martedì 12 maggio 2015

Forza maggiore - Ruben Östlund

alcune note dell'Estate di Vivaldi si ripetono per tutto il film, quando si è in attesa che succeda qualcosa.
poi non succede niente (di enorme), solo piccoli smottamenti che cambieranno la vita a quella piccola famiglia svedese arrivata per una settimana bianca, per soffrire, in realtà.
viltà, debolezze, pianti, incomprensioni, silenzi sono gli ingredienti del dramma di quella settimana, e i due bambini capiscono (ma lo sapevano già da prima) che la loro non è la famiglia felice che sembra.
e tutti sembrano inadatti.
l'unico momento di gloria, per tutti, ci sarà quando un autista dimostra di essere una schiappa, ed eroicamente i villeggianti faranno la strada a piedi.
e poi, inquietante, c'è l'inserviente che osserva tutto, come noi.
un film che non lascia troppo tranquilli - Ismaele








La narrazione è piana, a tratti lenta con vuoti che rappresentano la normalità ( specie in Svezia e al Nord), gli attori sono discreti, ma spariscono di fronte al paesaggio innevato silenzioso ma pieno di effetti sonori, che crea una suspence più cercata o creata appositamente che si affloscia sul finale. Il dramma psicologico nella coppia, creatosi dopo temuta valanga, è trattato adeguatamente al tono del film. Qualunque citazione di Bergman, Haneke o di altri nordici appare fuori luogo. Buon film svedese in cui non bisogna arrovellarsi troppo.

ciò che muove Force majeure è l'essenziale mise en scène, senza orpelli, senza nulla lasciato al caso. Il crollo del mito del padre, e della virilità ad esso associata, è un po' il pretesto per immobilizzare i movimenti interni di una famiglia normale, e annegarli nel lucente bianco di un mondo bellissimo ma monocromo, incolore. Giocando spesso con i riflessi, e ribadendo in continuazione quali siano i limiti dell'immagine - e realizzando a tal proposito un lavoro notevole con il suono, che focalizza l'attenzione su ciò che preme mostrare all'autore, piuttosto che su ciò che nella possibile realtà del film potrebbe verificarsi - Ostlund realizza un piccolo grande tentativo di raccontare la sottile assurdità di un mondo fatto a pacchetti tutti uguali, incasellato nelle finestre del residence in cui soggiorna la famiglia, e che combatte funesto il gelido inverno (paradossalmente, godendosela in una gioiosa settimana bianca), con la rara musica classica a cingere i luoghi, i lampi e i fuochi di una realtà sul ciglio del baratro, che vorrebbe responsabilizzarsi ma non sa non farsi trascinare dall'istinto per motivi di forza maggiore.
da qui

…Ostlund non s’accontenta delle interessanti premesse e promesse che ha posto, spariglia le carte e i registri, mette il film nella carreggiata del dramedy, ma sentimentale, comico, apologetico, e chi più ne ha, sono sullo schermo.
Forse si può recriminare sulla durata (un’ora e 58 minuti), ma Turist offre splendide immagini alpine e contrappunti sonori iperbolici, l’insostenibile leggerezza dell’istinto di sopravvivenza e l’occasione di una sacrosanta risata sul basso continuo della (mancata?) tragedia. Riuscirà, dunque, Tomas a tornare compagno, padre, uomo? Film da far vedere e rivedere agli sceneggiatori del nostro cinemino e pure ai registi, perché Forza maggiore forse non si nasce, ma di sicuro si cresce. 

Il limite di Forza maggiore sta nel troppo palese intento dimostrativo, e in una parte seconda meno convincente, come se il regista non ce la facesse a dipanare una vera narrazione oltre la sua brillante idea di partenza (e premessa teorica). Entra in ballo a un certo punto una coppia amica, senza che aggiunga granché alla storia. Ancora meno convince il successivo riscatto di Tomas. Per fortuna nella sequenza finale si recupera il senso di sperdimento, di confusione, di fronte alla natura incombente, si rinnova la scommessa della sopravvivenza in un’altra situazione atipica. E Östlund riesce ancora a inocularci sani dubbi e una sana insicurezza.

El potencial visual de Turist es enorme, y apoyado por esa fragmentación narrativa que nos despieza y el avance de la historia por días de la semana, genera una atmósfera de nerviosismo y tensión. Bellísimos planos blancos, vistas espectaculares desde lo alto de las montañas, la nieve cayendo en picado y ese hotel escandalosamente caro de estéticakitsch, nos conducen a la claustrofobia. Porque precisamente alejados de la rutina diaria, y a punto de disfrutar de la euforia de las vacaciones en familia, uno de los productos estrella del calendario consumista burgués, la catástrofe no será el alud. Llega con él, pero para quedarse. Habrá carcajadas inevitables, pero traen efectos secundarios. La dosis cómica de Turist viene con cargo de conciencia de regalo, al utilizar a Tomas como un espejo donde proyectar también la cara B de nuestros instintos, un blanco para rememorar nuestro propio cinismo. Al final, el torbellino de conclusiones que saquemos del filme será crítico, pero no moralista, porque no estamos ante un largometraje con moraleja, ni una fábula constructiva acerca de cómo ser buen padre, buen marido o una persona respetable a secas. Östlund logrará turbarnos más que conmovernos, contagiarnos la sensación looserde sus protagonistas, despreciar también lo que nosotros haríamos en su lugar, porque ni siquiera el propio espectador desenfundará el atrevimiento suficiente como para tirar la primera piedra. Turist viene con sorna para recordarnos que las reacciones animales también son terriblemente humanas. 

L’écriture est admirable. Ruben Östlund caractérise avec soin ses protagonistes dont il construit l’évolution avec finesse. Il joue judicieusement avec les clichés dont il se moque avant de les mettre à mal et de s’en servir encore non sans ironie. En parallèle de la narration, il induit un questionnement beaucoup plus large sur la société, son évolution et les normes qu’elle impose à chacun. La nature maîtrisée par l’homme revient en leitmotiv, ponctuant chaque journée tel un sublime chapitrage qui met en scène une réalité saisissante.
Le réalisateur signe une approche esthétique majestueuse. Il prête une attention particulière à chaque détail de la mise en scène au son, des costumes (autre donnée normée) à la moindre hésitation de ses comédiens. La photographie est sublime. L’ensemble tend à revêtir un caractère hypnotique des plus sensationnel. Quitte-t-il la radicalité d’une stricte séquentialité que Ruben Östlund donne sens au moindre champs/contre-champs, travaille la fixité qui lui est chère et joue à dessein avec les effets de travelling. Chaque plan est pensé avec soin offrant un cadre impressionniste à la narration ou y participant. Employant pour la première fois une musique purement extradiégétique, le cinéaste lui confère un sens singulier en ancrant une pleine dramaturgie où la tragédie n’a rien que de banal. Stupéfiant.

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