Sergei Parajanov (o Paradzanov) è un regista russo del novecento, che ha fatto un film su Sayat Nova, uno di quei film che non si possono raccontare.
e questa colpa, fare un film di poesia e bellezza, Sergei Parajanov l'ha pagata a caro prezzo.
è un film unico, guardatelo, aprite quella porta, come dice Martin Scorsese - Ismaele
…ecco le parole di Scorsese: “Guardare Il colore del melograno, o Sayat Nova, di Sergej Paradžanov è come aprire una porta ed entrare in
un’altra dimensione dove il tempo si è fermato e la bellezza si manifesta senza
costrizioni. A un primo livello di lettura, il film narra la vita del poeta
armeno Sayat Nova. Ma è soprattutto un’esperienza cinematografica dalla quale
si esce recando con sé immagini, reiterate movenze espressive, costumi,
oggetti, composizioni, colori. Sayat Nova visse nel Settecento, ma le immagini
e i movimenti del film sembrano venire dal medioevo o da tempi ancora più
antichi: i tableaux cinematografici di Paradžanov sembrano intagliati nel legno
o nella pietra e i colori paiono essersi materializzati naturalmente dalle
immagini nel corso dei secoli. È un film assolutamente unico. Sognavamo da
molti anni di vedere Sayat Nova nella
forma originariamente voluta da Paradžanov”.
…Il film è incentrato sulla vita di Sayat-Nova, grande
poeta armeno del Settecento. Parajanov, nella concezione stessa del film,
esprime una riflessione teorica sulla biografia di un’artista al cinema,
scegliendo una via inedita, non una storia romanzata, drammatizzata della vita
o un’agiografia, non un film che rilegge la biografia di un autore attraverso
la sua opera, almeno non direttamente. Parajanov ha composto l’illustrazione di
un mondo pittorico che scaturisce dalla poesia di Sayat-Nova, la sua visualizzazione
in immagini. La fattura pittorica si esprime in una tavolozza cromatica dove i
colori spesso strasbordano, sconfinano e si diffondono. Il rosso del succo
delle melagrane che imbibisce un telo, il sangue che sgorga dei montoni
sacrificati, il succo dell’uva pigiata, le tinture dei tessuti, il diffondersi
dei fluidi spremuti e aspersi. Ma sono strizzati anche i libri antichi,
pressati e poi aperti, disseminati sui tetti, sfogliati dal vento: la poesia
viene estratta dalle pagine ingiallite, fatta sgorgare e diffusa nell’aria….
…Il ritmo è lento, difficile ormai per
le nostre abitudini, ma la scrittura è dedicata non agli addetti ai lavori, bensì
all’umanità intera. Nascita, morte, passione, scelte, poesia, spiritualità,
paura, vengono raccontate senza soluzione di continuità attraverso una
narrazione intuitiva per nulla didascalica che non illumina tutto lasciando
nella lettura delle zone d’ombra inintelligibili o ambigue ma che, alla fine,
risulta essere di una semplicità disarmante. Il regista dimostra un profondo
rispetto per lo spettatore e la sua intelligenza, considerandolo in grado, ma
soprattutto lasciandolo libero, di leggere le immagini secondo la sua personale
sensibilità e intuito. Forse,
per lasciarci trasportare nel dominio della poesia e dei misteri dell’umanità,
Paradžanov ci invita a sospendere per un attimo l’azione chiarificatrice e
prepotente della ragione: come a voler dire che in queste remote regioni
dell’essere gli occhi che servono per orientarsi, sono bendati…
Se i funzionari della critica cinematografica sovietica
bollavano di calligrafismo ed estetismo i filmTarkovskij, ci possiamo immaginare come nei giudizi sul
cinema di Paradzanov abbondassero termini quali «ermetismo ed estetismo decadente». In effetti, è evidente la vicinanza tra il
cinema tarkovskiano e quello di Paradzanov,
quamto meno nel periodo in cui uscì questo Il colore del melograno, successivo al capolavoro del regista russo Andrej Rublëv (1966),
ma anche al proprio precedente Le ombre degli avi dimenticati (1964).
Come Tarkovskij,
anche Paradzanov predilige - in maniera perfino più
radicale - un cinema il cui fulcro sia il montaggio "interno"
all'inquadratura, nel quale ogni sequenza si traduce in una composizione
pittorica, dai risvolti simbolici, che fuoriescono dalle posizioni, dai
movimenti, dai colori, dalle musiche, dai rumori e dalle parole, che raramente
sono recitate dai personaggi e più spesso piovono declamate dal cielo….
È stato William Morris a dire che sarà la bellezza a
salvarci. Chi volesse incominciare a salvarsi attraverso la bellezza può
guardare Sayat Nova-Il colore del melograno, girato nel 1968 da Sergej Paradžanov. Dire guardare è impreciso e riduttivo, ma per Sayat Nova ogni termine è impreciso e riduttivo. Ne
parliamo come di un film ma in realtà è puramente incidentale che quest’opera
usi come supporto la pellicola. Ne parliamo come di un’opera cinematografica
quando in realtà si tratta di una sacra rappresentazione, di un poema visivo,
di una finestra spalancata sull’abisso dell’immaginazione: l’immaginazione che
ci connette ai livelli più alti e sconosciuti della coscienza e della
conoscenza…
…Non stupisce che un film del genere, in cui domina
una componente spirituale e un approccio surreale alle tradizioni culturali del
popolo armeno, sia dispiaciuto, alla sua uscita, ai burocrati e ai potenti di
quella che allora (1968) si chiamava URSS. Il governo sovietico (che obbligò
tra l’altro il regista a modificare il titolo originario “Sayat Nova” in “Il
colore del melograno”) esercitò infatti notevoli pressioni sull’artista
Paradjanov, accusandolo di aver deviato enormemente dai canoni del realismo
socialista, per poi condannare anche l’uomo a cinque anni in un campo di
riabilitazione con l’accusa di omosessualità e furto. Contro la condanna si
mossero alcuni artisti e colleghi registi, e Paradjanov fu liberato, ma gli fu
negato, per alcuni anni, di dirigere altri film…
…Think Holy Mountain as directed by Pasolini and you
may be getting close. The result, in theory, is boring in an ultimately artsy
way, offering no conventional insight into this poet's life and work, but the
images are so striking and poetic that they nevertheless result in a unique and
astonishing cinematic experience. It's like walking through a museum of
paintings that move.
da
qui
c'è un'intervista dove Paradzhanov dice di essere rimasto molto colpito dai film di Pasolini: quelli a colori, girati in posti come lo Yemen... Le mille e una notte, Medea, penso anche il Decameron. In effetti, sì, i colori, certe inquadrature; però Paradzhanov deve molto anche alle miniature medievali, non solo le nostre ma anche quelle persiane e indiane. Ho cercato di guardare tutto il possibile, penso di esserci andato molto vicino; a me piacciono anche i suoi primi film "sovietici", era bravo anche prima di questo meraviglioso cambio di stile.
RispondiEliminaTi lascio un ricordo: a Milano, per La fortezza di Suram, eravamo in quattro spettatori paganti
:-)
oggi non lo lascerebbero nemmeno iniziare, un film come questo. E' un paradosso, me ne rendo conto, ma nel 1966 in Unione Sovietica c'era chi riusciva a girare Andrej Rubliov e poi c'è stato anche Paradzhanov, (e da noi c'erano Petri e Pasolini, e tanti altri...)
l'altra sera, per "Citizenfour" eravamo in due :(
Eliminaricordo che anni fa fuoriorario aveva trasmesso praticamente tutto di Paradzhanov, l'avevo scoperto lì.
ogni epoca ha il cinema che si merita, e meno male che pazzi come Scorsese contribuiscono al restauro dei film di pochi anni fa, prima dell'estinzione.