venerdì 14 febbraio 2025

The Brutalist - Brady Corbet

la storia di László Toth è quella di tutti gli immigrati poveri negli Stati Uniti d'America (dove tutti sono migranti di prima, di seconda, di n-generazione, gli indigeni sono stati, quasi tutti, sterminati).

i (merdosi) riccastri degli Usa sono corrotti, antisemiti (solo con gli ebrei poveri), a volte sono come Henry Ford, massone di Rito Scozzese al massimo grado e sostenitore dei nazisti e di Hitler.

László (interpretato da Adrien Brody) arriva a Ellis Island e sarà ospitato dal cugino (interpretato da Alessandro Nivola, nipote di Costantino Nivola, muratore e architetto, fra le tante arti che ha esercitato, e Ruth Guggenheim, arrivati a New York dall'Italia nel 1939, per sfuggire alle leggi razziali), poi starà in un dormitorio e infine incrocia, in qualità di architetto, il riccastro Van Buren (interpretato da Guy Pearce), un tipo alla Trump, tutto si può vendere e comprare, e quello che non gli danno se lo prende con la forza. 

il sogno americano è un incubo per quasi tutti, per quelli che non comandano niente.

e poi succedono mille avvenimenti, e riesce ad arrivare, dopo anni, la moglie Erzsébet (interpretata da Felicity Jones).

intanto per una volta, nelle multisale, non ci sono dieci minuti di pausa con le immagini di bibite e popcorn gravemente dannosi per la salute, ma per un quarto d'ora d'intervallo, imposto dal regista, sullo schermo c'è l'immagine fissa della foto del giorno di matrimonio di László e Erzsébet, a Budapest, davanti alla sinagoga.

il film dura tre ore e mezzo, e ogni minuto è necessario, ed è cinema di altissimo livello (forse l'epilogo alla Biennale di Venezia è di troppo, questione di gusti).

ci sono tante idee, citazioni, suggestioni, da Paul Thomas Anderson a Orson Welles (per esempio la processione sul crinale della collina sembra, almeno per me, un omaggio a Welles, da Othello).

insomma, uno dei più bei film dell'anno, da non perdere, se vi volete bene.

buona (prolungata) visione - Ismaele



 

…Il progetto consentirà  a Toth di ricongiungersi finalmente con la moglie Erzsebet (Felicity Jones, nel miglior ruolo della sua carriera), inizialmente rimasta in Ungheria e costretta in sedia a rotelle a causa degli stenti patiti durante la guerra, e con la figlia autistica Zsofia (Raffey Cassidy, sempre più brava e inquietante), ma lo renderà anche completamente succube dei soldi e soprattutto dei capricci di Van Buren, le cui divergenze artistiche sulla costruzione dell'opera mineranno irreversibilmente il fisico e la psiche dell'architetto, spingendolo sull'orlo della pazzia e rendendolo sempre più schiavo dell'oppio e della droga. Il rapporto malato tra i due uomini ha ricordato a molti critici, con ragione, il cinema bigger than life di P.T. Anderson, sia ne Il Petroliere che soprattutto in The Master, prendendolo come pietra di paragone per mostrarci un'America violenta, prevaricatrice, razzista, che sfrutta gli stranieri e gli immigrati per tornaconto personale e li getta via come scarpe vecchie una volta che non gli servono più.

The Brutalist per almeno 3/4 della sua durata è un film strepitoso, ambizioso, perfino eccessivo, e proprio per questo ancora più coraggioso e meritorio. Solo nell'ultima parte si sfalda un po', prendendo (forse volutamente) una piega eccessivamente cupa e arrivando in qualche caso al limite del buon gusto (come nella scena in assoluto più drammatica e sopra le righe, quella girata nelle cave di marmo di Carrara - che non intendo svelarvi - in cui la relazione tossica tra i due protagonisti arriverà al punto di non ritorno) ma che non intacca minimamente l'epicità della storia nè la morale di fondo: di come, cioè, la ricerca di una nuova Patria possa spesso avvenire a scapito dell'esclusione e della sofferenza altrui. Perchè il fine giustifica i mezzi, nella società ultracapitalista. E perchè, come spiega il protagonista a un passo dalla morte, "nella vita conta la méta, non il viaggio".

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In sintesi, "The Brutalist" è il più classico dei "vorrei ma non posso". Malgrado elementi di pregio e sequenze notevoli (le cave di Carrara su tutte), mantiene poco rispetto alle sue smisurate ambizioni. Se l'architettura è, come sosteneva Le Corbusier, "capacità di stabilire attraverso materie inanimate dei rapporti in movimento", Corbet qui fa esattamente il contrario, utilizza i rapporti in movimento tra immagini e suoni ma non riesce mai veramente ad animare i suoi personaggi e la sua storia, troppo impegnato ad aprire parentesi mai chiuse. A visione finita, la lotta immane di Toth per erigere un edificio che non si sa bene se sia una biblioteca, una chiesa o un centro congressi, ricorda anche troppo il rapporto di Corbet con il suo film, una figura immensa che sembra ancora in gran parte prigioniera del marmo. Chissà che la citazione di Goethe che apre il film, "nessuno è più schiavo di chi si crede libero", non si possa leggere anche come una sottile autocritica.

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…The Brutalist vuole ribaltare il mito del sogno americano: non c’è spazio per i momenti di gioia, niente scorre liscio, si entra continuamente in conflitto con la società e il sistema capitalistico per mantenere la propria identità, un puzzle che lentamente cade a pezzi e i tentativi per ricostruirlo non possono avere effetti.

Corbet maneggia la sceneggiatura per creare un’opera ineccepibile dal punto di vista audiovisivo, costruendo una messinscena che nei 215 minuti non risulta essere mai pesante, lasciando lo spettatore di fronte a un lungometraggio, sì, lento, ma martellante…

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Corbet realizza un’opera torrenziale, un affresco, una parabola sui tormenti di un artista, divisa in ouverture, epilogo e intermission. Questo perché Corbet si prende il suo tempo per creare un dramma epico con protagonista uno straordinario Adrian Brody. The Brutalist è un film audace, ambizioso, un film che usa le forme, i colori e il suono per sottolineare l’oppressione a cui è sottoposto Lázsló e i muri in cui si imbatte. László è un uomo a pezzi, troppo generoso per riuscire a sopravvivere in una società capitalista, quella stessa società che, attraverso le mire megalomani ed espansionistiche di van Buren, finisce per risucchiarlo…

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…The Brutalist è un'opera straordinariamente ambiziosa che sfida lo spettatore con la sua densità tematica e la sua durata considerevole. 

Corbet costruisce un film che è al tempo stesso un dramma storico, un ritratto psicologico e una riflessione sul ruolo dell'arte nella società  che rendono questa pellicola un'esperienza cinematografica intensa e indimenticabile.

E’ durata circa dieci anni la gestazione di questo film, vuoi per i soliti problemi di finanziamento (enormi per un film indipendente) vuoi per la pandemia, sta di fatto che The Brutalist possiede le stigmate di quei film che passano alla storia, quelle opere monumentali che sono un palcoscenico maestoso su un racconto carico di emozione e di drammaticità; l’opera di Corbet, che ricordiamolo è il più europeo dei registi americani, possiede la grandezza del Cinema che sa trasportare, il cinema eroico, quello che ti tiene incollato sulla sedia e con gli occhi sullo schermo; non a caso il regista decide di utilizzare il sistema Vista Vision a 70 mm il cui ultimo utilizzo era stato negli anni 50, proprio per rendere il più reale e coinvolgente possibile l’esperienza visiva, alla quale concorre una fotografia ed un bianco e nero elegantissimi e glaciali nella loro bellezza  ed una colonna sonora di Daniel Blumberg sempre ben coerente con lo sviluppo narrativo.

Il cast è eccellente ma le prove di Adrien Brody e Guy Pearce , entrambi candidati all’Oscar, sono al limite della perfezione nella loro perfetta adesione ai rispettivi personaggi.

Ribadiamolo, non è un film per tutti: la sua narrazione frammentata, i suoi toni cupi e la sua lunghezza potrebbero scoraggiare alcuni spettatori. Tuttavia, per chi cerca un cinema che stimoli la riflessione e offra un'esperienza estetica e intellettuale di alto livello, The Brutalist rappresenta un capolavoro contemporaneo che lascia il segno, uno di quei film che entreranno di diritto tra quelli che fra 50 anni verranno ricordati; basterebbe un film come questo, ogni 2-3 anni ,a far sì che il Cinema abbia una ragione di esistere.

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2 commenti:

  1. Di gran lunga, al momento, il film più bello dell'anno!
    Grazie per la citazione.

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    1. e col passare dei giorni non si dimentica.
      speriamo che raccolga ottimi premi agli Oscar, gli incassi sono una piccola parte di un qualsiasi film di superoi, ma il film di Corbet resterà nella storia del Cinema (direbbe Martin Scorsese)

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