martedì 16 settembre 2014

Y tu mamá también - Alfonso Cuarón

Alfonso Cuarón, comunque lo si giudichi, è uno che ci sa fare.
anche qui, con un tris di bravissimi attori (segnalo solo che Maribel Verdù è eccezionale in Blancanieves), ci sono due modi messicani che si incrociano, i benestanti cittadini della grande città e i messicani poveri, una storia nella storia.
a me è piaciuto molto, nonostante non sia perfetto, ma non importa.
la scena finale a tre mi ha ricordato qualcosa di analogo del "Novecento" di Bertolucci, quando Stefania Casini fa qualcosa di simile in una scena con Depardieu e De Niro.
la voce fuori campo fa la sua parte, sottolinea e segnale cose importanti, perlopiù drammatiche, ma necessarie per l'economia del film.
cercatelo, non fidatevi di chi ne parla male - Ismaele






It is clear Cuaron is a gifted director, and here he does his best work to date. Why did he return to Mexico to make it? Because he has something to say about Mexico, obviously, and also because Jack Valenti and the MPAA have made it impossible for a movie like this to be produced in America. It is a perfect illustration of the need for a workable adult rating: too mature, thoughtful and frank for the R, but not in any sense pornographic. Why do serious film people not rise up in rage and tear down the rating system that infantilizes their work? The key performance is by Maribel Verdu as Luisa. She is the engine that drives every scene she's in, as she teases, quizzes, analyzes and lectures the boys, as if impatient with the task of turning them into beings fit to associate with an adult woman. In a sense she fills the standard role of the sexy older woman, so familiar from countless Hollywood comedies, but her character is so much more than that--wiser, sexier, more complex, happier, sadder. It is true, as some critics have observed, that "Y Tu Mama" is one of those movies where "after that summer, nothing would ever be the same again." Yes, but it redefines "nothing."

Those expecting Y tu mamá también to be a film of great significance will be disappointed. Despite being subtitled and having won raves at international film festivals, this movie doesn't deliver anything more dramatic than a road trip garnished with an aggressive portion of sex and nudity. It's well-acted, but there's not much in the way of a plot. Cuarón throws in some politics concerning the economic rift between the middle-class and those living in poverty, but doesn't dwell on the situation or its ramifications. If the movie has a statement to make, it's that one can only live in the moment for so long (the epilogue emphasizes this). The experience is too intense and the passions are too raw. But that's something all of us who have lived through our teenage years, and emerged relatively unscathed, know all too well.

di cosa voleva parlare questo film? Della chiusura del mondo giovanile ai problemi della società messicana (che però restano sempre sullo sfondo, sfocati, indistinti)? Della caduta dei valori e degli ideali, laddove i due giovani puntando al divertimento materiale (droga, sesso, alcohol) si contrappongono all'animo romantico e malinconico di Luisa, giustificato comunque dal brutto segreto che nasconde? O molto più semplicemente mostrare due adolescenti perennemente eccitati che pensano solo a copulare e costruirci, con poco altro, un film su?
Perché è chiaro: non bastano un po' di scene di sesso "scabroso" per fare scandalo (tanto più se non sono neanche usate per giustificare un eventuale malessere giovanile, come che so in "Ken Park"), così come non basta parlare molto, quasi a raffica, per coprire la vuotezza di idee, ancor più se i dialoghi sono sempre banali e quasi irritanti (e raggiungono l'apice nella scena del bar sulla spiaggia, dove le battute deliranti derivate dall'ubriachezza dovrebbero creare un'atmosfera calda e simpatica e invece finiscono col renderla solo molto triste).
Su tutto, poi, una fastidiosa e ricorrente voice off che parla e spiega avvenimenti passati, situazioni accadute nei luoghi che si vedono, oppure cose che noi non sappiamo sui tre protagonisti: neanche fosse una sorta di coro greco detentore di chissà quale sapere...
Insomma, va bene tutto, ma spacciare per "film d'autore" anche questo no. E non è la chiusa del film a lasciare tanto con l'amaro in bocca, quanto piuttosto il cazzeggio ostentato e insistito dell'ora e quaranta precedente.

Il sistema di Cuarón è affascinante proprio perché ricalca lo stesso procedimento di rivisitazione, aggiungendovi la più evidente interferenza narrativa, quella che è a tal punto distaccata dalla realtà descritta da poter rivelare gli eventi che avverranno dopo la conclusione dell´intreccio; intanto nel presente diegetico ci vengono fornite altre informazioni che si trasformano in denunce della precarietà: le tantissime pattuglie di policia armata fino ai denti, i posti di blocco, le innumerevoli manifestazioni (introducendo la figura militante zapatista di Trotzkyna, la sorella di Julio). Però nell´epilogo si sancisce la preminenza della narrazione sul narrato: la più evidente forza dell´autorialità sul soggetto, del futuro sull´oggetto di narrazione, per assunto passato, infatti all´unisono il saluto tra i due amici ritrovatisi qualche tempo dopo ("Ci sentiamo, no?") viene annientato dalla voce che sa tutto, l´autore: "Non si vedranno mai più".

Y tu mamá también è, se visto a cuor leggero, anche un’opera gradevole per la vitalità che riesce a sprigionare, merito dell’ambientazione, del Messico formicolante e del Messico azzurro del mare (o del cielo), e merito dei due giovinetti che recitano naturali, da strada, con il loro slang preciso e l’immancabile Corona ghiacciata tra le mani.
Certo certo, ci sono brutture degne di nota nella sceneggiatura, veri piegamenti innaturali per favorire il realizzarsi di eventi – che “caso” il tradimento confessato ad Ana poco dopo la proposta del viaggio – o un paio di scenette messe lì per puro esibizionismo attira-babbei. E certo c’è tutto ciò, inevitabile forse trattando queste storie d’adolescenza trasgressiva, e pur vero però che l’interpretazione data da Cuarón è nel complesso una delle meno peggio, apprezzabile per la forza cinestesica che trasmette attraverso il viaggio, da sempre e per sempre luogo di cambiamento formazione e trasformazione, appaiata ad una percezione di stallo, di sosta, d’autunno. Andare avanti per fermarsi e poi ricominciare per fermarsi un’altra volta mentre i protagonisti alla ricerca di un luogo che non conoscono troveranno la strada sulla cartina dell’anima, in un viaggio interiore, sempre scanzonato e scurrile, ma che in un film così, con delle premesse così, non è affatto male.
In più il linguaggio del racconto è ricco. Cuarón ci va pesante con la camera a spalla ma non come ne I figli degli uomini (2006), è un passo quasi felpato, incerto, che si avvicina e allontana agli e dagli attori con un confortante e azzeccato timore. Giusto come le divertenti divagazioni della voce off preceduta da un risucchiamento del sonoro per sottolinearne il momento e cristallizzarlo, che ricordano più di un po’ le mirabolanti digressioni, ricche di colore, fantasia e inventiva, dei romanzieri latini. Teoricamente inutili ai fini della storia, ma piacevolissime da sentire.
Nella sua spontaneità il film è persino (a tratti) bello, soprattutto da vedere per la malinconia di un estate che finisce insieme ad un’amicizia; le cadute di stile ci sono, comunque.
da qui

4 commenti:

  1. Bellissimo, mi è piaciuto un sacco, ne dovrei parlare a breve pure io ^_^

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  2. Risposte
    1. Alfonso Cuarón è una bella testa, direi, finisco di recuperare i vecchi, e aspetto i suoi prossimi film

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