qui Claude Lelouch, nel film che ha incassato di più fra i suoi, fa annoiare troppo spesso, ci sono punte di comicità elevatissima, geniale, e cadute che sono abisso.
probabilmente avere insieme gli attori giusti ha abbagliato, e si sono dimenticati della sceneggiatura.
poteva essere un film bellissimo, invece è discontinuo e irritante.
e però vale la pena di vederlo, quando si ride è per ottimi motivi, e però è un peccato, gli attori sono bravi e bravissimi, ma qui sono perlopiù sprecati - Ismaele
A un buon inizio in tribunale, che sembra far presagire una
satira graffiante alla Woody Allen prima maniera, segue un film che non
mantiene le promesse: pieno zeppo di battute risapute, di situazioni dozzinali
e gag da avanspettacolo di quart’ordine, indeciso tra la satira politica e
l’avventura gulliveriana, interminabile e senza un fulcro d’interesse,
quest’operina di Lelouch è l’ennesima prova del talento sprecato del suo
autore.
…He steals the Tati
style but leaves Mr. Hulot with all of the laughs. Lelouch, like Tati, stays in
long shot a lot of the time, proving along the way that when Chaplin said:
“Comedy is in long-shot, tragedy is in close-up,” he should have added:
Provided there’s something funny going on in the long shot.
Lelouch also admires
Tati’s gift for introducing a prop or character and then getting an unexpected
laugh with it 10 minutes later. But Tati’s movies are like Swiss watches,
labored over with infinite care for the smallest piece. Lelouch seems to be out
of breath sometimes; he’s a diligent comic
director but not a gifted one, and he can’t really handle a plot this
complicated.
Claude Lelouch è un gran burlone.
Un misconosciuto giullare che gioca con gli spettatori, che non si risparmia
giochi, frizzi e lazzi. Ne è prova la cronaca recente, che vede il regista
presentare il suo ultimo film, Roman de gare, girato con lo pseudonimo di Hervè
Picard, un tennista prestanome, in segno di protesta verso il pubblico e la
critica che tre anni fa accolse con fischi il suo Les parisiens. La
critica da sempre ha linciato Lelouch, arrostendo il suo cinema sulla graticola
della politica, sottolineandone la ‘squallida matrice reazionaria’, o il
‘romanticismo da cioccolatino’, definendo le sue pellicole ‘fresche come
l’alito Colgate’. Critiche che non risparmiano la reiterata divagazione di
filmografia sul tema di Un uomo, una donna, il titolo che dal lontano 1966 ha ingabbiato
per sempre l’ex documentarista a demiurgo di personaggi dal sapor di melassa.
Elementi che vengono in parte smentiti da L’avventura è l’avventura, ironica e originale
divagazione nella commedia grottesca, scelta come film di apertura al Festival
di Cannes 1972. Un film poco conosciuto in Italia, ma che Oltralpe risulta
essere, su quaranta pellicole girate, il miglior successo di pubblico di sempre
per il regista oggi settantenne. Un divertissement che
vede protagonisti cinque ingegnosi ‘rubagalline’ che trovano come fonte di
guadagno l’organizzazione e realizzazione di rapimenti, da quello della
rockstar Johnny Hallyday (che interpreta sé stesso) a quello dell’ambasciatore
svizzero, per finire con il rocambolesco ‘ratto’ del Papa, per cui viene chiesto
un originale riscatto. Cinque amici che condividono l’amore per il denaro e la
bella vita, cinque Vitelloni del
crimine all’acqua di rose, cinque brillanti personaggi a metà strada tra gli Amici miei e i Tre uomini in barca.
Un ritmo fulmicotonico che regge
per oltre un’ora, ma si dilunga nella ricerca affannosa di far divertire a
tutti i costi, quando la corda si assottiglia e l’impalcatura trema
pericolosamente, anche nell’uso della voce narrante dall’ironia troppo esibita….
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