venerdì 10 ottobre 2014

Il regno d'inverno (Winter Sleep) - Nuri Bilge Ceylan

inizio con una notazione, forse polemica (?), a favore di Nuri Bilge Ceylan.
in un mondo dove la televisione, ormai, detta legge, gli spettatori non bisogna spaventarli, né affaticarli, poverini, molti avrebbero fatto una serie in quattro comode puntate, per quanto mi riguarda ringrazio regista e produttori per non aver ceduto alle sirene della tv, della pubblicità, e annessi e connessi.
il film gira solo in 50 copie, e per fortuna sono abbastanza, in confronto alle 10-14 copie di “Medianeras”, così va il mondo.
delle influenze di Cechov e Bergman ne parlano in tanti, a me hanno colpito molto gli ultimi minuti (oltre al testo, naturalmente), mi sono venute in mente le ultime parole di “The dead”, di John Huston, mentre cadono fiocchi di neve, e “Ne me quitte pas”, di Jacques Brel.

di cosa parla “Winter Sleep”?, mi chiederanno i miei 25 lettori.
come le grandi opere d’arte parla di ognuno di noi e parla in modo diverso a ognuno di noi, e ognuno vede cose diverse.
ecco cosa ho visto:
il film parla “solo” della vita, di come pensiamo di essere e di come siamo, di come vorremmo essere e di come siamo, di come vorremmo cambiare il mondo e di come il mondo è,
e anche di come pensiamo di controllare gli altri, e di come gli altri sono irriducibili, di cosa sono la libertà e la bellezza e come pensiamo di comprarla e possederla (penso al cavallo, non a Nihal), di come non tutto di può comprare e vendere, di come e quanto vogliamo apparire forti e buoni, e di quanto siamo deboli e poca cosa.
in “C’era una volta  in Anatolia” la morte la faceva da protagonista, era lei il personaggio principale del film, anche qui ci sono la morte, e la fine, e la caducità del tutto, sono sempre presenti, anche se noi fingiamo di no.
e poi in tutto il film tutti sono infelici, insoddisfatti, gente che vaga (turisti compresi, che credono di carpire qualche segreto e qualche verità dai posti che visitano, anche loro con una brama di possesso, dell’anima dei posti che visitano, che sarà per sempre insoddisfatta), anime alla ricerca di qualcosa.
ci sono poi la famiglia degli affittuari, il bambino, il caminetto, la coscienza, intesa anche come lavaggio, quelli che fanno beneficienza, il potere del denaro, l'economia e i rapporti di forza, tra le altre cose, insomma è un film-mondo, e siamo tutti coinvolti.
Aydin sembra vivere come un nobile decaduto fra le rovine della propria intelligenza, come scrive  Jaime Gil de Biedma.
e ci sono mille altre cose, ognuno le cerchi, e trovi quello che riesce, non spaventatevi e non fatevi scappare questo film, godete e soffrite e meditate, il film continuerà a scavarvi dentro, anche dopo averlo visto, come una vecchia talpa, e quando  ci ripenseremo o lo rivedremo ci dirà ancora altre cose, è un film che non finisce in 196 minuti, questo è sicuro.
buona visione - Ismaele






…Tre ore e venti di una dozzina di piani-sequenza sembrerebbero non facili da digerire ma in realtà diventano preziose e indipensabili fino all'ultimo minuto per la costruzione di un mondo come racchiuso in una palla di vetro, gravitante intorno a un alberghetto gestito da un ex attore teatrale, primo protagonista del film, dove vive insieme alla giovane moglie e alla sorella, recentemente divorziata…

È un film dove le sfumature sono tutto, e dove ognuno è un po' vittima e un po' carnefice. Parole, parole, parole e lo spettatore sembra assistere così a una seduta psicanalitica. Si percepiscono attraverso la parola tutti i non detti e le verità sopite. Ne esce un ritratto spietato eppure molto umano, le paure che logorano e il tempo che inevitabilmente cambia tutti noi e il nostro rapporto con chi amiamo.
I possibili rimandi sono infiniti, chi scrive di Antonioni, chi di Bergman (soprattutto "Fanny e Alexander"), Dostojevski, le citazioni di Shakespeare e soprattutto Cechov. L'autore russo è ovviamente da più parti ripreso come principale fonte di ispirazione, soprattutto per quelle riflessioni, apparentemente casuali, ma a ben vedere precise e feroci.
In generale è un film troppo parlato, spesso verboso e respingente, alla fine si arriva provati e forse per questo non giustifica del tutto la sua lunga durata (tre ore e quindici minuti) ma è comunque capace di convincere per la sua inesorabilità. Un cinema fuori dal comune e per questo necessario.

…Ricco, come spesso succede a teatro, di scene madri - su cui troneggia la cupa, rivelatoria conversazione di Aydin con sua sorella – Winter Sleep fa di questo distacco scenico il grande punto di svolta rispetto al precedente cinema di Ceylan. Pur mantenendo negli interni la luce tiepida della fotografia di Gökhan Tiryaki, l’ultima pellicola del regista turco si caratterizza per un’inedita freddezza evidente non solo nelle ambientazioni fra le gelate e nelle inquadrature indolenti sulle steppe anatoliche, ma anche in una storia priva di compassione, dove i personaggi dannati superano di gran lunga quelli salvati. Rispetto al passato, in cui la parola cedeva il passo all'immagine rivelatrice, per la prima volta il paesaggio diWinter Sleep si limita a un poetico ruolo di corrispettivo oggettivo: freddo è il cuore del suo protagonista, innevata appare l’Anatolia; fragile è il rapporto fra Aydin e sua moglie, tremula sarà la luce di candela che illumina la loro stanza. Non c’è dubbio che l’ultima fatica di Nuri Bilge Ceylan richieda allo spettatore impegno e dedizione, non solo per la sua dissuasiva monumentalità ma anche in virtù del sacrificato incanto, del maggiore realismo e di una più domestica ambientazione. Se ricompensato però, dopo il favore di Cannes, anche dall’attenzione del pubblico, Winter Sleep si rivelerà - ai livelli di profondità che il discorso del suo regista arriva a toccare - un film dal fascino magnetico.

noi ne approfittiamo per parlare di un film coraggiosissimo, una pellicola che ha fondamenta nelle parole, con un cast di paurosa bravura, con delle immagini che si prendono tutto quello che possono dal paesaggio che le circonda e ce lo restituiscono con una bellezza mozzafiato, nel sole e nella neve, nella pioggia e nel gelo. E nel mezzo ci sono quelle due sequenze con i cavalli, secondo me cinematograficamente le più belle. Una è quella del cavallo che non ce la fa ad uscire dal ruscello e l'altra quella in penombra al buio, bellissima, di lui che va a trovare il suo di cavallo, quel cavallo selvatico che alla fine mai uscirà, se non in un finale che diventa metafora...

Nuri Bilge Ceylan se moque lui-même de l’aspect bavard de son exercice de style aux tendances « bergmaniennes », notamment dans cette scène où les personnages, sous l’emprise de l’alcool, en perdent leur latin. Avec une maitrise parfaite de sa trame narrative, le metteur en scène a su créer un puzzle philosophique, pudique et poignant, où chaque pièce s’imbrique parfaitement pour sans cesse surprendre le spectateur. Alors que l’on s’attendait à un film poussiéreux et interminable, on se réjouit face à ce pur moment de cinéma, où la poésie se mêle à une profonde réflexion sur la nature humaine.

Podría parecer a veces que tanto diálogo y referencias a Shakespeare, tanto en el nombre del hotel que regenta Aydin (Othello) como citando frases suyas o el título de la película, que estamos ante una inspiración más sobre los escritos del famoso dramaturgo, pero en realidad quien tenía en mente Ceylan al escribir junto a su esposa el guión de Sueños de invierno es a Antón Chéjov, aunque sólo como base dos o tres de sus relatos breves, adulterando muchas cosas a su antojo. Acompañando a las imágenes, suena repetitivamente la sonata nº 20 de Schubert, una delicia de escuchar y muy bien empleada en cada situación. También hay un guiño a El idiota de Dostoievsky, pero sin duda a ningún amante del cine se le escapará que esos conflictos de pareja y la intensidad alcanzada recuerda al mejor Bergman. Todos nombres grandes a los que Ceylan hace justicia, ahondando en la condición humana de tal forma que más de uno se arrepentirá de su visionado, no por no disfrutarlo, sino por las miserias personales que le descubrirá y que no creía tener.

Winter Sleep va creciendo según avanza el metraje, según vamos conociendo a los personajes y vamos viendo las consecuencias de los actos de los protagonistas. El último tercio salpica hábilmente el drama con gotitas de humor y algo de ternura para que la película alcance su cenit en un más que acertado epílogo. Tres horas y cuarto mucho menos pesadas de lo que podría parecer a pesar de que algunos diálogos bien podrían haber sido recortados.

L’immobilismo di Aydin, uomo colto, a tratti ragionevole e onesto, è una dichiarata ma troppo insistita metafora di una Turchia incapace di cambiare, di adeguarsi, di entrare in una dimensione finalmente moderna. Ricchezza e arroganza sono le catene che impediscono ad Aydin di vivere serenamente il suo ovattato ritiro, sono la zavorra che blocca l’intellighenzia turca. Ma è nella reiterazione esasperata dei dialoghi e nel didascalismo nelle metafore che Winter Sleep diventa ridondante, la scrittura gratuita, la messa in scena uno sfoggio alla lunga poco fertile.

…A l’instar de l’écriture, l’approche esthétique se veut réaliste tout en tendant au symbolisme. Les paysages de l’Anatolie permettent ainsi à Nuri Bilge Ceylan de mettre en place un jeu d’ouverture et de fermeture – voire d’enfermement – des protagonistes faisant écho à leur parcours. La splendide photographie se veut impressionniste : les choix de cadrage et de mise en lumière permettent notamment de transcender l’émoi des protagonistes tandis que les quelques effets visuels auxquels recourt le réalisateur se veulent hypnotisant. S’il est indéniable que l’interprétation de l’ensemble du casting est magistrale, le montage est sans conteste la clé de voûte du dispositif. Celui-ci permet une dynamique singulière de spatialisation et de temporalité. Deux conversations peuvent ainsi s’enchainer alors qu’un espace se confond à un autre et que le temps s’est écoulé en un mouvement de tête. La fluidité de l’ensemble subjugue tandis qu’un leitmotiv musical nous emporte proprement au fil d’une partition sans fausse note où les fautes de raccord deviennent une occurrence et attisent à dessein notre attention…
da qui

8 commenti:

  1. Ieri Caden, oggi te: mi state facendo cedere alla tentazione :p
    È già deciso, lunedì vado a vederlo, poi ci risentiamo...

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    1. e come potrà non conquistarti?

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    2. Mi duole dirti che purtroppo non mi ha conquistato. Ma posso invitarti da me a leggerne le motivazioni, inizialmente nate come appunti per un commento al post di Caden (il Buio in Sala), ma poi, lo spazio era quello che era e ho deciso di trascrivere tutto nel blog. Ovviamente citandoti, perchè i più vivi complimenti vanno anche alle tue riflessioni qui sopra...
      A presto Ismaele, anzi, ora che ci penso devo ancora finire di visionare i corti di Andersson, ho guardato solo i primi due, ma sono divertentissimi :)

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    3. pazienza per Ceylan, Frank, nessuno è perfetto :)

      anch'io ho riguardato i corti di Andersson, humour nordico bellissimo.

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    4. Da me, ti ho risposto che finora nessun film di Ceylan mi ha catturato più di tanto. Riflettendoci meglio invece, mi sono ricordato che il suo primo corto mi è piaciuto assai, mai visto?
      https://www.youtube.com/watch?v=w45Yw25IPhI

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    5. mai visto, lo guardo di sicuro, grazie

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  2. Pazzesco (?), uno dei tuoi 25 lettori (molto discontinuo per sua stessa natura, lo ammetto) ti dice francamente che anche lui ha pensato alla neve di The Dead (e Bergman). Ma anche a Ceylan. E' lui!
    Per me in estrema sintesi il film indica la sconfitta dell'intellettuale nel ripetersi del tempo. Lui avrebbe gli strumenti per "opporsi al male" ma la vita non coincide con la cultura. E poi quale "cultura" e quale "male"? Un film inossidabile.

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    1. l'intellettuale si fa domande, il Male ha solo certezze, solo un altro Male (minore?) potrà vincerlo, il Male batte l'intellettuale, sempre.
      l'intellettuale dà testimonianza, esempio, pensiero, ma è il campo dell'intellettuale, ma il Male non va lì, il Male nel suo campo è invincibile (se non da un Male (minore?).
      a pensarci bene Aydin è uno di noi, o noi siamo come Aydin, forse per questo siamo coinvolti...

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