giovedì 21 dicembre 2023

Adagio – Stefano Sollima

dopo ACAB e Suburra, Adagio chiude la trilogia di Stefano Sollima sulla Roma meno turistica.

Francesco Di Leva e Pierfrancesco Favino erano insieme in L'ultima notte di Amore, entrambi poliziotti, in Adagio Favino diventa un delinquente.

i tre delinquenti Daytona, Il cammello, Polniuman sono a fine carriera, ma il loro è un mestiere nel quale godersi la pensione è molto difficile.

il film inizia con una panoramica della città, dall'alto non si sa cosa avviene a livello terra.

tutto accade in poche ore, la prima parte è buia, notturna, poi arriva un mattino luminoso, la seconda parte avviene durante il giorno, la storia è nerissima, due poliziotti corrotti e i tre delinquenti ex amici, un ragazzino che si trova in mezzo a una storia di ricatti, con una politica criminale e una polizia con qualche scheggia impazzita, deviata, al servizio di un potere corrotto e oscuro, in una lotta senza regole. 

come nel film di Petzold un incendio si avvicina, assedia la città, piove cenere.

e poi ci sono quei ragazzini che si incontrano al commissariato, figli di gente dimenticabile, loro saranno il futuro.

ma questà è un'altra storia.

un film che merita, ottimi attori e una sceneggiatura che regge bene al caos di quella maledetta giornata.

buona (criminale) visione - Ismaele


 

 

 

Il cinema di genere più riuscito deve in qualche modo sublimare se stesso, e Sollima non ha paura di "go big or go home"; soprattutto Favino è trasfigurato in una fisicità assieme viscida e ruvida, irriconoscibile sotto una calotta cranica calva che gli riscrive il rapporto tra testa e corpo. Affiancata dal lavoro sulla lingua più vero del vero, risulta in una prova eccellente perfino per la star più luminosa del nostro cinema, che peraltro è riuscito nel giro di un anno a completare una sua personale trilogia di straordinari film sulle città, visto che la Roma di Adagio va a inserirsi tra la Napoli di Nostalgia e la Milano di L'ultima notte di amore.
Il resto è un mix di novità - il volto fresco del protagonista Gianmarco Franchini, all'esordio in mezzo a nomi pesanti senza farsi schiacciare, le belle musiche dei Subsonica - e di conferme di chi un certo genere crime dell'ultimo decennio ha contribuito a crearlo: la fotografia di 
Paolo Carnera, le scenografie sempre speciali di Paki Meduri, e la solida sceneggiatura di Stefano Bises, che scrive a quattro mani con Sollima. Insieme fanno del cinema sporco, sfacciato e consapevole, tutte cose di cui il genere a cui hanno scelto di dedicarsi ha - alle nostre latitudini - un disperato bisogno.

da qui

 

…Che in Adagio la morte e la distruzione siano le forze primarie ci viene suggerito sin dalle prime inquadrature, con la vista su una Roma notturna illuminata da una serie di gravi incendi sullo sfondo e da una serie di black out che oscurano ogni cosa. In questo contesto si muovono tre generazioni di personaggi: i vecchi, glorie passate della criminalità ormai ritiratisi nell’ombra e desiderosi di rimanerci; i nuovi criminali, uomini adulti con l’ambizione di conquistare ciò che li circonda; e infine i giovani, piccoli teppistelli con giusto qualche esperienza nello spaccio, spaventati e tutt’altro che certi di voler far parte di quel mondo.

Queste tre generazioni si muovono dunque secondo logiche di attacco, difesa o fuga, sono prede e predatori chiamati all’azione nella giungla di cemento che è Roma. Sollima li segue con attenzione, senza mai avvicinarsi troppo e permettendo così agli attori di cercare e trovare nuovi modi di esprimersi con il corpo all’interno delle immagini. C’è dunque molta istintività e fisicità all’interno di Adagio, che porta però tale titolo in quanto si muove calmo tra le vicende di suoi personaggi e i rapporti tra di loro. L’incidente scatenante che mette in moto il film sembra infatti più un pretesto per chiamare all’azione i suoi protagonisti, concentrandosi poi su di loro, il loro vissuto e le loro ferite interiori…

da qui

 

“Daytona”, “Il cammello”, “Polniuman” sono tre personaggi dolenti, finiti, e ognuno di loro reagisce al loro destino in modo diverso: Servillo, Favino e Mastandrea restituiscono in maniera convincente le sfaccettature dei loro personaggi che hanno sui volti i segni di un’epoca di sangue e morte. Le loro interpretazioni, come quella di Adriano Giannini in un ruolo che non vi sveleremo, e la maestria di Sollima nel dirigere le loro storie sullo sfondo di una Roma distopica, tra fuoco e cenere, sovraffollata, caotica e sporca, immagini potentissime, non bastano a risollevare una trama debole e prevedibile.

da qui


 



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