mentre il titolo del film francese è La bête (in italiano La bestia), sui manifesti si legge che il titolo è The beast (maledetta lingua inglese imperialista anche al cinema!).
La bête è un film distribuito poco e male, forse dipende dal fatto che non c'è una fine consolatoria e ottimistica, o perché ci sono dei salti temporali che costringono lo spettatore a un'attenzione al di sopra di quella necessaria nella media dei film (e delle serie tv), come nel film Se mi lasci ti cancello (Eternal Sunshine of the Spotless Mind), con Jim Carrey.
un amore impossibile, quello di Gabrielle e Louis, che si rincorrono nel tempo, senza riuscire a concretizzare l'unione, anche l'intelligenza artificiale delle macchine è contro quest'unione.
c'è anche una bambola, sembra arrivare direttamente da Annette, di Leos Carax.
e poi c'e la Bestia, una presenza minacciosa.
se riuscite a trovare il film, ormai in qualche nascondiglio in qualche tv, provate a vederlo, anche solo per combattere una forma di censura, mai morta.
buona (sorprendente) visione - Ismaele
…La
Gabrielle del 2044, un 2044 molto simile al nostro
presente ma con - ovviamente - tecnologie avanzatissime, molti automi al posto
degli esseri umani e una straziante e quasi imposta solitudine (le persone girano
per strada sempre sole e con un visore che gli preclude qualsiasi interazione
con gli altri) sta cercando un lavoro, mi pare non specificato.
Viene richiesto un solo requisito, ovvero quello di non essere sopraffatti
dalle emozioni, non provarne più, perchè solo il nostro distacco da quelle
(potremmo azzardare una specie di Atarassia) ci può permettere di rendere al
meglio, di compiere sempre le scelte giuste, di affrontare le cose con la
perfetta serenità.
Concetti in realtà "pericolosi" ma anche inquietantemente
giusti potremmo dire, senza emozioni, passioni, paure ed entusiasmi le nostre
scelte, come un freddo calcolatore, saranno sempre quelle giuste.
Per arrivare a questo stato bisogna ripercorrere le nostre vite precedenti
(ovviamente il film mette alla base di tutto l'esistenza e veridicità di questo
concetto) e "ripulire" la nostra anima, eliminando tutte le cose che
in tutto il suo percorso l'hanno resa "viva", fragile,
"umana".
Non è un caso che la primissima scena che vediamo della vita di Gabrielle
(nella Parigi del 1910 che, di lì a poco, verrà sommersa dalla storica
alluvione della Senna), primissima scena che per tecnica (piano sequenza) e
ambientazione (palazzo signorile e tutti in costume) non può non rimandarci
ad Arca Russa, dicevo non è un caso che una delle prime frasi che dirà
Gabrielle sia "Io tengo alla mia anima".
Come se, in qualche modo, la Gabrielle che si sta sottoponendo a quel
trattamento fosse già in "protezione" e in conflitto con il
procedimento stesso.
"Sto facendo questo processo ma tengo alla mia anima, non voglio che
scompaia"
(e il film poi confermerà quanto quella frase fosse sentita e profonda).
Ma c'è subito un altro caposaldo del film che viene fuori sin
dalle primissime battute, ovvero quello che dà titolo al film, La Bestia.
Gabrielle vive la propria vita con la costante sensazione che stia succedendo
qualcosa di terribile, una tragedia, una sciagura, un qualcosa che può
annientarla.
Questo qualcosa è reificato in questa Bestia che però, a sua volta, sempre
astratta rimane, (alla faccia della reificazione...), reificazione che, in
qualche modo, è quindi soltanto semantica…
…Bonello
porta avanti questo discorso in The Beast attraverso
una narrazione non cronologica e volutamente asimmetrica, rapsodica nella
gestione delle tre storie; una narrazione tenuta insieme da rimandi interni a
volte diretti, altre basati sulla suggestione, sul link nascosto (come nei
videogiochi di qualche decennio fa) piuttosto che sul collegamento esplicito.
In un’epoca in cui il concetto di multiverso sembra aver ormai invaso la
narrazione audiovisiva, il regista francese ne adatta a suo modo la logica alla
più archetipica delle love story: quella, cioè, di due amanti impossibilitati a
trovarsi attraverso le epoche – e i mondi – bloccati qui non da una qualche
divinità, ma dalle stesse logiche generate (inconsapevolmente?) dall’evoluzione
tecnologica. Un’evoluzione forse nascosta dietro un glitch, evocata ai margini
del campo visivo come un mostro informe, insidiosamente celata ma capace di
azzerare del tutto l’umano. Capace, anche, di rovesciare un plasticoso happy
ending in un inquietante suggello distopico, con qualche collegamento (ma forse
è solo una nostra suggestione) col finale dell’indimenticato classico della
sci-fi orrorifica Terrore dallo spazio profondo (1978).
Una scelta confermata anche dai (non) titoli di coda con QR Code da
scansionare, “gioco” metatestuale ardito quanto coerente con l’impostazione del
film.
…Perno del
film, tuttavia, è il setting futuristico
e distopico rappresentato dal 2044. In un’epoca in cui le intelligenze
artificiali hanno rimpiazzato quasi completamente l’umanità, ogni forma di
socialità, di condivisione emotiva, di sfogo collettivo è ormai scomparsa. Ciò
che è rimasto è l’individuo in una forma epurata dalla sua umanità, nonostante il
processo di eliminazione delle emozioni al quale ci si può sottoporre venga
definito proprio come purificatorio. Gabrielle, che a differenza della piega
che ha preso l’umanità, è realmente intelligente, è in dubbio sulla validità
del processo, convinta che la relazione che la lega a Louis tra le epoche sia
più forte di ogni cosa…
… Anche stavolta, Bonello conferma il proprio amore per la
contaminazione tra più generi: nelle quasi 2 ore e mezza del lungometraggio si
alternano e si intrecciano almeno tre film differenti non soltanto per
contenuti e tematiche, ma anche per regia, fotografia, montaggio e colonna
sonora.
Un accostamento spavaldo, che alterna un racconto sci-fi minimalista
chiaramente debitore degli incubi di Philip K. Dick, un lento e intenso
melodramma in costume e un thriller-horror al cardiopalma, a loro volta
attraversati trasversalmente da una marcata vena onirico-simbolica che a più
riprese sembra voler strizzare l’occhio a Inland Empire, a Mulholland Drive e
all’immaginario visivo di David Lynch.
Il risultato è un film molto lungo,
volutamente disomogeneo e a tratti un po’ pretenzioso, che però ha il grande
merito di proporre una narrazione ambiziosa e proteiforme. Con il suo folle
viaggio psicologico, cronologico e genetico, il racconto di La Bête va molto al
di là della mera sperimentazione formale, e scava a fondo nei sentimenti dello
spettatore con una ricerca stilistica mai fine a se stessa.
Missione compiuta, quindi? A nostro avviso, assolutamente sì.
Bertrand Bonello, tuttavia, deve condividere il plauso con la memorabile Léa
Seydoux e il convincente George MacKay: la sceneggiatura non è sempre così
compatta, e senza il contributo di due interpreti così versatili e capaci di
adattarsi a qualsiasi linguaggio cinematografico non sarebbe stato affatto
semplice raggiungere il medesimo risultato…
Nessun commento:
Posta un commento