lunedì 3 novembre 2014

La spia (A most wanted man) – Anton Corbijn

oltre che essere l'ultimo film girato da Philip Seymour Hoffman (è morto una settimana dopo la fine delle riprese), è davvero un gran bel film.
tanti attori che di solito sono protagonisti qui fanno delle piccole parti, e le fanno benissimo, contribuiscono alla riuscita del film, merito di Anton Corbijn, naturalmente, mica è facile far convivere tante stelle e metterle al servizio di un'opera corale.
ci sono i buoni e i cattivi, la politica e i servizi segreti, che qui indagano con intelligenza, mentre la polizia, braccio del governo non brilla per intelligenza, ma solo per forza bruta.
Philip Seymour Hoffman è un perdente, la ragione di stato vince, come insegna la storia di Nicola Calipari.
non ci si annoia un minuto, e di attori come Philip Seymour Hoffman non ce n'è molti.
vogliatevi bene, il cinema vi aspetta - Ismaele







La spia non è un film perfetto, tutt'altro: soprattutto nella prima parte – quando si devono definire le dinamiche interne ai servizi segreti e le traiettorie delle indagini – la scrittura si dilata e rallenta il fluire del racconto, che invece si fa più incalzante e avvincente nella seconda metà, quando la complessa struttura ormai definita comincia a ingranare. Tuttavia Corbijn si dimostra abile nel confrontarsi con il genere, realizzando una spy story dall’impianto classico e solido, non particolarmente originale ma capace di trovare la sua forza soprattutto nelle interpretazioni di un ottimo ed eterogeneo cast, capitanato da Philip Seymour Hoffman, carismatico e magnetico anche nei panni di un agente segreto combattivo ma profondamente disilluso. Il suo Günther Bachmann è protagonista non solo perché il suo ruolo è centrale nello sviluppo della narrazione ma perché racchiude e condensa in sé i pilastri su cui si articola il racconto: professionalità, dedizione, sacrificio, sconfitta – a prescindere da quelli che saranno gli esiti dell’indagine condotta ad Amburgo su cui è incentrato il film. Un uomo grigio e silenzioso, paziente e inesorabile, abituato a vivere e operare nell’ombra, ad essere burattinaio e marionetta al contempo (non stupisce quindi la profonda empatia che il personaggio prova per i “piccoli pesci” cui incappa nel corso delle sue indagini): con la consueta intensità che è cifra distintiva della sua carriera, Hoffman valorizza ogni sfumatura del suo personaggio, dalla testardaggine all'amarezza, sottolineandone la fatica e la determinazione, la lucidità e la partecipazione emotiva, confermandosi interprete sensibile e intelligente. E malgrado sovrapporre il cinema a ciò che accade fuori dallo schermo sia e resti profondamente sbagliato, il finale de La spia, in tutta la sua asciuttezza ed essenzialità, sembra tagliato su misura per accompagnare il definitivo saluto a uno dei più grandi attori della sua generazione.

Enfin voici qu’un roman de John Le Carré ("La Maison Russie", "La Taupe") trouve une traduction cinématographique de qualité, disposant à la fois d’une intrigue palpitante et de personnages travaillés, tout en donnant à voir l’essence du métier d’espion, et la terrifiante complexité d’un panier de crabe international. Car le personnage de Philip Seymour Hoffman, chef d’un bureau d’investigation efficace, se retrouve en position de manipulateur autant que de manipulé, portant ses propres casseroles et un certain sens éthique, derrière celui du devoir…

Hoffman, el Günther Bachmann de Le Carré, es un pulmón infatigable: se fuma la vida, directamente. Bebe whisky y fuma y anhela una victoria, su venganza particular, frente a los compañeros estadounidenses. Se la jugaron tiempo atrás en una operación de gran importancia. A Hoffman lo rodean personalidades reconocibles: Nina Hoss, Willem Dafoe, Robin Wright (de morena y con el pelo muy corto, igualmente preciosa aun con asexuado giro estético), Rachel McAdams, Daniel Brühl... Una modélica cohorte al servicio de un thriller que triunfa, sobre todo, exponiendo con claridad y concisión cada detalle incriminatorio. No hay ganas de enredar. Muy al contrario, el guión de Andrew Bovell se rinde a la palabra dicha en el momento justo, bajo un cielo gris zona IV casi III que condimenta los silencios de unos personajes sobrios y sombríos, y una tensión con ramalazos de otro cine genuinamente radical. Que apenas si mira por el retrovisor. Que frena, se baja y nos deja plantados en los asientos traseros del Mercedes. Que busca y desentierra las raíces para certificar su nivel de putrefacción.

Nessun commento:

Posta un commento