mercoledì 17 giugno 2015

Amore tossico - Claudio Caligari

Claudio Caligari non solo segue, ma fa un film vero con alcuni ragazzi e ragazze tossici (e attori).
ci si diverte anche, però di fondo è un film tragico, in un crescendo drammatico che non lascia scampo, tutto traballa e si sfascia a causa della droga, quei ragazzi così simpatici, sembra di conoscerli, almeno un po', vivono alla ricerca dei soldi e del buco in vena. 
Claudio Caligari racconta come è stato girato il film, le difficoltà con gli attori e quelle legali, e le vicissitudini al festival di Venezia e merita davvero ascoltare le sue parole - Ismaele







a metà strada tra il documentario distaccato, il ritratto fedele di un'epoca e un sottogruppo sociale e il piccolo dramma-denuncia. Il film interessa, avvince, diverte, intristisce e sciocca finché si lasciano i protagonisti liberi di esprimersi con il loro gergo, nel loro ambiente, alla ricerca della dose e senza una finalità precisa. Poi, quando il film prende forzatamente la piega del dramma, allora lo schema della naturalezza e della simpatia (intesa come filo empatico che lega lo spettatore all'opera) salta: quando si schizza il sangue sulla tela per fare un quadro di "vita", quando si muore ai piedi del monumento di Pasolini, quando si viene freddati dalla polizia come in Accattone (1961, sempre di Pasolini), allora alcune delle più note critiche a questo film colgono nel segno.

In quegli anni Ottanta un film come Amore tossico rappresentava una sorta di residuo, di scheggia resistente, in un orizzonte che si faceva ludico e ovattato e in cui il cinema cominciava a tendere verso l’edulcorato e il politicamente corretto. In tal senso il film di Caligari è uno squarcio nella tela, un urlo tra la spazzatura, una squallida morte ad Ostia davanti al monumento a Pasolini.
Raccontando la vita quotidiana di ragazzi ridiventati sottoproletari per potersi fare costantemente e ossessivamente di eroina, Caligari metteva in scena il radicale spostamento di prospettiva che si cominciava a percepire tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta: la droga come utopia annichilente, come l’interezza assoluta cui dedicare ogni momento della propria vita.
Particolarmente significativo è infatti l’inizio in medias res di Amore tossico, in cui il gruppo capitanato da Cesare – il protagonista del film – è impegnato nei pressi del lungomare di Ostia in una spasmodica ricerca prima del denaro necessario per acquistare delle dosi, poi dello spacciatore di turno, quindi degli ingredienti necessari per farsi, in un crescendo emotivo e nichilista che trova il suo compimento nell’atto stesso dell’iniezione. Con solidissima abilità di metteur en scène, Caligari appronta questo incipit lavorando in direzione del climax, così come un regista americano avrebbe fatto con un omicidio o una rapina in un gangster movie. Questo perché, a lato di un realismo e di una crudezza estremi, in Amore tossico non si perde mai di vista la giustezza della messa in scena, la perfetta e naturale costruzione dei movimenti di macchina, in particolare delle panoramiche, attraverso le quali Caligari fa muovere anche con eleganza i suoi personaggi…





2 commenti:

  1. Visto al cinema, allora, seduta in prima fila, lo ricordo ancora. Tragico come dici tu. Interessante rivedere oggi quello che fu allora. Una sorta di macchina del tempo ;)

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