In un silenzio quasi assordante, si sta smantellando
uno dei luoghi più profondi della nostra identità: il cinema.
Ci sono momenti in cui l’arte non chiede applausi, ma
protezione. Questo è uno di quei momenti.
Nel 2008, un gruppo di 100 autori lanciava un appello
per difendere il cinema italiano da politiche miopi e penalizzanti.
Oggi, nel 2025, siamo purtroppo costretti a farlo di
nuovo.
Il Governo ha introdotto modifiche che mettono
seriamente a rischio l’intero sistema cinematografico nazionale:
§ tagli al Tax Credit – ovvero il credito d’imposta
per il settore – e regole più restrittive che ostacolano le produzioni
indipendenti e d’autore;
§ blocco o rallentamento dei fondi automatici e
selettivi;
§ un accentramento decisionale che
rende i criteri di assegnazione opachi e arbitrari.
Tutto questo sta generando una desertificazione culturale.
Il cinema italiano – che è memoria, lavoro, visione – viene
trattato come un costo da contenere, anziché come un asset strategico da
valorizzare.
Si dimentica
che nonostante le tente difficoltà il nostro cinema rimane quello che ha vinto
il maggior numero di Oscar per il miglior film straniero.
E questa è una cosa che andrebbe difesa, sostenuta.
Ma la crisi non è solo nei numeri: è nella visione.
Facciamo un confronto per capirci meglio
Il governo guidato da Giorgia Meloni ha destinato
fondi pubblici a Stellantis (ex Fiat/FCA) principalmente attraverso due canali:
§ investimenti diretti: 350 milioni di euro per
la riconversione dello stabilimento di Termoli in una gigafactory per batterie
elettriche. Un progetto oggi in discussione a causa delle incertezze nella
joint venture con TotalEnergies e Mercedes-Benz.
§ ecoincentivi per l’acquisto di auto: dei 1,95 miliardi di euro
stanziati nel 2024, circa il 40% (quasi 800
milioni) ha beneficiato le auto del gruppo Stellantis, anche se solo la metà è
prodotta in Italia.
Sottolineiamo: nessun nuovo prestito o
garanzia statale è stata concessa sotto il governo Meloni, a differenza
dei 6,3 miliardi garantiti dallo Stato a FCA nel 2020, sotto il
governo Conte II.
E il cinema?
Guardiamo alla Francia
Secondo le ultime rilevazioni (fonte:
Variety / Cineuropa), i fondi pubblici italiani sono meno della metà di quelli stanziati annualmente
dalla Francia.
Eppure Parigi ha
capito da tempo che investire nel cinema significa
investire nell’identità culturale di un Paese.
In Italia, invece, si
preferisce tagliare dove si
dovrebbe seminare.
Anche i grandi network televisivi nazionali,
pubblici e privati, investono nel cinema molto meno di
quanto non facciano nello sport – e nel calcio in particolare.
Un solo minuto di una finale di calcio può valere
milioni.
Ma quanto vale una storia che
resterà per sempre?
Lo scnario è veramente cambiato?
È vero: lo scenario è cambiato.
Sono arrivate le piattafrorme di streaming Netflix, Prime Video, Disney+, Paramount Plus, Now TV, Sky, Apple TV, Mediaset Infinity.
Ma anche tutti questi nuovi servizi di streaming – che
pure offrono nuove opportunità che paradossalmente ampliano i ricavi
dell’industria Cinema rendendo gli investimenti molto più profittevoli – non compensano la disattenzione strutturale dello
Stato e dei broadcaster italiani.
Lo dicono i dati: la quota d’investimento in
produzioni italiane resta bassa rispetto agli standard europei.
Questo appello non è solo una difesa. È
una proposta
Chiediamo:
§ più fondi pubblici, non meno;
§ criteri trasparenti, condivisi,
meritocratici, per
evitare che le storture esistenti penalizzino le maestranze, gli autori, i
produttori, i tecnici e tutti i lavoratori del cinema;
§ un impegno concreto da
parte della RAI e dei network privati per sostenere la produzione nazionale,
culturale, plurale.
Certo, è vero, e lo ammettiamo con la massima onìestà
intellettuale di cui siamo capaci, il sistema non è esente da storture.
Esistono criticità, abusi, meccanismi da rivedere.
Ma tagliare indiscriminatamente i fondi significa
colpire tutti – anche chi lavora con serietà, passione e qualità.
Le riforme si fanno con il confronto, non con le
forbici. Serve più trasparenza, non meno risorse.
Perché senza cinema, un Paese non ha
occhi.
E noi vogliamo continuare a guardarci – e a farci
guardare – con dignità.
La nostra voce si unisce a quella di tanti altri
professionisti che in questi giorni hanno preso posizione.
Come l’attore Elio Germano e
l’attrice e conduttrice Geppi Cucciari, che
per primi – in occasione dei David di Donatello 2025 –
hanno denunciato le difficoltà che l’industria del cinema sta attraversando,
contestando le dichiarazioni ritenute eccessivamente ottimistiche del Ministro della Cultura.
In una lettera indirizzata proprio al Ministro Giuli e
ai Sottosegretari Borgonzoni e Mazzi, 94 tra attori e registi – da Paolo
Sorrentino a Paola Cortellesi, da Pierfrancesco Favino a Toni Servillo – hanno
ribadito la gravità della situazione: una crisi che rischia di togliere
creatività, autonomia e innovazione a tutto il comparto.
Il decreto correttivo sul Tax Credit rappresenta solo una prima
risposta, ancora incompleta e insufficiente.
È urgente che il Ministero apra finalmente un
confronto diretto con le associazioni che rappresentano attori, autori e
tecnici.
E che si smetta
di trasformare ogni critica in polemica.
La cultura vive
di confronto, non di intimidazione.
.
La cultura vive di confronto, non di
intimidazione.
Diffondete questo appello
Scaricate e condividete il banner che ho creato per sostenerlo.
Facciamoci vedere. Facciamoci sentire.
NO al taglio del Tax Credit.
SI al cinema d’autore, indipendente, libero.
Difendiamo la cultura, non solo l’intrattenimento.
https://www.cinemavistodame.com/2025/05/29/non-spegnete-lo-schermo-appello-per-il-nostro-cinema/