un film sull'elaborazione del lutto, e bisogna prepararsi prima.
Nanni Moretti ricorda la madre, gli ultimi giorni, lui è quasi solo una comparsa, non succede spesso.
è un film strano, molto più personale degli altri e però, allo stesso tempo, racconta di un'esperienza universale.
fratello e sorella accompagnano la mamma negli ultimi giorni, è un'esperienza crudele, anche se inevitabile.
sperare in un miglioramento a cosa serve, la fine è lì davanti, occorre solo aspettare, e stare male.
dopo resta un appartamento vuoto, qualche vestito e scatoloni di libri, un ricordo e un'idea.
Turturro è lì per distrarre un po' dalla fine, ma è un gioco di citazioni, e poco più.
la fila fuori dal cinema (ormai chiuso) è davvero bella.
non è un film straordinario, ma merita la visione - Ismaele
Nanni Moretti ricorda la madre, gli ultimi giorni, lui è quasi solo una comparsa, non succede spesso.
è un film strano, molto più personale degli altri e però, allo stesso tempo, racconta di un'esperienza universale.
fratello e sorella accompagnano la mamma negli ultimi giorni, è un'esperienza crudele, anche se inevitabile.
sperare in un miglioramento a cosa serve, la fine è lì davanti, occorre solo aspettare, e stare male.
dopo resta un appartamento vuoto, qualche vestito e scatoloni di libri, un ricordo e un'idea.
Turturro è lì per distrarre un po' dalla fine, ma è un gioco di citazioni, e poco più.
la fila fuori dal cinema (ormai chiuso) è davvero bella.
non è un film straordinario, ma merita la visione - Ismaele
Margherita sta girando un film impegnato sulla
crisi economica italiana dove si racconta lo scontro tra gli operai di una
fabbrica e la nuova proprietà americana che promette tagli e licenziamenti.
Oltre a dover gestire la complessità del set corale di un film politico, deve
fare i conti con le bizze della star italo-americana che ha scelto per
interpretare il ruolo del nuovo proprietario; un attore in crisi, ostaggio
della sua maschera di divo, qui esasperata dal provincialismo del cinema
italiano.
Margherita è separata, ha una figlia adolescente che frequenta malvolentieri il liceo classico in ossequio alla tradizione famigliare impressa dalla nonna (insegnante di latino e greco), ha un amante, attore nel film impegnato, mollato all'inizio delle riprese, e una vita confusa, solitaria e complicata. La concentrazione, richiesta per girare un film così difficile, tutto spostato verso il lato pubblico e politico, è minacciata dalle istanze del privato e dall'ombra sempre più densa della possibile morte della madre che la costringe a un confronto difficile e doloroso, soprattutto con se stessa e con il fratello Giovanni, un ingegnere posato che si è preso un periodo di aspettativa dal lavoro per accudire la madre malata di cuore, ricoverata con poche speranze in un ospedale della capitale.
Mia madre è un film profondo e sincero, tanto da essere quasi crudele per il lavoro che compie di scavo ineluttabile e autentico…
Margherita è separata, ha una figlia adolescente che frequenta malvolentieri il liceo classico in ossequio alla tradizione famigliare impressa dalla nonna (insegnante di latino e greco), ha un amante, attore nel film impegnato, mollato all'inizio delle riprese, e una vita confusa, solitaria e complicata. La concentrazione, richiesta per girare un film così difficile, tutto spostato verso il lato pubblico e politico, è minacciata dalle istanze del privato e dall'ombra sempre più densa della possibile morte della madre che la costringe a un confronto difficile e doloroso, soprattutto con se stessa e con il fratello Giovanni, un ingegnere posato che si è preso un periodo di aspettativa dal lavoro per accudire la madre malata di cuore, ricoverata con poche speranze in un ospedale della capitale.
Mia madre è un film profondo e sincero, tanto da essere quasi crudele per il lavoro che compie di scavo ineluttabile e autentico…
… Mia madre ne rende onestamente e onorevolmente atto,
è un film sincero e intelligente, e segna, spero, l’inizio di una nuova storia
per questo regista. Forse nei prossimi film finirà anche per tirarsi del tutto
da parte come attore, anche se questa rinuncia gli costerebbe probabilmente
moltissimo. Già qui si mette di lato – come teorizza la regista Margherita, il
personaggio in cui Moretti si sdoppia, con un’applicazione generica della
distanziazione brechtiana – teorizzando l’attore a fianco e non dentro il
personaggio, in modo da mostrare due facce: una più saggia, che Moretti affida
qui a se stesso, e l’altra più nevrotica, in cui stemperare al femminile il suo
esasperato autobiografismo. Mia madre ne
risente ancora, è troppo sua madre,
anche se una madre che ha le qualità di tantissime altre…
… "Mia madre" racconta di un
lutto elaborato in anticipo, come avviene quando si sa che i propri cari non
guariranno da una malattia. E' un film sullo smarrimento, sul disorientamento.
Margherita è disorientata sul set come nella vita. Il film scivola spesso nei
ricordi e nel sogno: momenti in cui Moretti gioca a disorientare anche lo
spettatore insieme alla protagonista. A controbilanciare il dramma, in un
cocktail accuratamente dosato, la vanità gigionesca del personaggio di Turturro
- che regala una prestazione di irresistibile verve comica. Non fa che
millantare e dissimulare, continuamente: sino alla cena in cui cala la
maschera, svelando la sua fragilità. E' un personaggio iperbolico, ma riflette
bene le menzogne che spesso raccontiamo a noi stessi.
In "Mia madre" è netta l'autocritica di Moretti, che non si risparmia niente come uomo e come regista. Sono severe le accuse di egocentrismo che si rivolge, per tramite di quanto viene rinfacciato a Margherita dal proprio compagno. Come regista, l'autocritica è imbevuta di autoironia. Sempre a Margherita, Moretti affida alcune idiosincrasie, come il tormentone di raccomandare agli attori di "mantenere l'attore accanto al personaggio"; a un certo punto Margherita sbotta, urlando ai collaboratori che avrebbero fatto male ad assecondarla: "Un regista è uno stronzo, cui permettete di fare tutto!"…
In "Mia madre" è netta l'autocritica di Moretti, che non si risparmia niente come uomo e come regista. Sono severe le accuse di egocentrismo che si rivolge, per tramite di quanto viene rinfacciato a Margherita dal proprio compagno. Come regista, l'autocritica è imbevuta di autoironia. Sempre a Margherita, Moretti affida alcune idiosincrasie, come il tormentone di raccomandare agli attori di "mantenere l'attore accanto al personaggio"; a un certo punto Margherita sbotta, urlando ai collaboratori che avrebbero fatto male ad assecondarla: "Un regista è uno stronzo, cui permettete di fare tutto!"…
… Impossibile
non riconoscere qualche brandello della propria esperienza in certe scene del
film, i ricoveri d’ospedale, le giornate appese alle medicine salvavita,
l’affievolirsi della capacità conoscitive della madre, il suo entrare e
perdersi in una zona di demenza, e lo strazio di assistere sgomenti e impotenti
al decadimento. Sì, in Mia madre si
guarda la morte in faccia, ci si fa i conti, anche se, proprio come capita ai
due figli della signora Ada, e più alla figlia che al figlio, verrebbe voglia
di distogliere gli occhi, dimenticare, raccontarsi palle, autoingannarsi, non ammettere
quel che è evidente. E cioè che lei (lui, loro) sta morendo. Questa storia
personale e insieme generale Moretti la racconta al massimo possibile del
pudore, della sobrietà, andando di sottrazione in una messinscena così priva di
orpelli, così disadorna da sembrare a momenti qualunque e perfino sciatta.
Ovvio che non è così, è se mai una gran prova di maturità registica questo
mimare, riuscendoci, il tono, il suono basso e quasi impercettibile, della
realtà. Per centrare l’obiettivo Moretti non si tira solo vistosamente
indietro, rinuncia anche a fabbricare battute seriali, di quelle che deliziano
i suoi estimatori e che sono entrate pure nel lessico collettivo italiano, e
solo qua e là il suo acido corrosivo erompe e zampilla in parole che graffiano
e si stampano nella memoria, ma siamo a livelli quantitativi assai inferiori
alla media morettiana…
…Margherita,
come Apicella (e come il cardinale Melville in Habemus papam),
è sperduta al di fuori di sé. Attraverso il cinema non tenta di trovare
coordinate per leggere il presente, che lei stessa ammette di non riuscire a
capire, ma piuttosto un linguaggio, una struttura, un microcosmo codificato che
non presenti crepe, storture, mediocrità. Sua madre langue in un letto d’ospedale,
dopo un collasso cardio-respiratorio: una polmonite mal curata ha sfiancato il
cuore, e non si può fare altro che attendere l’inevitabile. Accanto al suo
letto si danno il cambio Margherita e suo fratello Giovanni, che ha deciso di
prendersi un’aspettativa dal lavoro. “Sono stanco”, ammette alla sorella.
È un mondo stanco, e senza più speranza (sempre che l’abbia mai avuta), quello raccontato da Nanni Moretti in Mia madre. Un mondo in cui l’arte e il sapere sono appigli per la memoria, ma non hanno più un reale senso nell’esistente. Melville/Piccoli trovava una spinta inattesa nel riscoprire l’odore del palco teatrale, prima di ripiombare nel gorgo di una carica insensata, vuota, apparente. Margherita non vive sul set, né per il set; sua madre, che è stata professoressa di latino, non trova soddisfazione alcuna nei discorsi degli infermieri. In ospedale si sta instupidendo. A cosa serve il latino, chiede la quattordicenne figlia di Margherita, con il tre fisso in pagella? Alla struttura logica, è l’unica risposta che riesce a darle la madre. Ma che valore può avere una struttura logica in un mondo che non la persegue?...
È un mondo stanco, e senza più speranza (sempre che l’abbia mai avuta), quello raccontato da Nanni Moretti in Mia madre. Un mondo in cui l’arte e il sapere sono appigli per la memoria, ma non hanno più un reale senso nell’esistente. Melville/Piccoli trovava una spinta inattesa nel riscoprire l’odore del palco teatrale, prima di ripiombare nel gorgo di una carica insensata, vuota, apparente. Margherita non vive sul set, né per il set; sua madre, che è stata professoressa di latino, non trova soddisfazione alcuna nei discorsi degli infermieri. In ospedale si sta instupidendo. A cosa serve il latino, chiede la quattordicenne figlia di Margherita, con il tre fisso in pagella? Alla struttura logica, è l’unica risposta che riesce a darle la madre. Ma che valore può avere una struttura logica in un mondo che non la persegue?...
…Acquista un valore fondamentale la sequenza
(tra le più ispirate del film) onirica che vede Margherita in sogno seguire
un’interminabile fila ferma davanti al Capranichetta per acquistare il
biglietto de Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders. La fila non
ha fine, ma al suo interno la donna vede sua madre, suo fratello e perfino se
stessa ventenne con il fidanzato di allora. Non c’è solo la memoria di
Margherita o quella di Moretti in questo breve spezzone, ma si rintraccia il
sogno infranto di una cinefilia che non esiste più (è mai esistita?) e il
ricordo di una delle decine, centinaia di sale dismesse della Capitale, e
inserite nella lista – in parte raffazzonata – stilata dal Comune
di Roma un paio di mesi or sono. In quel breve frammento, in cui si parlano due
lingue oramai desuete, quella dei sogni e quella del cinema, Moretti racchiude
il senso della ricerca/spaesamento di Margherita. Inadeguata, come il papa in
fuga dal Vaticano, al mondo…
…Tutto il
film sembra svolgersi nel giro di un tempo presente fortemente limitato. È un
collage di scenette senza nerbo e significato aspettando che la mamma muoia. Il
fratello ingegnere trova le toppe che faceva mamma e compare sempre senza avere
una vita propria, la figlia di Margherita torna da una vacanza in montagna, il
film di Margherita ha delle difficoltà perché Barry Huggins non ricorda le
battute, la madre sta sempre peggio, i sogni di Margherita si confondono sempre
di più con la realtà. E’ tutto estremamente superficiale, fugace e di prima
lettura…
…Moretti con Mia Madre ci
consegna uno schermo vuoto, un film fantasma, nel senso che appare solo a chi
crede nelle apparizioni: agli amici morettiani di Roma, ai fan accaniti da
stadio, a chi imperturbabile non riconosce il passare del tempo e
l’avvizzimento di un autore. Da dove deriva questa impotenza di sguardo, questa
mancanza di coraggio del guardare, questa prudenza a difenderci dall’orrore
della morte quando invece si fa un film in cui Moretti stesso autopromuove un
dato personale ed intimo? Il problema di Nanni Moretti è politico. Paurosamente
politico. Nell’evo sociale e culturale del post antiberlusconismo il suo cinema
non esiste più. Non ha basi di senso per stare in piedi, non ha peculiari
appigli materiali su cui poggiare nuove riflessioni, siparietti buffi e doppi narcisi
per sostituire la sua ingombrante presenza. Tesi, antitesi e sintesi sono tre
vagoni di un treno dell’esposizione pubblica che sono già passati. Rivendere la
propria intimità come qualcosa di sacro ed intoccabile, solo perché firmato da
lui, significa solo una cosa: totale impotenza di fronte ad una nuova realtà,
la vecchiaia, la perdita definitiva, l’abisso del non ritorno. Pensate
all’aiuto che ha chiesto Moretti in sede di soggetto - quattro le soggettiste -
e di script con tre sceneggiatori tra cui un altrettanto ingombrante Francesco
Piccolo che ben che vada può, un po’ come Umberto Contarello per Sorrentino,
inventarsi boutade minimaliste o l’estetizzazione di un piatto di pasta e
fagioli come origine del mondo, ma non di certo aiutare nella tessitura di una
umana e drammatica elaborazione del lutto (anche qui la premiata ditta snob
progressista è una tassa da pagare comunque?). Insomma l’elegia funebre che
doveva essere Mia Madre, film etereo ed impalpabile, diventa il funerale del cinema
di Moretti e del morettismo. Chiudiamo con un paio di domande: qualcuno oggi
riesce ad immaginarsi di cosa potrà parlare il prossimo film di Moretti? Ma il
cineasta Moretti senza non diciamo tanto la presenza, ma l’idea di presenza di
Moretti attore sullo schermo, anche solo coprotagonista di una sequenza,
esisterebbe? Ecco allora che per paradosso l’improvvisa mancanza del mostrarsi
in primo piano, l’inciampo dell’uomo Moretti sempre in scena, sempre in
discussione, seppur nei suoi limiti da tinello casalingo (il tinello universale
morettiano in cui si riconoscono come in un sacrario d’arredo tutte le
disastrate trasformazioni della sinistra italiana), seppur appoggiato sbilenco
al doppio attoriale che non funziona, porta ad una incontrovertibile
impossibilità del filmare.
Autoreferenziale,
ipertrofico, edulcorato. Sparo subito il triplete, così sgombro il campo da
equivoci e chiarisco il mio giudizio sull’ultimo film di Nanni Moretti. Avrei
potuto usare un’altra triade, ruffiano, sgangherato, inutile, ma non
intendo essere clemente, sono infuriato con lui e con il suo pubblico, che
per decenni si è riempito la bocca di quegli aggettivi. Autoreferenziale,
ipertrofico, edulcorato. E classista, urlatamente e nemmeno sottilmente…
Il primo spezzone visto non mi aveva entusiasmato. E anche il trailer mi genera meno attrazione rispetto agli altri di Moretti. Però magari è sommessamente bello. Ovviamente da vedere. Poi dirò. Nel frattempo mi son rivisto le prime decine di minuti de La stanza del figlio, sia perché è veramente un filmine, sia perché all'inizio ce stanno l'amici mia..... ;)
RispondiEliminaNanni Moretti ringrazia...
EliminaOvviamente era un refuso e non un lapsus "filmine"... intendevo filmone ;) Invece... a proposito di amici e di Cannes... il copertinista dei fumetti che ho curato, Davide De Cubellis, è stato lo story-boarder de Il racconto dei racconti (e credo ora stia lavorando con Ozpetek)... chissà...
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