giovedì 23 aprile 2015

Sayat Nova (Il colore del melograno) - Sergei Parajanov

Sayat Nova è un poeta armeno del settecento.
Sergei Parajanov (o Paradzanov) è un regista russo del novecento, che ha fatto un film su Sayat Nova, uno di quei film che non si possono raccontare.
e questa colpa, fare un film di poesia e bellezza, Sergei Parajanov l'ha pagata a caro prezzo.
è un film unico, guardatelo, aprite quella porta, come dice Martin Scorsese  - Ismaele








ecco le parole di Scorsese: “Guardare Il colore del melograno, o Sayat Nova, di Sergej Paradžanov è come aprire una porta ed entrare in un’altra dimensione dove il tempo si è fermato e la bellezza si manifesta senza costrizioni. A un primo livello di lettura, il film narra la vita del poeta armeno Sayat Nova. Ma è soprattutto un’esperienza cinematografica dalla quale si esce recando con sé immagini, reiterate movenze espressive, costumi, oggetti, composizioni, colori. Sayat Nova visse nel Settecento, ma le immagini e i movimenti del film sembrano venire dal medioevo o da tempi ancora più antichi: i tableaux cinematografici di Paradžanov sembrano intagliati nel legno o nella pietra e i colori paiono essersi materializzati naturalmente dalle immagini nel corso dei secoli. È un film assolutamente unico. Sognavamo da molti anni di vedere Sayat Nova nella forma originariamente voluta da Paradžanov”.

Il film è incentrato sulla vita di Sayat-Nova, grande poeta armeno del Settecento. Parajanov, nella concezione stessa del film, esprime una riflessione teorica sulla biografia di un’artista al cinema, scegliendo una via inedita, non una storia romanzata, drammatizzata della vita o un’agiografia, non un film che rilegge la biografia di un autore attraverso la sua opera, almeno non direttamente. Parajanov ha composto l’illustrazione di un mondo pittorico che scaturisce dalla poesia di Sayat-Nova, la sua visualizzazione in immagini. La fattura pittorica si esprime in una tavolozza cromatica dove i colori spesso strasbordano, sconfinano e si diffondono. Il rosso del succo delle melagrane che imbibisce un telo, il sangue che sgorga dei montoni sacrificati, il succo dell’uva pigiata, le tinture dei tessuti, il diffondersi dei fluidi spremuti e aspersi. Ma sono strizzati anche i libri antichi, pressati e poi aperti, disseminati sui tetti, sfogliati dal vento: la poesia viene estratta dalle pagine ingiallite, fatta sgorgare e diffusa nell’aria….

Il ritmo è lento, difficile ormai per le nostre abitudini, ma la scrittura è dedicata non agli addetti ai lavori, bensì all’umanità intera. Nascita, morte, passione, scelte, poesia, spiritualità, paura, vengono raccontate senza soluzione di continuità attraverso una narrazione intuitiva per nulla didascalica che non illumina tutto lasciando nella lettura delle zone d’ombra inintelligibili o ambigue ma che, alla fine, risulta essere di una semplicità disarmante. Il regista dimostra un profondo rispetto per lo spettatore e la sua intelligenza, considerandolo in grado, ma soprattutto lasciandolo libero, di leggere le immagini secondo la sua personale sensibilità e intuito. Forse, per lasciarci trasportare nel dominio della poesia e dei misteri dell’umanità, Paradžanov ci invita a sospendere per un attimo l’azione chiarificatrice e prepotente della ragione: come a voler dire che in queste remote regioni dell’essere gli occhi che servono per orientarsi, sono bendati…

Se i funzionari della critica cinematografica sovietica bollavano di calligrafismo ed estetismo i filmTarkovskij, ci possiamo immaginare come nei giudizi sul cinema di Paradzanov abbondassero termini quali «ermetismo ed estetismo decadente». In effetti, è evidente la vicinanza tra il cinema tarkovskiano e quello di Paradzanov, quamto meno nel periodo in cui uscì questo Il colore del melograno, successivo al capolavoro del regista russo Andrej Rubl­ëv (1966), ma anche al proprio precedente Le ombre degli avi dimenticati (1964). Come Tarkovskij, anche Paradzanov predilige - in maniera perfino più radicale - un cinema il cui fulcro sia il montaggio "interno" all'inquadratura, nel quale ogni sequenza si traduce in una composizione pittorica, dai risvolti simbolici, che fuoriescono dalle posizioni, dai movimenti, dai colori, dalle musiche, dai rumori e dalle parole, che raramente sono recitate dai personaggi e più spesso piovono declamate dal cielo….

È stato William Morris a dire che sarà la bellezza a salvarci. Chi volesse incominciare a salvarsi attraverso la bellezza può guardare Sayat Nova-Il colore del melograno, girato nel 1968 da Sergej Paradžanov. Dire guardare è impreciso e riduttivo, ma per Sayat Nova ogni termine è impreciso e riduttivo. Ne parliamo come di un film ma in realtà è puramente incidentale che quest’opera usi come supporto la pellicola. Ne parliamo come di un’opera cinematografica quando in realtà si tratta di una sacra rappresentazione, di un poema visivo, di una finestra spalancata sull’abisso dell’immaginazione: l’immaginazione che ci connette ai livelli più alti e sconosciuti della coscienza e della conoscenza…

Non stupisce che un film del genere, in cui domina una componente spirituale e un approccio surreale alle tradizioni culturali del popolo armeno, sia dispiaciuto, alla sua uscita, ai burocrati e ai potenti di quella che allora (1968) si chiamava URSS. Il governo sovietico (che obbligò tra l’altro il regista a modificare il titolo originario “Sayat Nova” in “Il colore del melograno”) esercitò infatti notevoli pressioni sull’artista Paradjanov, accusandolo di aver deviato enormemente dai canoni del realismo socialista, per poi condannare anche l’uomo a cinque anni in un campo di riabilitazione con l’accusa di omosessualità e furto. Contro la condanna si mossero alcuni artisti e colleghi registi, e Paradjanov fu liberato, ma gli fu negato, per alcuni anni, di dirigere altri film…

…Think Holy Mountain as directed by Pasolini and you may be getting close. The result, in theory, is boring in an ultimately artsy way, offering no conventional insight into this poet's life and work, but the images are so striking and poetic that they nevertheless result in a unique and astonishing cinematic experience. It's like walking through a museum of paintings that move.
da qui



2 commenti:

  1. c'è un'intervista dove Paradzhanov dice di essere rimasto molto colpito dai film di Pasolini: quelli a colori, girati in posti come lo Yemen... Le mille e una notte, Medea, penso anche il Decameron. In effetti, sì, i colori, certe inquadrature; però Paradzhanov deve molto anche alle miniature medievali, non solo le nostre ma anche quelle persiane e indiane. Ho cercato di guardare tutto il possibile, penso di esserci andato molto vicino; a me piacciono anche i suoi primi film "sovietici", era bravo anche prima di questo meraviglioso cambio di stile.
    Ti lascio un ricordo: a Milano, per La fortezza di Suram, eravamo in quattro spettatori paganti
    :-)
    oggi non lo lascerebbero nemmeno iniziare, un film come questo. E' un paradosso, me ne rendo conto, ma nel 1966 in Unione Sovietica c'era chi riusciva a girare Andrej Rubliov e poi c'è stato anche Paradzhanov, (e da noi c'erano Petri e Pasolini, e tanti altri...)

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    1. l'altra sera, per "Citizenfour" eravamo in due :(

      ricordo che anni fa fuoriorario aveva trasmesso praticamente tutto di Paradzhanov, l'avevo scoperto lì.

      ogni epoca ha il cinema che si merita, e meno male che pazzi come Scorsese contribuiscono al restauro dei film di pochi anni fa, prima dell'estinzione.

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