la storia di László Toth è quella di tutti gli immigrati poveri negli Stati Uniti d'America (dove tutti sono migranti di prima, di seconda, di n-generazione, gli indigeni sono stati, quasi tutti, sterminati).
i (merdosi) riccastri degli Usa sono corrotti, antisemiti (solo con gli ebrei poveri), a volte sono come Henry Ford, massone di Rito Scozzese al massimo grado e sostenitore dei nazisti e di Hitler.
László (interpretato da Adrien Brody) arriva a Ellis Island e sarà ospitato dal cugino (interpretato da Alessandro Nivola, nipote di Costantino Nivola, muratore e architetto, fra le tante arti che ha esercitato, e Ruth Guggenheim, arrivati a New York dall'Italia nel 1939, per sfuggire alle leggi razziali), poi starà in un dormitorio e infine incrocia, in qualità di architetto, il riccastro Van Buren (interpretato da Guy Pearce), un tipo alla Trump, tutto si può vendere e comprare, e quello che non gli danno se lo prende con la forza.
il sogno americano è un incubo per quasi tutti, per quelli che non comandano niente.
intanto per una volta, nelle multisale, non ci sono dieci minuti di pausa con le immagini di bibite e popcorn gravemente dannosi per la salute, ma per un quarto d'ora d'intervallo, imposto dal regista, sullo schermo c'è l'immagine fissa della foto del giorno di matrimonio di László e Erzsébet, a Budapest, davanti alla sinagoga.
il film dura tre ore e mezzo, e ogni minuto è necessario, ed è cinema di altissimo livello (forse l'epilogo alla Biennale di Venezia è di troppo, questione di gusti).
ci sono tante idee, citazioni, suggestioni, da Paul Thomas Anderson a Orson Welles (per esempio la processione sul crinale della collina sembra, almeno per me, un omaggio a Welles, da Othello).
insomma, uno dei più bei film dell'anno, da non perdere, se vi volete bene.
buona (prolungata) visione - Ismaele
…Il progetto
consentirà a Toth di ricongiungersi finalmente con la
moglie Erzsebet (Felicity Jones, nel miglior ruolo della
sua carriera), inizialmente rimasta in Ungheria e costretta in sedia a rotelle
a causa degli stenti patiti durante la guerra, e con la figlia autistica Zsofia (Raffey
Cassidy, sempre più brava e inquietante), ma lo renderà anche
completamente succube dei soldi e soprattutto dei capricci di Van
Buren, le cui divergenze artistiche sulla costruzione dell'opera
mineranno irreversibilmente il fisico e la psiche dell'architetto, spingendolo
sull'orlo della pazzia e rendendolo sempre più schiavo dell'oppio e della
droga. Il rapporto malato tra i due uomini ha ricordato a molti critici, con
ragione, il cinema bigger than life di P.T.
Anderson, sia ne Il Petroliere che soprattutto in The
Master, prendendolo come pietra di paragone per mostrarci un'America
violenta, prevaricatrice, razzista, che sfrutta gli stranieri e gli immigrati
per tornaconto personale e li getta via come scarpe vecchie una volta che non
gli servono più.
The
Brutalist per almeno 3/4 della sua durata è un film strepitoso, ambizioso,
perfino eccessivo, e proprio per questo ancora più coraggioso e meritorio. Solo
nell'ultima parte si sfalda un po', prendendo (forse volutamente) una piega
eccessivamente cupa e arrivando in qualche caso al limite del buon gusto (come
nella scena in assoluto più drammatica e sopra le righe, quella girata nelle
cave di marmo di Carrara - che non intendo svelarvi - in cui la relazione
tossica tra i due protagonisti arriverà al punto di non ritorno) ma che non
intacca minimamente l'epicità della storia nè la morale di fondo: di come,
cioè, la ricerca di una nuova Patria possa spesso avvenire a scapito
dell'esclusione e della sofferenza altrui. Perchè il fine giustifica i mezzi,
nella società ultracapitalista. E perchè, come spiega il protagonista a un
passo dalla morte, "nella vita conta la méta, non il
viaggio".
…In sintesi, "The Brutalist" è il più
classico dei "vorrei ma non posso". Malgrado elementi di pregio e
sequenze notevoli (le cave di Carrara su tutte), mantiene poco rispetto alle
sue smisurate ambizioni. Se l'architettura è, come sosteneva Le Corbusier,
"capacità di stabilire attraverso materie inanimate dei rapporti in
movimento", Corbet qui fa esattamente il contrario, utilizza i rapporti in
movimento tra immagini e suoni ma non riesce mai veramente ad animare i suoi
personaggi e la sua storia, troppo impegnato ad aprire parentesi mai chiuse. A
visione finita, la lotta immane di Toth per erigere un edificio che non si sa
bene se sia una biblioteca, una chiesa o un centro congressi, ricorda anche
troppo il rapporto di Corbet con il suo film, una figura immensa che sembra
ancora in gran parte prigioniera del marmo. Chissà che la citazione di Goethe
che apre il film, "nessuno è più schiavo di chi si crede libero", non
si possa leggere anche come una sottile autocritica.
…The Brutalist
vuole ribaltare il mito del sogno americano: non c’è
spazio per i momenti di gioia, niente scorre liscio, si entra continuamente in
conflitto con la società e il sistema capitalistico per mantenere la propria
identità, un puzzle che lentamente cade a pezzi e i tentativi per ricostruirlo
non possono avere effetti.
Corbet maneggia la
sceneggiatura per creare un’opera ineccepibile dal punto
di vista audiovisivo, costruendo una messinscena che nei 215 minuti non risulta
essere mai pesante, lasciando lo spettatore di fronte a un lungometraggio, sì,
lento, ma martellante…
…Corbet realizza un’opera torrenziale, un
affresco, una parabola sui tormenti di un artista, divisa in ouverture, epilogo
e intermission. Questo perché Corbet si prende il suo tempo per creare un
dramma epico con protagonista uno straordinario Adrian Brody. The Brutalist è un film audace, ambizioso, un
film che usa le forme, i colori e il suono per sottolineare l’oppressione a cui
è sottoposto Lázsló e i muri in cui si imbatte. László è un uomo a pezzi,
troppo generoso per riuscire a sopravvivere in una società capitalista, quella
stessa società che, attraverso le mire megalomani ed espansionistiche di van
Buren, finisce per risucchiarlo…
…The Brutalist è un'opera
straordinariamente ambiziosa che sfida lo spettatore con la sua densità
tematica e la sua durata considerevole.
Corbet
costruisce un film che è al tempo stesso un dramma storico, un ritratto
psicologico e una riflessione sul ruolo dell'arte nella società che
rendono questa pellicola un'esperienza cinematografica intensa e
indimenticabile.
E’ durata
circa dieci anni la gestazione di questo film, vuoi per i soliti problemi di
finanziamento (enormi per un film indipendente) vuoi per la pandemia, sta di
fatto che The Brutalist possiede le stigmate di quei film che passano alla
storia, quelle opere monumentali che sono un palcoscenico maestoso su un
racconto carico di emozione e di drammaticità; l’opera di Corbet, che
ricordiamolo è il più europeo dei registi americani, possiede la grandezza del
Cinema che sa trasportare, il cinema eroico, quello che ti tiene incollato
sulla sedia e con gli occhi sullo schermo; non a caso il regista decide di
utilizzare il sistema Vista Vision a 70 mm il cui ultimo utilizzo era stato
negli anni 50, proprio per rendere il più reale e coinvolgente possibile
l’esperienza visiva, alla quale concorre una fotografia ed un bianco e nero
elegantissimi e glaciali nella loro bellezza ed una colonna sonora
di Daniel Blumberg sempre ben coerente con lo sviluppo narrativo.
Il cast è
eccellente ma le prove di Adrien Brody e Guy Pearce , entrambi candidati
all’Oscar, sono al limite della perfezione nella loro perfetta adesione ai
rispettivi personaggi.
Ribadiamolo,
non è un film per tutti: la sua narrazione frammentata, i suoi toni cupi e la
sua lunghezza potrebbero scoraggiare alcuni spettatori. Tuttavia, per chi cerca
un cinema che stimoli la riflessione e offra un'esperienza estetica e
intellettuale di alto livello, The Brutalist rappresenta un
capolavoro contemporaneo che lascia il segno, uno di quei film che entreranno
di diritto tra quelli che fra 50 anni verranno ricordati; basterebbe un film
come questo, ogni 2-3 anni ,a far sì che il Cinema abbia una ragione di
esistere.
Di gran lunga, al momento, il film più bello dell'anno!
RispondiEliminaGrazie per la citazione.
e col passare dei giorni non si dimentica.
Eliminasperiamo che raccolga ottimi premi agli Oscar, gli incassi sono una piccola parte di un qualsiasi film di superoi, ma il film di Corbet resterà nella storia del Cinema (direbbe Martin Scorsese)