giovedì 14 maggio 2015

Leviathan – Andrey Zvyagintsev

un film che è contro il Potere, e per questo il Potere non lo vede di buon occhio.

la Russia è una giungla dove vivi se qualcuno vuole, il capitalismo selvaggio e l'uso violento della forza schiacciano quelli come Kolya (e Lylia e Roma, di conseguenza), un povero Sisifo, che la Chiesa, altro Potere, destina al ruolo di Giobbe, bisogna sopportare, i disegni di dio sono imperscrutabili.
Kolya non ci crede, sa che i disegni sono del sindaco, un bandito, che vuole usare la terra di Kolya per una società metà pubblica metà privata (quante volte è la formula per una rapina?).
la speranza non esiste, nessun lieto fine, e la vodka è un altro protagonista del film
il film è girato a Teriberka (qui e quinon lontano da Murmansk), vicino al Mare di Barents.
quando ho letto del film la prima volta ho pensato a "Le armonie di Werkmeister", di Bela Tarr, ma è una falsa pista.
una cosa in comune hanno i due film, sono da non perdere assolutamente - Ismaele







Tra relitti di un'altra epoca (case distrutte, imbarcazioni sventrate...) e relitti di esseri viventi (un gigantesco scheletro di Balena che non può non far pensare al Leviatano del titolo) si muovono uomini che lentamente perdono tutto ad opera proprio di quello stato del quale dovrebbero essere parte fondante, che dovrebbe garantire le loro libertà nella visione dell'altro Leviatano, quello di Hobbes. È infatti con un certo rigore e una chiarezza espositiva che non lascia dubbi che Zvyagintsev raduna intorno ad un tavolo i tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) nel momento in cui il sindaco pianifica il suo contrattacco. Didascalicamente mette lo stato nella forma più alta (c'è una geniale preponderanza nella fotografia della classica foto di Putin sul muro dell'ufficio del sindaco) a tramare, a braccetto con il potere ecclesiastico. Con equilibrismo invidiabile Leviathan riesce in questo modo a non dare mai l'impressione di accanirsi sui protagonisti ma semmai di condurli in un percorso di sofferenza imputabile ai personaggi e non al sadismo dell'autore. Nel clima desolato in cui è immersa la storia l'impressione è che quella sia l'unica possibile strada per tutti coloro i quali decidono di alzare la testa…

Il primo a entrare in scena è il paesaggio, privo di esseri umani. Si percepisce subito di essere all'estremo Nord. Il mare grosso che lavora gli scogli, il cielo che scolora tutto quanto sotto in un grigiore diffuso, freddo, che aspetta solo l'oscurità. Al riparo dai marosi, ristagnano relitti di imbarcazioni arenati sul fondale. Il luogo, i dettagli ripresi da diverse angolazioni, si susseguono in un silenzio "naturale", il paesaggio non è soltanto una cornice ma si pone fin da subito come un "carattere", la scelta del luogo non è funzionale alla storia, ma espressione della condizione umana che fin da subito s'intuisce essere alla deriva…

.. Satira feroce e acuminata sulle storture del potere e della sua eterna danza macabra, Leviathan non fa sconti a nessuno e viene da pensare che la sua metafora, così universale, potrebbe fare benissimo al caso anche della nostra cinematografia (e della nostra Storia tout court), dove però il cinema di impegno civile è appannaggio solo di riletture neo-realistiche e anche solo immaginare film come questo sembra una mera utopia.

Film a struttura chiusa, blindata, inesorabilmente teso verso la propria meta, ed è anche questo a renderlo così claustrofobico, così soffocante nonostante gli spazi aperti e l’immensità dei panorami. Meraviglioso il protagonista Alexei Serebriakov, una faccia su cui leggi la Russia, semplicemente. Nonostante sia stato osteggiato, et pour cause, dalla nomenklatura putiniana, Leviathan è stato poi scelto dall’apposita commissione russa come candidato nazionale all’Oscar per il miglior film in lingua straniera. È entrato nella cinquina finale, ma non ce l’ha fatta a portarsi a casa l’Academy Award, come avrebbe meritato (ha vinto Ida). Peccato. L’Oscar sarebbe stato di grande aiuto anche per il regista Andrey Zvyagintsev, la cui posizione in patria non è così salda.

Con una hermosísima apertura sonora del compositor Philip Glass, Leviathan llega en un momento crucial a nivel político, con Rusia convertida en nación homófoba y odiada en Europa, ideas que ya se han dejado sentir en Cannes a través del maniqueísmo de un Hazanavicious insultante. Leviathan se ha convertido en una de las cintas clave del certamen. No sólo por su perfección técnica. También por un excelente guión que se preocupa por que los personajes tengan una entidad propia sin convertirse presas de la ambición aleccionadora. El director acierta al introducir un leve subtexto mitológico —y metafórico— que se deja sentir en un par de escenas a través de la presencia, apenas perceptible, de un animal marino que referencia explícitamente al título. La figura de Job ha sido evocada en boca del propio cineasta. Kolya es construido a la manera de un antihéroe víctima de sí mismo y de una sociedad que dice proteger a sus ciudadanos cuando en realidad los condena. Aunque no es una obra de fácil digestión —dura sus 2 horas 30 minutos— que puede que no despierte pasiones en un amplio espectro de público, es un filme que sabe ganarse la complicidad gracias al humor con el que salpica muchas de las interacciones de ese núcleo familiar. Una cinta necesaria que debería ser protagonista durante este 2014.

…La historia del iluso Kolya, que pretende derrotar a la monstruosa injusticia que se comete con él, está contada con el mismo fatalismo que impregna las tragedias de la Grecia clásica. El héroe está ciego y no cae en la cuenta que su ira le llevará al desastre. Por otra parte, plásticamente, Zvyagintsev se inspira en su compatriota Tarkovski para ofrecernos una planificación de angulares luminosos, con una estética casi japonesa del encuadre, con leves movimientos de cámara que permiten mantener planos largos en duración y con profundidad de campo. Todo, hay que reconocerlo, muy exquisito, estéticamente redondo, con unos actores resultones y bien dirigidos, una ambientación de interiores excelente, una música discreta, que aparece en momentos importantes… pero todo ello al servicio de una historia cortita, muy vista, previsible y que se alarga hasta dos horas y media cuando podía haberse resuelto en una hora menos…

Claramente Leviatán es una película que juega con metáforas constantes, nada es casual en este film, pasando desde la localización hasta el tamaño corporal del alcalde. Se cimienta en unas interpretaciones perfectamente controladas, diseñadas por un milimetrado y estudiado guión que pone de manifiesto los claroscuros de los personajes que retrata. De hecho, no es amable con ningún integrante de la historia, ya que nos presenta a una sociedad podrida, pasiva e incluso autodestructiva con ella misma y más ocupada en pasarse el día harta de vodka que intentando solucionar los problemas que de una forma u otra les rodea.Todo esto contado a ratos con un insólito toque de humor negro, que yo sinceramente no me esperaba encontrar, y que solo alguien con suficiente talento como Zvyagintsev es capaz de dar sin que el conjunto desafine…

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