martedì 21 aprile 2015

Figlio di nessuno - Vuk Ršumovic

una straordinaria opera prima, una parabola sull'umanità, senza salvarla.
la storia di un bambino selvaggio che incontra di tutto, un compagno che lo protegge, un educatore che gli vuole bene davvero, dei compagni che lo maltrattano, l'amicizia di una bambina, la guerra.
era meglio coi lupi, senza dubbio.
l'attore bambino è bravissimo, e tutti sono convincenti.
il film non ha bisogno di tante parole, il regista non fa prediche, solo mostra.
un po' Truffaut, un po' Herzog, ma anche Algernon, in qualche modo, Haris sopratutto.
è presente solo in una decina di sale,  non perdetevelo, non ve ne pentirete - Ismaele







…Una volta tanto che un film così, fuori dalle grandi correnti del mercato, ce la fa ad arrivare nei cinema italiani, è il caso di non perderselo…

…Il dissidio al centro di Figlio di nessuno infatti, non è tra natura e cultura, bensì tra identità naturale e identità etnica, tra la wilderness lussureggiante e quella di un focolaio di conflitti etnico-religiosi pronti a deflagrare. Paradossalmente (ma non troppo) dunque, il percorso di crescita di Pućke verso le regole e il linguaggio della così detta civiltà, assume il valore di una “mala educazione”, guadagnata attraverso l’abbandono delle regole del vivere secondo natura per abbracciare le ben più spietate e ingiuste leggi umane.
Vuk Ršumović ci immerge nel percorso del protagonista facendone una sorta di esperienza sensoriale, galvanizzata da una macchina da presa spesso ondeggiante e da numerosi dettagli per nulla casuali, illuminati da una notevole plasticità estetica. Si tratta di scelte registiche che accompagnano perfettamente la graduale de-formazione di Pucke, contribuendo a creare una forte tensione emotiva e amplificando l’imprevedibilità delle azioni del personaggio, il cui mistero pare sempre sul punto di scardinare le maglie di una narrazione apparentemente classica.
Figlio di nessuno infatti, pur sposando nell’insieme lo schema classico del bildungsroman, si muove proprio sul confine tra classicità e singolarità della propria metafora sulla guerra, le cui ragioni non sono affatto “naturali” e persino ad un branco di lupi apparirebbero del tutto incomprensibili.

A rendere particolarmente efficace la storia di questo ragazzo selvaggio contribuisce lo stile con cui il regista alla sua opera prima sceglie di raccontarla e che rivela un narratore maturo, al tempo stesso crudo e raffinato, capace di concentrare l’attenzione su un personaggio altamente simbolico e universale in un contesto molto realistico e localizzato: la morte dell’infanzia, delle illusioni e del concetto stesso di umanità in un vortice di odio e insensata sopraffazione, racchiusa tra due spari che spezzano l’armonia e il silenzio della natura, matrigna benevola in un mondo crudele. E’ un modo intelligente e coinvolgente di raccontare un conflitto devastante e ancora troppo assente dal cinema, attraverso gli occhi e il volto del suo straordinario protagonista, il quindicenne debuttante Denis Murić, che sembra a tratti uscito da America di Franz Kafka, il cui innocente Karl Rossman ricorda molto da vicino.

No One's Child è un debutto cinematografico di grande maturità e purezza etica ed estetica, un racconto in tre atti quasi muto che utilizza la luce e l'ombra come potenti strumenti narrativi, una struttura perfettamente circolare che inizia e finisce con uno sparo e si articola intorno a un paio di scarpe: quelle che Haris rifiuta, accetta, scambia e di nuovo rifiuta, come maschere sempre inadeguate a definire il suo ruolo nel mondo.

La memoria va a Il ragazzo selvaggio di François Truffaut e L’enigma di Kaspar Hauser di Werner Herzog. E, nel finale, quando la guerra nell’ex Jugoslavia infuria e Haris, musulmano, è costretto a rientrare in Bosnia, ad arruolarsi, a imparare a sparare, ritrovandosi immerso nel fango e nella neve, rotolando in essi verso una destinazione quasi sicuramente tragica, il fantasma di Mouchette di Robert Bresson riappare in tutta la sua concretezza. Tutto sembra ricominciare nel cuore di una foresta abitata da uomini e lupi, e da un dolore che cancella la speranza.

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