domenica 10 dicembre 2023

Il male non esiste – Ryūsuke Hamaguchi

un film che non ti aspetti, Ryūsuke Hamaguchi colpisce sempre.

una piccola comunità verrà "assaltata" da un'impresa che vuole costruire un glamping (glamour camping), danneggiando quella comunità.

il procedimento è sempre lo stesso, si fa finta di confrontarsi con la popolazione, mandando due ignoranti sicari a raccogliere i pareri della popolazione, e spiegare loro quanto ci guadagneranno, e magari a prendere come consulenti gli oppositori al progetto (tentativo di corruzione, chissà...).

quel piccolo paradiso assediato dal mondo degli affari e dello sfruttamento, e dai cacciatori, deve difendersi per sopravvivere.

Takumi e Hana, padre e figlia, vivono in armonia con la natura, e la natura con loro, Hana è una ragazzina che ama la sua terra, e si stupisce della bellezza.

il film è diviso idealmente in tre parti, la parte bucolica, il corteggiamento dell'impresa e poi la straordinaria conclusione che non ti aspetti.

il film è in una quarantina di sale, non perdetevelo, la conclusione vi stupirà, e non poco.

buona (resistente) visione - Ismaele

ps 1: è sempre la stessa strategia, penso alla Tav, a una pista di sci o a  una foresta di pale eoliche, e a mille altre situazioni di aggressione e rapina del territorio, è uno schema prevedibile, in tutto il mondo, provare a convincere, prima di violentare, se non riesci a convincere si violenta, e basta, ci sono le carte a posto, le autorizzazioni, la polizia, non potranno far niente, resistere sarà inutile.

ps 2: Il male non esiste è anche il titolo di un ottimo film iraniano del 2022, poca fantasia hanno i distributori italiani per i titoli?

 



dice il regista:

Può dirci qualcosa del finale? È una conclusione bellissima in cui ognuno può vedere qualcosa di diverso. Voleva lasciare che lo spettatore si portasse dietro delle riflessioni alla fine del film?

Come regista non penso di voler confondere lo spettatore come per dispetto, ma penso che ciò che bisogna fare è fornire un'esperienza interessante, intensa. Mi sono sempre chiesto cosa mi dà un valore aggiunto nella visione di un film, quando sono io lo spettatore, e penso che sia l'elemento della sorpresa, della confusione. Perché io ho una mia visione delle cose e quando un film la mette in discussione, questa crolla, così come crolla il modo in cui ho visto il mondo fino a quel momento, e questo è per me il massimo intrattenimento che posso avere da un film. Per me il dovere di un regista è fornire allo spettatore questa confusione, lo considero un servizio che fornisco allo spettatore dal punto di vista dell'intrattenimento.

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Film molto lento, meditativo ed enigmatico già a partire dal titolo, Aku wa sonzai shinai è di sicuro molto meno immediatamente godibile delle due precedenti opere di Hamaguchi ma possiede pur sempre un gran fascino segreto che si rivela o si occulta via via che la storia procede, mutando anche in parte le psicologie delle figure messe in scena. Ci sembra essere oltretutto molto in linea con la tradizione classica del cinema giapponese, assolutamente più nella linea Ozu/Mizoguchi che non in quella Kurosawa.  Assolutamente sconsigliato a chi ama solo l’action movie americano.

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Film visivamente e narrativamente rigoroso, che consapevolmente scarnifica l’elemento verbale in favore di quello della rappresentazione ambientale, Il male non esiste si apre a diverse suggestioni, in cui la tematica ambientale è sovrapposta a quella generazionale – col confronto, silenziosamente problematico, tra Takumi e la piccola Hana – e a quella del confronto tra diversi gruppi umani. Il film di Hamaguchi si fa più consapevolmente “divulgativo” e parlato solo nella sequenza dell’assemblea pubblica coi due rappresentanti della compagnia, oltre che nella successiva, ironica scena che mostra gli stessi riportare i dubbi degli abitanti al loro superiore; per il resto, i dialoghi tra Takumi e Hana, e quelli tra gli stessi due impiegati (in cui viene utilizzato anche lo strumento della camera car) danno al non detto e ai silenzi un’importanza almeno pari a quella dell’elemento verbale. Un non detto che, nella fase conclusiva, si carica di toni volutamente onirici, con un irrompere della violenza che era in fondo, anch’esso, tutt’altro che imprevedibile. Uno sviluppo coerente, per un lavoro come quello di Hamaguchi, che ha il merito di caricare della giusta ambivalenza il mondo che mette in scena, riportandolo alla sua complessità. Una complessità e multidimensionalità da accogliere con indubbio favore, per un cinema che stimola la riflessione e rifugge a qualsiasi tentazione da semplicistico pamphlet.

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Evil Does Not Exist è un film di preoccupazioni, confronti e punti di vista: due parti, investitori e locali, devono capire come procedere di pari passo nel presente, dopo essersi resi conto della loro incompetenza, i primi, e aver messo in chiaro le priorità della comunità, i secondi. Ingenuità e consapevolezza continuano a scontrarsi in dialoghi sinceri, che mai nascondono le ragioni dei personaggi e fanno presagire un punto di rottura fin dall’inizio, che si palesa quando il rappresentante del glamping manifesta la sua arroganza credendo di poter provare a diventare un uomo interessante imparando a vivere nella natura…

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Perché non basta poi la redenzione dei due responsabili ai lavori per salvare la flora e la fauna dell’inedito Giappone dell’entroterra incorniciato da Hamaguchi con sensibilità e tatto cinematografico, a nulla serviranno le grida di allarme dei protagonisti quando la piccola Hana viene improvvisamente dispersa nei boschi di Mizubiki, a caccia degli elusivi cervi del luogo. La tragedia, e il cuore di tenebra di un’umanità mai veramente malvagia ma al contempo costantemente pervasa da un istinto (auto)distruttivo, sono dietro l’angolo, e pur nella loro lacerante accoglienza, feriscono lo spettatore con la ruvida violenza dell’ineffabilità dell’animo umano e del suo contraddittorio rapportarsi con la realtà tutta che lo circonda. Nuovo testamento cinematografico di un Hamaguchi inedito e nichilista che non ti aspetti.

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El mal no existe es una película extraña, hipnótica, que no dejará indiferente al público. Puede que haya a quien no le interese las decisiones que toma la película y hacia donde se dirige, sin embargo, no se le puede negar una gran belleza visual y un potente mensaje de respeto a la naturaleza. Puede que esto parezca menor en comparación con la anterior Drive my car, pero, sí se le concede la suficiente atención, El mal no existe acabará recompensado con creces su visionado.

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…Hamaguchi arriva a quel punto in cui il pensiero si dissolve nella percezione e il sentimento si fa sensazione. Ed è una trasformazione dallo stato solido al liquido. Sarà per questo che l’acqua è la figura fondamentale di Il male non esiste, ciò da cui tutto nasce e ciò che va salvaguardato nel miglior modo possibile. Al punto che le stesse immagini del film sembrano farsi liquide. A cominciare dalla sequenza iniziale, quella lunga carrellata che riprende i rami e le chiome degli alberi dal basso verso l’alto, perpendicolarmente. E che suggerisce la sensazione di qualcosa che scorre, come una lenta pioggia che bagna lo schermo. Finché, come ogni corso d’acqua, il regime sa farsi più impetuoso, come in quei camera car che, dopo, aver disegnato panoramiche, precipitano in vorticose carrellate a precedere, come fossero rapide, e che, d’altra parte, sembrano deformare lo spazio fino a proiettarlo nella sfera d’attrazione di qualche buco nero.

Ma più in generale, Hamaguchi si abbandona a un flusso, alla ricerca di un cinema che vive soprattutto di movimenti, ora delicati e leggeri, ora più inconsulti e concitati. E, per contrappunto, di pause, silenzi, momenti di stasi. Secondo il ritmo della vita. E sì, può anche soffermarsi a riconoscere ed elencare piante, fiori, alberi, germogli, piume d’uccello, a indicare il punto di riferimento di un simbolo, che sia una cosa o un nome. È comunque evidente che nel flusso, le cose non sono più chiaramente leggibili e distinguibili. Sarà per questo che molto è tenuto nascosto e appartiene al regno dell’invisibile. Per ellissi (non sapremo mai che fine ha fatto la compagna di Takumi e mamma di Hana, che scorgiamo da alcune foto). O per fuoricampo: i rumori che non hanno corpo (da dove vengono quegli spari?), le inquadrature che tengono celato il punto di osservazione, le scene che giocano di apparizioni e sparizioni. Come in quell’altro superbo movimento di macchina che segue Takumi e lo perde tra il fitto degli arbusti, per poi ritrovarlo poco dopo, con Hana sulle spalle. Comparsa quasi per magia, come uno spirito del bosco. Hana non vuol dire forse “fiore”?

Ma se tutto è in movimento, in divenire, è anche evidente perché il male non esiste. Almeno allo stato naturale, non è l’altro termine di una dualità di principi distinti. Il nero si mescola al bianco nel cuore stesso delle cose. A meno che non sia strappato a forza, in un gesto di violenza gratuita, in una fucilata o nella profanazione indebita di un paesaggio che non ci appartiene. In fondo, è questa l’idea fondamentale di Il male non esiste. Il fatto che “in un certo senso, siamo tutti estranei”, come dice Takumi. Chi più o chi meno. Chi vede nella natura un oggetto o chi un’ingenua e comunque turistica prospettiva di fuga, sarà costretto a farne i conti. Ma anche chi riesce a stabilire una connessione più intima, a trattenere la parola e il respiro, a fermarsi per non intralciare il movimento delle cose. L’idea che l’uomo sia il centro è una semplificazione arrogante. Può solo stare a lato. Oppure sparire nell’indistinto.

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