c'era una volta un'Italia che non sapeva che esistevano i limiti dello sviluppo e che con entusiasmo radeva al suolo uliveti davanti al mare per creare le cattedrali nel deserto (allora pochi sapevano come sarebbe andata a finire), magari oggi si fa lo stesso, ma non si fanno più i documentari per magnificare il progresso.
sopratutto fra gli anni '50 e '70 alcune dei migliori registi hanno lavorato per l'Eni e le altre grandi industrie di quegli anni per mostrare il progresso che portavano quelle imprese, anche fuori dell'Italia.
Davide Ferrario incolla il tutto, scavando negli archivi, e ci mostra il "mito di progresso lanciato sopra i continenti", in tempi nei quali tutto sembrava possibile, oggi sappiamo che non è così, allora pochi mettevano in guardia, spesso derisi come reazionari, si pensi alle lucciole di Pasolini.
il film sarà in poche sale per pochi giorni, se capita nella vostra zona non perdetelo, sarà un viaggio in un passato che non c'è più, ma le cui conseguenze le viviamo tutti - Ismaele
…La zuppa del demonio, che conferma il rigore etico di Ferrario ed esalta
l’innato gusto per il montaggio del cineasta piemontese, si muove lungo due
binari paralleli e spesso convergenti: da un lato il materiale d’archivio, in
gran parte recuperato nell’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa di Ivrea, e
dall’altro un’antologia di brani scelti, in cui letterati e pensatori del
Ventesimo Secolo riflettono sulla macchina industriale, mostro/speranza in
grado di trangugiare tutto e tutti.
Ne deriva una dialettica impossibile eppure incessante, in cui Marinetti discute con Majakovskij, Bianciardi smorza gli entusiasmi dei cinegiornali Luce, Gadda dialoga con Pasolini, Bocca ammette la dissoluzione progressiva del sogno in un incubo fuso a temperature inumane…
Ne deriva una dialettica impossibile eppure incessante, in cui Marinetti discute con Majakovskij, Bianciardi smorza gli entusiasmi dei cinegiornali Luce, Gadda dialoga con Pasolini, Bocca ammette la dissoluzione progressiva del sogno in un incubo fuso a temperature inumane…
C’era una volta in Italia il
progresso! C’era una volta un'Italia che ci credeva, o che per lo meno cercava
di infondere ottimismo dentro e fuori i propri confini. Uno Stato italiano del
Novecento che si era rimboccato le maniche e aveva investito ingenti somme,
economiche e umane, per rinnovare la propria immagine e la propria struttura
industriale, anche a costo di eliminare in un sol violento colpo un ricco e
secolare passato agricolo. E' proprio da questa spregiudicata “distruzione” che
comincia il documentario di montaggio La
zuppa del demonio di Davide
Ferrario. Le prime immagini in questione sono quelle della distruzione con le
ruspe di un antico uliveto a Taranto, prepotente esproprio che darà il via alla
costruzione di un immenso polo industriale, l'Ilva. Dette immagini sono
estrapolate dal documentario Il
pianeta acciaio di Emilio
Marsili, e da cui viene anche ricavato lo stralcio del commento curato da Dino
Buzzati che dà il titolo alla pellicola. La
zuppa del demonio vuole
essere un excursus di immagini – e rare parole – su un mondo che non esiste
più, dove le scene ripescate e assemblate dal regista possono dare risalto a un
altro modo di intendere l’industria e la correlata scelta di marketing che lo rappresenta…
Ho visto un documentario. Ho visto un vero documentario
in cui il regista si è fatto un mazzo nel cercare, visionare, scegliere,
montare e dare vita ad un film che fosse unico, nuovo, intrigante e
interessante. “La zuppa del demonio” è un gran bel lavoro, è un ottimo
documentario, è un’incredibile lezione sotto più punti di vista.
Il lavoro di Davide Ferrario è prima di tutto un tuffo
nella storia d’Italia: gli eventi narrati sono molti ma, con il sorriso e con
acume, il regista ci ripropone un secolo di italianità. Il 1900 con la sua
crescita industriale, con il suo boom economico, con la sua crisi negli anni
’70. Rivediamo tutto. Ma la cosa più incredibile è la rinfrescata di storia del
costume e della società che facciamo in soli 80 minuti…
…Attraverso una ricerca minuziosa dei frammenti di video
più significativi, il film ricostruisce lo spirito dell'epoca dando voce
esclusivamente alle immagini, inframmezzate dalle citazioni degli intellettuali
come Gadda, Marinetti, Majakovskij e tanti altri, e che hanno vissuto
quell'epoca di trasformazione e l'hanno analizzata criticamente. Ferrario non
intende esprimere giudizi nè azzardare analisi sociologiche, ma riesce a far
rivivere, anche se solo per alcuni istanti, l'energia travolgente che nel bene
e nel male ha reso l'Italia quello che è oggi, e che a fatica si guarda
indietro cercando di capire perchè si sia abbandonata ciecamente al fascino
distruttivo del progresso industriale.
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