domenica 12 ottobre 2014

The selfish giant – Clio Bernard

english do it better, le storie di estrema marginalità le rappresentano come si deve, e c'è attenzione ed empatia verso gli ultimi.
il film è ispirato a una storia di Oscar Wilde, racconta la storia dell'amicizia di due ragazzini, destinati a una vita di povertà ed emarginazione, non si sfugge. 
i protagonisti sono Arbor e Swifty, due ragazzini che si legano l'uno all'altro, vedendo nell'altro l'unico modo per andare avanti, amici come pochi.
Arbor difende Swifty, lo protegge (mutatis mutandis succedeva anche in "The mighty", di Peter Chelsom, anche lui inglese, che coincidenza, qui), è un'amicizia pura e bellissima, fra loro riescono anche a ridere, ma il mondo per loro è una merda, fra servizi sociali, polizia, sfruttamento e tutto il resto.
non aggiungo altro, guardatelo, è un film che vi farà star male, ed è cinema della miglior specie, di quello che non lascia indifferenti, cercatelo, e vorrete bene a Swifty e Arbor - Ismaele







…Un cinema, quello della giovane regista inglese Clio Barnard dedicato agli umili e ai disperati, che non sfora  mai nel  sensazionalismo e soprattutto in un fastidioso pietismo. The selfish giant è un film molto riuscito sulle amarezze di una vita sempre in salita di molti ragazzi lasciati a se stessi in uno degli stati più emancipati del mondo occidentale, che vive ancora oggi di espedienti. Girato nel Regno Unito è parlato con lo stretto idioma locale che ne rende necessario la sotto titolatura.
Un film bello e toccante come sanno essere le produzioni inglesi quando hanno come protagonista lo strato sociale più basso e proprio per questo più vero e schietto. Un film inquietante commovente nel senso che fa breccia nella nostra indifferenza, che pone tante domande senza dare comode risposte.

…La regista Clio Barnard si fece già valere con un documentario capolavoro, The Arbor, la cui location (il circondario di Bradford) e titolo sono ritornati a infestare la sceneggiatura di The Selfish Giant, dove a giganteggiare non è solo Kitten, ma l’industrializzazione che copre i cieli, sotto cui pascolano cavalli e giocano Arbor e Swifty, saltando la scuola e tentando a volte il tutto per tutto pur di restare bambini, anche solo per un minuto. E quel desiderio, quei momenti di gioco in cui l’eccezionale Chapman si nasconde sotto il letto aspettando d’esser trainato fuori da quel ragazzino, Swifty, con cui finge di essere il leader, il forte: nel mondo osservato dal basso, schiacciato dai cieli grigi, la finzione prima o poi viene a galla ed ha il sapore freddo del rame. La regia della Barnard è un soffio d’aria gelida su quelle lacrime che scenderanno alla fine, congelando il viso e spegnendo quel calore che persino Wilde, l’autore del De Profundis, ci aveva concesso.
Sulla crisi e nella crisi, l’abbandono della periferia, l’industrializzazione e l’emigrazione verso le città centrali, sono tutti temi che fino ad ora sono sempre stati al centro di un certo cinema britannico, riuscendo anche tante altre volte a portare lo spettatore alla commozione, ma a schiacciarlo in una vera e propria morsa finora a riuscirci meglio è stata Clio Barnard.

...Hablábamos de literatura, familia y geografía, que en el caso que nos ocupa se mostrarán a partir del cuento homónimo que Oscar Wilde publicó en 1888, donde un malhumorado gigante que nunca está en casa dirigirá su furia hacia los niños que se cuelan en su jardín para jugar en tan bucólico paraje, donde, en consecuencia, los árboles dejarán de florecer y las flores de crecer, perpetuando un invierno imperecedero. Aquí los niños serán Arbor (Chapman) y Swifty (Shaun Thomas), ambos amigos, vecinos y compañeros de colegio. El primero combate el aturdimiento provocado por la medicación contra la hiperactividad que sufre con bebidas estimulantes. Vive con su madre (soltera o divorciada, quizá abandonada) y su hermano mayor, drogadicto y delincuente incipiente que robará los fármacos de su joven pariente, alterando aún más su patología. Swifty, en cambio, algo huidizo e introvertido, miembro de una familia numerosa y padres no demasiado bien avenidos, encontrará en Arbor un escape al aislamiento que le produce el temor de propagar el (ficticio) retardo mental que le imponen sus compañeros de colegio mediante contacto físico. El gigante será Kitten (Sean Gilder), chatarrero que usará su negocio para autofinanciar las carreras ilegales de caballos en las que apostará, arriesgando tanto la vida del animal como la de Swifty y los demás niños a los que obligará a montar. Finalmente, el jardín será la chatarrería, paraíso al principio donde los chicos recibirán su primer salario (por robar el cobre de los conductos eléctricos de las vías de tren y las torres de alta tensión) y espacio donde se circunscribirá su independencia, incluso libertad, al entrar en el mundo de los adultos, esclavos de una paga o remuneración, sometida a la torpe y abusiva adaptación del sistema de tasas, retenciones e impuestos que Kitten aplicará a las asignaciones en negro que reparte entre sus asalariados…

Clio Barnard réussit à nous faire vibrer d'inquiétude pour ces deux garçons. Visuellement, son film utilise à merveille la grisaille des lieux et leur caractère dégradé, laissant à peine entrevoir un espoir de vie, au cœur de la brume qui enveloppe par moment les paysages. Les scènes au pied des tours de refroidissement sont picturalement saisissantes et le final donne la chair de poule. Quant aux deux petits interprètes, ils sont simplement sidérant de détresse et de force retenues, face à ces adultes qui les exploitent bien plus qu'ils ne leur offrent d'opportunités.

Es una historia impregnada de una profunda tristeza, de una inmensa sensación de derrota. A pesar de que contenga momentos, si no divertidos sí alegres y luminosos (todos los cuales tienen que ver con la amistad que une a Arbor y a Swifty), sus personajes son hijos de la desesperanza, habitantes de una espiral interminable de trabas y prejuicios provenientes de esa misma sociedad que les dice que la culpa de lo que les pasa es única y exclusivamente suya. Chicos y chicas, hombres y mujeres, que vivirán perpetuamente a las puertas del mal llamado “estado del bienestar” sin poder cruzar jamás el umbral porque nadie les habrá enseñado a hacerlo. Esto, señores, y no otras cosas, es retratar los problemas de nuestra sociedad. Para ver lo mal que lo pasaban en la época victoriana, siempre nos quedará el cine de gran presupuesto... y la BBC, claro.
da qui

2 commenti:

  1. Credo di essermelo appuntato ancora l'anno scorso (edizione di Cannes 2013, se non sbaglio), devo controllare nella lista annotazioni... E' giunta l'ora di vederlo allora ;)

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