lunedì 2 maggio 2016

Appena apro gli occhi - Canto per la libertà - Leyla Bouzid

come in Iran, anche in Tunisia la musica è un potente mezzo di critica e insoddifazione, e per questo vanno perseguitati i musicisti.
il film è ambientato a Tunisi, qualche mese prima che Mohamed Bouazizi si desse fuoco e cominciasse la primavera araba, forse l'unica andata bene (l'Egitto, purtroppo è stato sommerso da militari, galera, torture e omicidi, ma questo è un altro discorso).
Farah è una ragazza di 18 anni, brava a scuola, con la passione per la musica.
solo che certi argomenti non si possono cantare, la polizia ascolta tutto, e picchia e spaventa.
riescono a zittire Farah, e la madre...
non dico altro per non togliervi il piacere di scoprire da voi un piccolo gioiellino.
un'opera prima davvero bella, peccato sia solo in una decina di sale in tutta Italia, meno male che c'è qualche pazzo che proietta questo film, grazie anche a lui.
vogliatevi bene, non perdetevelo - Ismaele


ps: se uno, dopo averlo visto, dice carino, lo sfido a duello.






…L’azione si svolge a Tunisi, nell’estate del 2010, a pochi mesi dalla caduta del regime di Ben Ali. Farah (Baya Bedaffar) è una ragazza di 18 anni, radiosa, libera e appassionata. Tutte le sue energie migliori sono profuse nella musica. Farah ha infatti una band, Joujma, composta dall’amica di scuola Inès (Deena Abdelwahed), che cura tastiere ed effetti, Borhene (Montasser Ayari), che scrive i testi e suona l’oud, e altri due ragazzi, Sami (Marwen Soltana) e Ska (Youssef Soltana). Entusiasti, sono passati da cover a canzoni originali che mescolano sonorità e ritmi tradizionali a colori contemporanei, acidi ed elettronici: i testi gridano la rabbia e l’impotenza di un’intera generazione, stretta fra l’incudine di un potere mafioso e oppressivo e il martello di un occidente che lusinga e annega. "Paese mio / terra di cenere", "Appena apro gli occhi / vedo chi si ritira in esilio", "Come un uccello notturno / che cerca di sfuggire all’inevitabile", "Ci chiediamo / che cosa vogliamo scatenare"…
Il film si lascia ricordare anche per la felice sicurezza con cui Leyla Bouzid domina la retorica visiva, alternando fra sequenze tutte girate a macchina a mano, strette e nervose, perlopiù imperniate sul punto di vista di Farah (pur non mancando soggettive ascrivibili alla madre nella seconda parte del film) ed altre in piano sequenza: qui la cinepresa, appoggiandosi a lievi traiettorie dello sguardo, raccoglie la verità di un gioco attoriale che talvolta slitta dalla voce recitante a quella cantante e viceversa, senza mai perdere di intensità nella ricerca della performance pulita. Stiamo parlando, evidentemente, di resa e direzione d’attori, e se è doveroso un plauso incondizionato per le due interpreti principali, entrambe in grado di esprimere un ventaglio ricco e vibrante di sfumature, colpisce in Leyla la capacità di ottenere il massimo di verità dai molti non professionisti presenti, anche nelle sequenze di musica dal vivo, dove tutti gli attori suonano e cantano in presa diretta. Difficile se non impossibile, capire quanto di questa feconda sinergia fra musica e cinema si debba alla qualità del lavoro di scrittura musicale del compositore irakeno Khyam Allami e del paroliere tunisino Ghassan Amami, in entrambi i casi pregevolissimo e messo con intelligenza a sistema dal regista.

Appena apro gli occhi è un film che funziona sulla visione, come dice il titolo stesso che è anche la canzone di Farah. Gli occhi sono quelli dell’esplorazione della vita – vedi la scena in cui Farah fissa il corpo nudo del suo fidanzato dopo il loro primo rapporto – ma anche quelli che permettono di vedere oltre le apparenze. Ma gli occhi sono anche quelli che ti spiano, dei bambini che osservano di nascosto Farah e il compagno che si appartano nei vicoletti stretti della Tunisi vecchia. Un voyeurismo che è anche quello di uno stato pervasivo, che ti controlla, che non ti lascia per un istante.
Buona prova alla sua prima regia per Leyla Bouzid, figlia d’arte, del cineasta Nouri Bouzid.Appena apro gli occhi è un lavoro onesto e sincero, uno sguardo al femminile attraverso l’empatia che si crea con la ragazza protagonista, un documento di un mondo sull’orlo del collasso.

L’universo femminile è rappresentato come una forza dirompente, che tramite le due meravigliose protagoniste, Farah e sua madre Hayet, espone una visione della femminilità in cui l’autocoscienza e l’autodeterminazione non negano ma rinforzano la potenza dell’eros e della corporeità, che in un contesto come quello mostrato dalla Bouzid assumono un valore rivoluzionario. In tal modo la fisicità e la musicalità di Farah la rendono “colpevole” agli occhi del regime per la propria mancanza di limiti. Oltre a quello della regista sulla coppia di protagoniste, ancora più importante è lo sguardo di amore che la madre Hayet rivolge alla figlia, anche se la pienezza di tale sentimento emerge progressivamente, e con esso le sfumature di orgoglio e doloroso rispecchiamento.

Il regime, come si dice, sopporta certe cose come il fumo agli occhi. Specie se, al proposito, canzoni come Appena apro gli occhi parlano di gente piena di problemi, privata del lavoro e del cibo, di uomini “che si ritirano in esilio e attraversano l’immensità dell’oceano in pellegrinaggio verso la morte”. E ancora: “A causa dei problemi del loro Paese le persone perdono il senno alla ricerca di nuovi problemi, diversi da quelli che già conoscono. Vedo persone che si stanno spegnendo. Impregnate del loro sudore, le loro lacrime sono salate, il loro sangue è stato rubato e i loro sogni sono sbiaditi…”.

"Il film è nato da alcune immagini forti che mi appartengono - spiega la regista che vive a Parigi - lo stato poliziesco nel quale sono cresciuta e il rapporto madre-figlia. Per quel che riguarda l'epoca a me interessava raccontare le premesse della rivoluzione, quell'atmosfera di paura e paranoia in cui vivevamo, volevo raccontare come quel contesto potesse distruggere l'energia dei giovani. Ma allo stesso tempo volevo tratteggiare come i tunisini a partire dal dicembre del 2010 avessero cominciato a svegliarsi: le lingue a sciogliersi, i ragazzi a parlare sui social network, le persone a criticare il regime. Per noi si trattava di un passo da giganti e si percepiva che nel giro di poco qualcosa di incredibile sarebbe successo". Una parte importante del film è riservata alla musica. "Le canzoni sono state interamente composte per il film - spiega Leyla - scriverle e formare il gruppo sono state la sfida maggiore. Perché il film fosse riuscito prima di tutto doveva essere riuscita la musica. Con un amico poeta, Ghassen Amami, abbiamo lavorato a partire da alcuni miei testi in francese e lui si è messo nella pelle di Borhène, alcuni brani sono stati scritti di getto, su altri ci abbiamo lavorato di più.". Al centro del film il rapporto madre-figlia nel quale emerge il desiderio di modernità della ragazza che si scontra con una società tradizionale e patriarcale che mal sopporta i sogni di Farah.
da qui

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