e manodopera clandestina, abusivismo commerciale, etc. e solo con il formarsi di una coscienza che l'autore ci dice essere avvenuto dietro spinta della politica - a sua volta sostenuta dalla grande imprenditoria, che si vedeva sottratta una buona fetta di (ipotetici) guadagni - il capitano Ricciardi ebbe risorse e "carta bianca" da utilizzare contro l'organizzazione di "Erry". Le vicende intorno ai milioni di audiocassette "Mixed By Erry" diffuse in Italia negli scorsi decenni non hanno lasciato il segno; i nastri avevano fatto il loro tempo e nuovi media e modi di fruire della musica si sono imposti, così come i fronti della contraffazione e del contrasto ad essa. Ma il passare del tempo ed un rinnovato interesse per le audiocassette ed altri elementi ormai vintage hanno conferito profondità storica e curiosità sui quei fatti, che Sydney Sibilia ci racconta con garbo, anche ricostruendo il contesto sociale entro il quale si è mossa la famiglia Frattasio e non sbilanciandosi in merito ad una valutazione morale circa le attività degli stessi.

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Una storia che, se non fosse vera, sembrerebbe impossibile. Il film è un gioiellino di equilibrio: cronaca, dramma, farsa, commedia sono dosati sapientemente, nessuno prevale sugli altri, tutti si combinano, emergono a turno sistematicamente. Un'opera che piace indistintamente anche all'estero, basta leggere le recensioni su IMDB, tutte ampiamente positive. La regia è ottima, il ritmo sostenuto ma non eccessivo, tutti gli attori forniscono una prova molto convincente, la ricostruzione della Napoli anni ottanta è godibilissima  e richiama alla mente un mondo che fino all'altro ieri era così familiare ma che ora è passato e dimenticato. Conviene non allargarsi in questa sede a considerare chi sono i veri pirati nel mondo della musica, i soggetti e le istituzioni che coperti da leggi emanate ad hoc sono i veri parassiti, producono introiti enormi che vengono distribuiti ai soliti pochi, beffandosi dei veri musicisti e ostacolando lo sviluppo e la crescita del settore.

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…Le ricostruzioni storiche all'interno del cinema rappresentano una sfida significativa per i registi, l'attenzione ai dettagli è fondamentale per creare un'ambientazione autentica, specialmente quando si tratta di rievocare un'epoca passata. Nel caso di Mixed by ErrySydney Sibilia ha condiviso che uno dei compiti più impegnativi per i tecnici degli effetti digitali è stato rimuovere elementi moderni, come condizionatori d'aria e parabole, che non erano presenti negli anni in cui si svolge la storia.

Il cast è ben assortito a partire da Luigi D'Oriano (Enrico "Erry" Frattasio) che passa da un ragazzo timido a un imprenditore audace.  Sibilia ha trovato tre attori (oltre a D'Oriano ci sono Emanuele Palumbo e Giuseppe Arena) che hanno formato una vera sintonia tra di loro, in modo da rappresentare autenticamente il legame tra i fratelli Frattasio. Per favorire questo processo, Sibilia ha adottato un approccio creativo, come quello di far vivere gli attori insieme nella stessa casa per un periodo di tempo. Questo ha permesso loro di sviluppare una vera fratellanza, elemento che si è poi riflettuto nella loro performance sul set. 

Sydney Sibilia e il suo team hanno dato un'importante considerazione anche ai personaggi secondari tra cui spiccano il capitano della finanza interpretato da Francesco Di Leva (caratterizzato dagli scoppi d'ira esilaranti e dalla peculiarità del suo look con baffoni da poliziotteschi anni ’70) e il dirigente milanese interpretato da Fabrizio Gifuni (ritratto in modo da renderlo una caricatura degli individui che rappresentano l'industria e la finanza).

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…Le gesta dei fratelli Frattasio vengono raccontate con una certa vena romantica, a loro non interessavano i soldi. A loro interessava la musica, regalare a chi sentiva la loro compilation un’emozione. Consigliare altri gruppi o generi musicali per aumentare la conoscenza di chi li ascoltava. Una scelta di campo che ha attirato i cantanti neomelodici che trovarono in loro un’etichetta discografica “Indipendente”, se possiamo chiamarla così,che faceva sentire la loro voce e il loro talento. Una scelta di campo che ha attirato anche la camorra nella figura di Don Carmine Giuliano, bellissima la scena della festa nella villa dove era presente pure Maradona. Ma soprattutto una scelta di campo che ha attirato l’attenzione delle case discografiche e della guardia di finanza.

Partendo dal romanzo inchiesta di Simona Frasca, Sydney Sibilia ci racconta come tre diversissimi fratelli siano riusciti a portare su tutte le bancarelle il Festival di Sanremo ancora prima che questo finisse. Addirittura, in CD.

Mixed by Erry è un film che esalta l’arte dell’arrangiarsi di un popolo caratterizzato dal culto dei grandi fantasisti e numeri 10.

Grazie Sibilia per avermi fatto divertire dentro una sala cinematografica e non con una cassetta pirata.

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mercoledì 8 gennaio 2025

Io vivo altrove! – Giuseppe Battiston

un film piccolo, una storia semplice, due tipi si conoscono e vanno a vivere insieme, lasciano la città e si spostano in un paesetto di campagna, dove il ritmo della vita è lento e sostenibile.

i due Fausti cercano di vivere dei frutti della terra, ma non è facile.

e poi si sono gli abitanti del paese che diffidano dei due.

ma i due Fausti, a fasi alterne, resistono.

un film da non perdere, sopratutto se uno coltiva un orto.

buona (agreste) visione - Ismaele

  

 

 

QUI il film completo, su Raiplay


 

 

La tenacia dei due Fausto, il loro continuo, patetico invito a non mollare, così come il reciproco imbarazzo nel riconoscere d'aver agito sempre in maniera sbagliata (imbarazzo, va detto, che a volte si percepisce anche nella dinamica fra i due interpreti), è la cosa meno prevedibile del film, al quale sarebbe forse servito un regista più esperto e meno improvvisato (nel senso che intende Flaubert quando parla dell'erudizione di Bouvard e Pécuchet) per affermare con più forza ed energia la propria visione di una vita da azzerare e ricominciare.

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Grande merito di Battiston averci stimolato a riprendere in mano questo libro della seconda metà dell’Ottocento, esilarante come pochi. Sembra impossibile sia stato scritto dallo stesso autore di Madame Bovary e L’educazione sentimentale.

Bouvard e Pécuche, due impiegati (scrivani) si conoscono su una panchina a Parigi, si frequentano, confidandosi e completandosi per tre anni, finché non vanno a vivere in campagna, vicino a Chavignolles (Normandia). Di qui una serie di disavventure che farebbero desistere chiunque, ma non loro. Perché il vero grande viaggio sarà quello nello scibile umano. Studiano di tutto, dalla chimica alla medicina, dall’archeologia alla filosofia, dalla letteratura alla sociologia. Tutto questo sapere però non basta a cambiare il mondo e alla fine del libro (che rimane incompiuto) si intuisce che i due torneranno a fare gli scrivani. Questo in base agli appunti di Flaubert, per cui non si è del tutto sicuri.

Giuseppe Battiston e Rolando Rovello

Bell’operazione quella di Giuseppe Battiston  che, curando anche la sceneggiatura, ha riadattato i due strampalati personaggi a una dimensione attuale. Ne ha mantenuto la freschezza, la spontaneità, il candore. Non a caso, Flaubert era un grande ammiratore del Candido di Voltaire, che trovava geniale soprattutto nella fine: “Dobbiamo coltivare il nostro giardino”. Continueranno i due Fausto a coltivare il loro?

Città campagna

Oltre al tema dell’amicizia di due personaggi così dissimili (un Fausto sopra le righe e l’altro ripiegato su di sé), Io vivo altrove! (What a life! Il titolo internazionale) riprende quello del contrasto  tra città e campagna nell’immaginario di chiunque. I due fuggono dalla Parigi caotica di  Flaubert (nell’Ottocento!) e dalla Roma di oggi, dove la biblioteca di Biasutti si affaccia su un cavalcavia congestionato e facciate di palazzi popolari.

La prospettiva bucolica di Chavignolles, e nel film di Valvana, alla quale non si vuole sottrarre neanche un grammo di ebbrezza, è mitizzata al punto di non vedere le difficoltà che si sommano. Almeno nei loro comportamenti. Ciascuno vuole tenere vivo l’ardore dell’altro e forse anche il proprio, pur sapendo quanto la realizzazione del sogno sia inferiore alle aspettative. Se non altro quando devono vendere parte della proprietà per mantenersi.

In un saggio introduttivo a Bouvard e Pécuche di Flaubert, Sebastiano Vassalli sostiene che la letteratura ha ritenuto i due amici per troppo tempo stupidi, come la vita. Stupida come la vita, dice Flaubert a proposito della conclusione di Candido. Mentre in realtà hanno avuto il grande merito di svelare l’esagerata fiducia nei confronti del progresso dell’epoca in cui Flaubert scriveva.

Chissà se Giuseppe Battiston lo ha letto! Certo gli atteggiamenti naive di Fausto e Fausto rasentano la stoltezza. Ma non farebbero ridere e pensare, se non rappresentassero così smaccatamente il mito della semplicità, comprese le buone cose di  pessimo gusto (la casa ereditata dalla nonna, per esempio) in cui tanta letteratura, tanto cinema, tanto intellettualismo credono di potersi rifugiare, senza pagare nessun prezzo.

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Il film di Battiston cerca un delicato equilibrio tra il serio e il faceto, tra il buffo e l'amaro, e forse vuole essere agrodolce. Ciò è praticamente raggiunto. Dove io invece andrei più cauto è la ricerca della battuta umoristica, della gag, qui gli scivoloni nella farsa e nello scontato sono dietro l'angolo. La pellicola non vi cade del tutto, ma qualche volta barcolla quando cerca di provocare la risata.

Una curiosità. D'accordo che è un'opera quasi interamente ambientata in una comunità rurale del Friuli, ma non ci compaiono neanche di striscio cellulari, internet, e simili. In generale, mi pare che il film spezzi una lancia per i valori umani tradizionali e un modello di vita più tranquillo e non dipendente dalla tecnologia. Inoltre, compaiono i dischi in vinile e persino un vecchio juke-box, che fa tanta nostalgia.

Al di là di tutto, la visione è gradevole, non annoia mai, e ci regala situazioni e personaggi originali. Oltre a ciò vengono sempre evitati lo scurrile, il greve, e il cinico, e questo io l'apprezzo molto.

L'ho visto al festival del cinema italiano di San Pietroburgo, in una sala grande piena per tre quarti, il che farà certamente piacere a Battiston.

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Film delicato, e già perciò prezioso. In punta di piedi, veniamo portati in un luogo dove la tecnologia non ha fagocitato l'uomo, ma ne è ancora alleata (trattore, auto da 4 soldi, ma senza trappole per la sorveglianza digitale, e poco altro). Operazione lodevole, per rammentarci cosa stiamo perdendo come umani e società.

Altrove può essere un luogo, o un sentire. In questo caso, è entrambi. I nostri protagonisti sono fuori dal loro tempo: usano fotocamere a pellicola, cartine stradali, e si danno del lei. La loro fuga li porterà a una vita dimenticata, in un "altrove" che un modo differente di rapportarsi a se stessi e al prossimo…

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