sabato 28 maggio 2016

Yol - Yılmaz Güney (e Serif Goran )

parafrasando Gramsci Yol è un film dal carcere, un film scritto in carcere, da uno che ha passato molto tempo in galera, anni e anni, e sa cosa vuol dire.
cinque prigionieri escono per alcuni giorni di prigione, ognuno trova un mondo durissimo fuori, familiare, politico (Kurdistan, noi possiamo dirlo), un paese terribile, che era sotto una dittatura e ci sta riaffondando ogni giorno che passa (vedi qui, per esempio).
non è il film che l'ente per il turismo turco avrebbe finanziato, ma questo è il Cinema, non si spaventa davanti alla prepotenza, e racconta il mondo come è, non come qualcuno finge che sia.
meno male che Cannes l'ha premiato nel 1982.
Yılmaz Güney è morto a 47 anni, in esilio, in Francia, nel 1984.
un capolavoro che non si può perdere - Ismaele

QUun ricordo di Yılmaz Güney

(qui un grande film iraniano-curdo, per i curiosi)





É il linguaggio limpido e pervaso di realismo nonché un rispetto pudico nel trattare le vite di questi uomini pedinati dalla macchina da presa a darci la misura dello spessore artistico di questo film, a conferirgli quella caratteristica di grande affresco storico che mantiene intatto il suo fascino anche a quasi trent'anni di distanza. Seguendo le orme degli uomini il film diventa un viaggio attraverso la condizione politica e sociale della Turchia, dentro l'endemica contraddizione di un paese che guardava all'occidente ma rimaneva prigioniero delle sue ataviche usanze. "Il regista di questo film è stato condannato dai tribunali turchi a più di cento anni di prigione per delitti di opinioni". Questo recita la didascalia che anticipa i titoli di coda. Guney era in carcere quando scrisse la sceneggiatura del film che fu girato dal suo assistente Serif Goran e montato da lui stesso quando, dopo una rocambolesca evasione, riusci a raggiungere la Svizzera. E' un film manifesto "Yol" (che in turco significa strada) che nelle intenzioni di Guney doveva servire a far conoscere la realtà turca in tutta la sua multiforme complessità, l'arretratezza del suo regime militare, la condizione delle donne, la questione curda (la prima volta portata sullo schermo) a un mondo miope e interessato solo alle "grandi"  storie. Di acqua ne è passata sotto i ponti e la Turchia ha di certo mitigato la portata fondamentalista della sua teocrazia ma è indubbio che oggi come ieri questo paese viene guardato con crescendo interesse più per la sua particolare posizione geopolitica (un paese islamico nel cuore dell'occidente) che valutato per la effettiva maturità in senso democratico del suo sistema politico e sociale. Il rischio è sempre quello di sacrificare sull'altare dei grandi interessi economici una miriade uomini persi nelle pieghe di storie mai raccontate, di condizioni socio economiche mai risolte, di mettere in bella mostra i gioielli di famiglia dimenticandosi delle sacche di arretratezza sparse in ogni dove in giro per il mondo, che si trovano nelle retrovie, che resistono all'usura del tempo e sono tanto sorde all'evoluzione dei diritti in tema di rispetto della dignità umana quanto foriere di gravi offese per gli stessi. Considero "Yol" un capolavoro sia per i suoi contenuti estetici e formali, sia perché appartiene a quella categoria di film che hanno il particolare pregio di rappresentare sempre dei momenti di riflessione sulla condizione umana, fosse solo perché servono a ricordarci che oltre la storia ufficiale c'è molto altro che merita di essere conosciuto. E mi piace pensare di aver dato un seppur piccolo contributo alla diffusione di questo film straordinario.

Yol è stato scritto da Güney in prigione ed è stato girato dal suo stretto collaboratore Şerif Gören, che ha seguito le indicazioni dell'autore fin nei minimi dettagli. Quattro detenuti del carcere di Imrali (un'isola del mar di Marmara in cui attualmente è confinato anche Abdullah Ocalan), ricevono un permesso di una settimana di libera uscita. Tutti vogliono tornare alle loro famiglie e alle loro città. Ma è lì che li aspetta la prigione. La metafora del film in fondo è piuttosto scoperta: il carcere nella Turchia di quegli anni non è solo fra le sbarre, il carcere è fuori, è ovunque, è soprattutto nelle menti della gente, nella famiglia. I tratti sono quelli di una società a metà strada fra sviluppo, appannaggio più che altro delle classi vicine all'esercito, e tribalismo. Nelle campagne, nelle città conservatrici, nei territori curdi l'unica vera traccia di “evoluzione occidentale” è la ferrovia. Su affollati treni di terza classe viaggiano i protagonisti del film per raggiungere le loro città: Konya, Adana, Urfa, Diyarbakır, Gaziantep. Lungo il viaggio la presenza forte e costante di un esercito vigile, che ha sotto controllo la situazione. Sono infatti gli anni immediatamente successivi al colpo di stato…

Yol è un film particolare perchè è stato concepito, scritto e "diretto" durante la prigionia di Guney nelle carceri turche. Ciò non gli ha impedito di gettare uno sguardo lucido e realistico sul suo paese. Un paese in fondo prigioniero non solo della dittatura militare, ma di tutta una serie retaggi culturali e sociali a cui vanno incontro cinque detenuti in licenza premio. Cinque strade dirette ad una prigione più grande ma con sbarre e mura più solide da abbattere. Una nazione che guarda all'occidente, ma che dell'occidente riprende i vizi e le storture. Splendide molte sequenze, in particolare il viaggio di uno di essi tra le montagne falcidiate dalla tempesta di neve.

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