arriva con un anno di ritardo, tratto
dal libro Le Mappe Dei Miei Sogni, di Reif Larsen.
il film di Jeunet segue
un ragazzino di 10 anni, T.S., e tutto quello che gli succede, compresa la
morte per incidente del fratello gemello.
l'ambientazione non è né francese, come in Amelie, né del tutto fantastica
come in La città perduta, ma pur sempre fiabesca.
qui siamo in un ranch in Montana (anche se quasi tutto il film è girato in Canada, e T.S. fa un viaggio
avventuroso direzione Washington.
niente esagerazioni e neanche retorica, tutto è molto trattenuto, misurato e davvero efficace.
si prendono in giro il mondo della scuola, un maestro in particolare, l'arrivismo del mondo vicino alla scienza, il sensazionalismo della televisione, ce n'è per tanti, insomma.
alla fine la famiglia di T.S., gente davvero strana, o forse normalissima, vince.
non sarà perfetto, ma sarebbe un peccato perderlo - Ismaele
…Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet è un viaggio al contrario, da ovest
verso est, in antitesi con il mito da frontiera americana. È un ritorno all'origine,
un cammino solitario in cui il distacco dalla famiglia rigenera relazione. È un
percorso spirituale, naturale processo silenzioso di accettazione della
perdita. Metabolizzare l'assenza per rinascere. E riscoprirsi non solo
intelletto, ritrovare in se stessi il lato mancante. Complementare.
Lo straordinario viaggio di T.S Spivet racconta un'America dimenticata, lirica e meravigliosa. Un'America sconfinata, ripresa poeticamente grazie ad una tecnica 3D sempre funzionale alla narrazione. Un mondo descritto attraverso gli occhi di un piccolo genio. E il parallelismo è facile, immediato. Un bimbo che inventa cose e un regista che crea storie. Jean-Pierre Jeunet è un artigiano, uno che si sporca le mani e, con il suo stile inconfondibile, plasma materia cinematografica. Scrive, disegna, riprende e dirige. La tecnica e la poesia si mescolano nell'unico grande obiettivo della creazione di un mondo unico, reale e immaginario…
Lo straordinario viaggio di T.S Spivet racconta un'America dimenticata, lirica e meravigliosa. Un'America sconfinata, ripresa poeticamente grazie ad una tecnica 3D sempre funzionale alla narrazione. Un mondo descritto attraverso gli occhi di un piccolo genio. E il parallelismo è facile, immediato. Un bimbo che inventa cose e un regista che crea storie. Jean-Pierre Jeunet è un artigiano, uno che si sporca le mani e, con il suo stile inconfondibile, plasma materia cinematografica. Scrive, disegna, riprende e dirige. La tecnica e la poesia si mescolano nell'unico grande obiettivo della creazione di un mondo unico, reale e immaginario…
…raccontato con una libertà e una
leggerezza anarchica, tra un Pennac e un Vigo, i cui toni ironici sono proficui
per la riuscita del discorso tutto. Il film ne esce dunque compatto e
sostanzialmente giusto.
…Quello di Jeunet è un film che ferma il tempo e parla
con il cuore, in maniera sincera e spensierata, incantandoci con i suoi colori
e le solite idee geniali di questo signore francese dall’animo sognatore, che
sembra non stancarsi mai di voler far sognare anche noi
Il cinema che ti fa amare il cinema.
…T.S. Spivet è un road movie che dà modo a Jeunet di strabiliare il
cinefilo disposto ad ammmirare i suoi virtuosismi debordanti e straordinari, il
suo ritmo ad orologeria e le mille invenzioni genialoidi che hanno spesso
contraddistinto il cinema di questo originale cineasta, che anche in questa
occasione non si fa mancare, seppur solo in un cameo, della presenza
dell'affezionato ed irrinunciabile Dominique Pinon. Purtroppo il film risulta
un pò fine a se stesso e lo stesso viaggio, titanico per lunghezza e precarietà
di mezzi, non arriva ad assumere il tono epico che meriterebbe. Oltretutto
il film, divertente ma con ritmi e tematiche troppo sofisticate ed
adulte, non si presta molto all'orda di pubblico infantile che ormai ogni
week end affolla immancabilmente le sale per seguire Puffi, Cattivissimi,
Monsters e compagnia bella, armati di catinelle di popcorn ed urla
selvagge.
Quanto agli adulti, lo considero più un prodotto di nicchia riservato
agli ammiratori (pur numerosi, ritengo, del geniale regista di Delicatessen),
che un film destinato al pubblico indistinto. L'enorme sala nizzarda che
cinema Variété riserva al film appena uscito, contava la scorsa domenica
nella programmazione pre-serale non più di dieci presenze con me, sintomo
che questo mio nefasto sentore forse non è un'ipotesi eccessivamente
pessimistica.
…E il dispiacere aumenta ancora di più se si pensa al
patrimonio visivo che Jeunet è riuscito a dilapidare, ossia quella mole di
grafici, elenchi, schizzi e mappe con i quali Reif ha accompagnato la
narrazione del suo romanzo, illustrando la vicenda grazie a una singolare
impaginazione che per certi versi assomiglia a una graphic novel. In tal senso,
Jeunet prende in prestito il materiale originale e lo fa suo, personalizzandolo
soprattutto dal punto di vista estetico formale. In effetti, la sua mano si
vede, ma questo non è sufficiente a garantire al film una solidità visiva. Le
soluzioni stilistiche e le scelte di messa in quadro fanno parte del
campionario al quale il regista ci ha da tempo abituato, per cui si assiste a uno
spettacolo che ha il gusto del già visto, al quale nemmeno il contributo
stereoscopico e la pregevolezza fotografica della confezione servono per alzare
l’asticella oltre la soglia della sufficienza.
…Gli
stilemi registici di Jeunet ci sono tutti, dalla ripresa a piombo sul canale,
ai movimenti di camera ad angolo retto, dalle sovrimpressioni, all’uso
(esagerato in questo caso) della voce fuori campo, ma provengono tutti da film
passati, tanto da divenire un compendio del Jeunet che fu. Si ha quasi
l’impressione che il suo talento sconfinato sia stato imbrigliato e tenuto a
freno da logiche produttive perverse che volevano un prodotto da franchising
burtoniano.
La
storia pecca inoltre di eccessiva ingenuità, il viaggio di T.S. è quasi del
tutto privo di ostacoli e soprattutto di pericoli, cosa che potrebbe
addirittura mettere in pericolo quel valore iniziatico e ammonitivo che un film
per ragazzi dovrebbe sempre avere. Il bambino prende treni merci come un
clandestino, fa l’autostop, cammina da solo per le strade d’America e incontra
solamente personaggi un po’ svitati ma tranquilli e soprattutto buoni. Non si
sente mai il pericolo incombente, non si sta in apprensione per un bimbo
piccolo e fragile che potrebbe subire chissà quali brutte disavventure. Tutto
scorre liscio, o quasi, togliendo fascino ad una storia che poteva avere enormi
potenzialità.
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