non sarà perfetto, ma non importa, questo film è come un atto d'amore, io l'ho visto così, per un uomo e un poeta (come disse Moravia).
nel film Pasolini (un bravissimo Willem Dafoe) è doppiato da Fabrizio Gifuni, Laura Betti (Maria de Madeiros) e la madre (Adriana Asti) sono bravissime anche loro.
in fondo è quasi una storia privata, non è facile dare un giudizio, per me è un film imperdibile, lo capisci il giorno dopo averlo visto.
non fatevelo sfuggire - Ismaele
Se ci venisse chiesto qual è stato il film più controverso
dell’ultima edizione del Festival di Venezia non avremmo dubbi. Fischi,
applausi, lacrime e grida…non è mancato nulla durante la proiezione al Lido ma
ci saremmo stupiti del contrario, dopotutto il regista Abel Ferrara è così:
incapace di unire il pubblico perché le sue opere sono delle rappresentazioni
personali e difficilissime da raccontare per quel suo modo “sbagliato” di fare
cinema e quel continuo perdersi tra definito e indefinito. Il Pasolini di
Ferrara è quindi un film complesso, asettico, proposto dal regista come tributo
a un maestro di cui venera le gesta e che quindi scade nella narrazione personale
piuttosto che in quella biografica. Su questo infatti bisogna essere molto
precisi: chiunque pensi che «Pasolini» sia un biopic (termine inglese ricavato
dalla contrazione di biographic picture,
appunto film biografico) è meglio che rinsavisca in fretta perché rischierebbe
di ritrovarsi in sala prigioniero di un film sconcertante, lontano anni luce
dalle ingessature delle biografie. Ferrara ci propone ancora una volta una
storia ostaggio di due grandi forze che operano insieme: l’arte e la vita, due flussi
di energia che si mescolano per creare caos e genialità, amore e disgrazia e
tutto quello che può venirvi in mente che possa in qualche modo lasciare
un’impronta d’eternità su questa terra…
…Rispettando
maniacalmente quelle ultime ore di vita, Pasolini non si lascia andare
a ricostruzioni interpretative ma ci mostra l’autore di Teorema impegnato con le sue
ultime faccende: l’intervista a Furio Colombo per La Stampa, le lettere agli
amici Carlo Levi e Alberto Moravia, la lettura in immagini e parole di uno dei
capitoli di Petrolio (l’incidente aereo di
cui rimane vittima Andrea Fago) e il lavoro sulla sceneggiatura di Porno Teo Kolossal.
A
proposito del lavoro non realizzato da Pasolini, Ferrara si assume il rischio
di girarne alcune sequenze, trasformando Ninetto Davoli in Eduardo De Filippo e
Riccardo Scamarcio in Ninetto Davoli (bel gioco metacinematografico).
Volutamente, piazza le sequenze nella Roma moderna, come dimostra il parco auto
composto di vetture contemporanee, quasi a voler dimostrare l’attualità e la
contingenza dei lavori del maestro…
…Pasolini sente tanto
attorno a sé quanto alle vite degli altri, un’atmosfera carica di minaccia
raccontata, con ancor maggior lucidità, nelle risposte date a Furio Colombo per
l’intervista, poi intitolata Siamo tutti in pericolo: è in
quest’occasione che Pasolini, fuori dai denti, dice: «io scendo all’inferno e
so cose che non disturbano la pace di altri. Ma state attenti. L’inferno sta
salendo da voi».
Ferrara sostiene registicamente tutto questo facendoci respirare un senso crescente di morte recuperando e riproponendo in chiave romana tutta la notturnità cannibalica del suo cinema. Il girovagare predatorio di Pasolini nelle notti di Roma è costellato da schiere di ragazzi in giubbotti di cuoio: licantropi, giustizieri, stupratori; anonimi nella loro meccanica e brutale criminalità. Ombre ambigue e terrifiche, ma comunque reali, esistenti.
Le stesse che infettano le stesure di Petrolio e Porno-Teo-Kolossal, rimaste, causa dell’uccisione dell’autore, incompiute. E proprio da queste Ferrara attinge, non soltanto perché diretta conseguenza di quei sentimenti e quelle atmosfere appena descritte, ma anche per una certa continuità stilistica con il suo cinema. Al di là della tragica irrisolutezza, queste due ultime creature-creazioni pasoliniane sono, in realtà, fin dalla loro ideazione, strutturalmente scomposte, sovrapposte, opere che si contorcono intorno a una con-fusione di piani. Il loro disordine è precisa volontà di deragliamento, di sprofondamento nelle viscere dell’essere e della creazione: discesa senza possibilità di risalita.
E Ferrara non può che trovarsi a suo agio in questa meravigliosa ed essenziale imperfezione, lui che se ne fotte della solidità e della plausibilità tramica, dell’opera compiuta, pur di squarciare ogni suo film con attimi di sanguigna e tenebrosa visionarietà oltre i quali scorgere l’abisso allucinato dell’oscurità mentale.
Ferrara sostiene registicamente tutto questo facendoci respirare un senso crescente di morte recuperando e riproponendo in chiave romana tutta la notturnità cannibalica del suo cinema. Il girovagare predatorio di Pasolini nelle notti di Roma è costellato da schiere di ragazzi in giubbotti di cuoio: licantropi, giustizieri, stupratori; anonimi nella loro meccanica e brutale criminalità. Ombre ambigue e terrifiche, ma comunque reali, esistenti.
Le stesse che infettano le stesure di Petrolio e Porno-Teo-Kolossal, rimaste, causa dell’uccisione dell’autore, incompiute. E proprio da queste Ferrara attinge, non soltanto perché diretta conseguenza di quei sentimenti e quelle atmosfere appena descritte, ma anche per una certa continuità stilistica con il suo cinema. Al di là della tragica irrisolutezza, queste due ultime creature-creazioni pasoliniane sono, in realtà, fin dalla loro ideazione, strutturalmente scomposte, sovrapposte, opere che si contorcono intorno a una con-fusione di piani. Il loro disordine è precisa volontà di deragliamento, di sprofondamento nelle viscere dell’essere e della creazione: discesa senza possibilità di risalita.
E Ferrara non può che trovarsi a suo agio in questa meravigliosa ed essenziale imperfezione, lui che se ne fotte della solidità e della plausibilità tramica, dell’opera compiuta, pur di squarciare ogni suo film con attimi di sanguigna e tenebrosa visionarietà oltre i quali scorgere l’abisso allucinato dell’oscurità mentale.
...il Pasolini di Ferrara non è
un’opera da liquidare rapidamente, magari rimproverandole quel profuso utilizzo
della lingua inglese che invece sembra aggiungere qualcosa al film,
trasformando il soggiorno di casa Pasolini in quello di una immaginaria
famiglia italo-americana, intenta a discutere alternativamente in entrambe le
lingue di appartenenza. È dunque una sorta di lessico familiare quello che
Ferrara istituisce per comunicare con l’artista nostrano, un lessico che passa
anche e soprattutto per le immagini. Non che il regista cerchi di replicare o
meno che mai imitare lo stile di Pasolini all’interno delle sue ipotetiche
ricostruzioni, tutt’altro, le sue immagini sono belle ma serbano una certa
sobrietà, quasi fossero degli schizzi preparatori per un dipinto che non ha
modo alcuno di venire alla luce. Perché Pasolini non è un film mortifero e necrofilo, piuttosto, sembra
sgorgare quasi spontaneamente da una frustrazione feticista cinefila che
appartiene al regista quanto a noi.
Ferrara
non dimentica poi di inserire all’interno del film alcune tematiche proprie
della poetica pasoliniana, a partire da un discorso sull’importanza e il valore
universale della tradizione popolare, ed ecco allora che inserisce una sequenza
in cui Laura Betti (Maria De Medeiros) si cimenta in una danza tradizionale
croata armata di un fazzoletto e poi, in seguito, proprio mentre Pasolini va
incontro al suo destino in viaggio verso Ostia, lascia decantare nell’abitacolo
dell’auto le note di “Maccaturo” brano interpretato da Murolo e dedicato
proprio al suddetto fazzoletto e alla sua erotica promessa d’amore. E forse
anche quella tra Pasolini e Pelosi sulla spiaggia dell’Idroscalo è una danza
erotica antica, ancestrale, dove l’eros si trasforma in thanatos…
da qui
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