martedì 30 giugno 2015

Whiplash – Damien Chazelle

sguardi e potere, in sintesi.
un ragazzino vuole emergere nel suonare la batteria, non sa di quante spine e croci è lastricata la strada.
alla fine riesce, ma a che prezzo.
intanto c'è il rapporto maestro/aguzzino - allievo/vittima, tutto il resto sono solo lontani satelliti.
nella sintesi di Fofi è un film di destra.
il maestro è anche troppo ripetitivo, e cattivo, ma è la sua natura,.
non è un film memorabile, ma si può vedere - Ismaele







Perché vederlo
Il film ha il pregio di una regia sicura, ferma, che anche quando deve esagerare lo sa fare con classe, e non ha paura di niente: ralenti, dettagli o primissimi piani che siano, risultano tutti elementi coerenti con il film, indipendentemente dall'enfasi che esprimono. Si ha la sensazione che tutto quello che succede nel film sia pensato per funzionare così, e così funzioni. È raro in assoluto, ma nel primo lungometraggio di un trentenne è davvero stupefacente. J.K. Simmons è uno dei più grandi caratteristi di Hollywood e qui riesce a passare da confidente ad aguzzino nel giro di uno sguardo, e fa fisicamente paura anche al pubblico. Miles Teller per contrasto è un anaffettivo impeccabile, e comunica tutto con pochissimo, distinguendosi da molti suoi coetanei. Il film ha decisamente ritmo ed è fotografato con stile.
Perché non vederlo 
In tutto Whiplash, se si esclude la relazione tra i due protagonisti, non c’è niente di credibile. Il modo in cui gli studenti interagiscono tra loro, la musica che fanno, la musica che suona il docente severissimo quando lo si vede al piano in un bar, le modalità didattiche, la reazione degli allievi, i modelli musicali che non vanno oltre gli anni cinquanta, le torture fisiche e psicologiche, il sangue, il dolore, gli insulti: tutto quello che nel film ha a che fare con la musica non ha niente a che vedere con la musica. Non si fa nemmeno mai riferimento al suono, all’espressione, ma sempre a dati numerici, atletici, come andare veloci, stare a tempo, non correre, non stare indietro, vincere o perdere un concorso. È un’impostazione che serve al cuore del film, ma dopo un po’ si ha l’impressione di essere presi in giro.
In sostanza il film fa capriole stupende per raccontare una storia piccola che vive all’oscuro dell’ambiente in cui si svolge. Anche l’empatia nei confronti dei personaggi è sostanzialmente esclusa, vista l’eccentricità secca dei due, di cui quasi niente sappiamo se non che sono così, soli al mondo e cattivi (ok, me lo segno).
Il film ha poi una tendenza alla bellezza delle immagini che diventa gusto per la calligrafia degli infiniti momenti drammatici, dando a parecchie scene un tono grave che dopo un po’ sfinisce. In tutto il film, dall’inizio alla fine, non c’è un momento di ironia o leggerezza: niente, né nella scrittura né nello stile né nella recitazione. Non c’è, in poche parole, vita. C’è il rapporto morboso, c’è l’ossessione, c’è la voglia di riscatto, ma è sospesa nel vuoto di una teca perfetta che non ha niente intorno. Di conseguenza Whiplash risulta sì frizzante ma anche futile, un po’ come un assolo troppo lungo.

…E' come se Chazelle puntasse i riflettori su di un ideale in nome del quale il finale - concepito come catarsi - dirà poi che ha avuto ragione Andrew a essersi sentito superiore a tutti, ad aver rinunciato (non senza rigurgiti d'infelicità) a una vita privata. Sembra quasi che Chazelle si sia lasciato prendere la mano, forse non comprendendo la reale portata di quello che arrivava a sostenere. La sensibilità artistica non ha bisogno di disciplina come il virtuosismo: ma se, tra due talenti, ve ne fosse uno che meritasse in qualche modo di venire idealizzato, sarebbe quello dell'artista, non quello del virtuoso. Invece, "Whiplash" premia proprio il narcisismo autocompiaciuto del virtuoso. E a trionfare acriticamente, nel pirotecnico finale di "Whiplash", è la vanità del successo: un'ossessione e quanto in essa c'è di effimero. Un catartico tripudio a uso e consumo del bisogno sempre vivo dello spettatore di identificarsi con un modello vincente.

...Quello che il racconto di una trama piena di colpi di scena una volta tanto davvero imprevedibili (altro merito clamoroso del film) non dice è però l'ardore con il quale questo cineasta di 30 anni coniughi esigenze commerciali e ricerca di un cinema personale, filmando quasi tutto il suo film da molto vicino per cogliere sudore e fiatone, escoriazioni della pelle e sangue che ne fuoriesce (gli effetti sonori sembrano quelli di un film dell'orrore). Con grande intelligenza la difficoltà d'approccio ad uno strumento solitamente poco celebrato (la batteria) e un genere non amato dal grande pubblico (il jazz) sono stemperate dai più ruffiani montaggi d'allenamento e titanici scontri. Magnificando la portata della storia e facendone una lotta tra punti di vista sulla vita (come si capisce dal dialogo a tavola con la famiglia) Whiplash facilmente eleva il proprio discorso al di sopra delle contingenze trattate, per affrontare i massimi sistemi. Non temendo di esagerare spinge il suo protagonista al massimo dopo averlo fatto partire dal minimo (due assoli di batteria ben diversi aprono e chiudono il film), rifiutando di piegarsi alla morale buonista familiar/sentimentale imperante che vorrebbe mettere gli affetti prima di ogni cosa.
Commovente per qualsiasi amante della musica la precisione con la quale Whiplash esegue le parti musicali, tarando l'abilità degli strumentisti a seconda di chi stia suonando (in alcuni casi a livello maniacale), scegliendo le partiture e le soluzioni meno commerciali (non ci sono brani realmente famosi al di fuori della cerchia degli amanti) per non portare mai il jazz allo spettatore ma lasciare che accada il contrario, mantenendo così un'integrità e una serietà da applausi.

Nessun commento:

Posta un commento